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IL CALVARIO DELLA “CASA DELLO STUDENTE”: CHIUSA DAL 2009 IN BALÌA DELLA BUROCRAZIA

La sede di via Filzi a Potenza non risultava a norma sotto il profilo della prevenzione sismica: nonostante fondi e lavori di messa in sicurezza già avviati la sua “solidità” resta sospesa

Purtroppo c’è ancora una grande incompiuta da segnalare in questo viaggio che Cronache sta portando avanti tra i “non luoghi” del capoluogo lucano lasciati deperire per incuria o perché non più funzionali. Si aggiunge alla lista del patrimonio immobiliare e, più in generale, degli edifici in città in stato di totale abbandono che soffrono un degrado quasi irreversibile la “Casa dello studente” di via Fabio Filzi. Si tratta di una struttura residenziale collettiva adibita, come tutti gli altri studentati siti nel capoluogo, ad accogliere gli alloggi per gli studenti fuori sede dell’Università degli Studi della Basilicata. Si tratta di due stabili, distribuiti su tre piani, che dal 2004 sono di proprietà comunale ma gestiti dall’ente regionale. L’Ardsu – l’Azienda regionale lucana per il diritto allo studio – ha chiuso le sue porte a seguito, pare, del ritrovamento di topi nelle stanze e dopo aver scoperto che la struttura non era a norma sotto il profilo della prevenzione sismica oltre a non essere stata accatastata. Era il 2009. Lo stesso anno in cui riecheggiava la tragedia della “Casa dello studente” crollato all’Aquila. Impossibile non pensare al terremoto e, in particolare, alla fragilità dello studentato abruzzese che è venuta giù con una facilità disarmante. Sulla scia prodotta da quel terribile evento, a Potenza ci si interrogò sulla sicurezza degli alloggi riservati agli universitari e si scoprì che la struttura di via Fabio Filzi, al rione Francioso, era priva di un certificato di idoneità statica. Da qui, un protocollo d’Intesa tra la Regione Basilicata e il Ministero dell’Università per realizzare una nuova “Casa dello studente” che fosse rigorosamente a norma. Il progetto di ristrutturazione avrebbe portato la struttura a rispondere per il 60% ai requisiti di sicurezza sismica – prevista per le zone rientranti in prima fascia, come la città di Potenza – con un coefficiente che era all’epoca da considerarsi sufficiente per avviare una struttura di questo tipo. Almeno al momento in cui il progetto venne varato. Le norme antisismiche, però, dopo i noti fatti di cronaca, erano in divenire e la tragedia della casa dello studente de L’Aquila ha dato una forte accelerazione a questo processo. Di fatto, con lo scorrere del tempo, il progetto è naufragato. Adesso, per mettere a norma la struttura servirebbero circa 13 milioni di euro contro i soli 6 che sono stati stanziati. In pratica converrebbe abbatterla e ricostruirla anche perché solo così ci si metterebbe al riparo dal rischio che una nuova norma innalzi ancora gli standard di sicurezza. Manca, insomma, la documentazione che “ufficializzi” la sua, definiamola così, “solidità”. Un pezzo di carta, certo, non garantisce al 100 per cento contro terremoti e frane, ma la sua assenza è un particolare che alimenta la preoccupazione. La struttura di via Filzi, lo ricordiamo, era di proprietà comunale. Qualche anno fa gli appartamenti erano riservati ai docenti universitari e successivamente, con la nascita dell’Ardsu, le competenze passarono al neonato organismo e gli alloggi furono destinati agli studenti. Ad oggi, però, sarebbe il caso di capire come stanno esattamente le cose in un palazzo che, va sottolineato, ospita numerose famiglie oltre agli studenti: i piani superiori dei due stabili, infatti, sono abitazioni dei privati cittadini che ne subiscono anche loro, in primis, lo stato di abbandono dei tre piani inferiori. Sullo “stato di salute” degli edifici – avviati all’indomani della chiusura dei due stabili, sicché si tratta suppergiù di 13 anni fa – al momento non emersero criticità tali da far pensare ad un’emergenza. Sarà. Ma al di là del caso di via Fabio Filzi, che potrebbe – questa è la speranza – rivelarsi soltanto una mancanza burocratica, campeggiano interrogativi rimasti insoluti. Nel 2021, l’Ateneo dell’Unibas pare abbia preso atto dell’impossibilità a seguire le opere finanziate e mai iniziate ed è stato costretto a rinunciare alla ristrutturazione degli alloggi per gli studenti fuori sede – dopo aver già eseguito opere per 1 milione e 700 mila euro su circa i 6 milioni previsti –rendendosi probabilmente conto che, anche qualora la struttura fosse stata ultimata, non sarebbe più rientrata negli standard di norma valutati all’epoca. Un dispendio di fondi, nonché di Servizi che tornerebbero utili agli studenti universitari quanto allo stesso tessuto cittadino di Potenza.  Quanto sta costando di fatto alla comunità il degrado urbano, quanto culturale e sociale? Una domanda a cui nessuno, pare, si sta preoccupando di dare una risposta.

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