“ANARCHIA NON VUOL DIRE BOMBE, MA GIUSTIZIA NELLA LIBERTÀ”
La canzone anarchica occupa una parte importante del canto popolare. I canti anarchici sono la voce degli umiliati, dei figli del popolo, della gente comune, dei lavoratori, del “quarto stato”
“IL QUARTO STATO”
“ANARCHIA NON VUOL DIRE BOMBE, MA GIUSTIZIA NELLA LIBERTÀ”
Breve storia della canzone anarchica a cura di Controcanto Pisano
La canzone anarchica occupa una parte importante del canto popolare.
I canti anarchici sono la voce degli umiliati, dei figli del popolo, della gente comune, dei lavoratori, del “quarto stato”.
Dimostrano una voglia di cambiamento verso orizzonti egualitari e la speranza di una vita migliore.
Gran parte degli autori delle canzoni anarchiche sono anonimi: l’importante è trasmettere l’ideale, non un nome. Storicamente si può far risalire il primo canto anarchico intorno al 1871, gli anni della Comune di Parigi, con la canzone Dimmi bel giovane, trasposizione canora di alcune strofe della poesia «Dimmi buon giovine. Esame d’ammissione del volontario alla Comune di Parigi» scritta dall’internazionalista vecchianese Francesco Bertelli e stampata nel 1873 presso la tipografia Citi di Pisa.
Gli anni di fine Ottocento e i primi del Novecentohanno una ricca produzione di canzoni e stornelli anarchici.
Sono anche gli anni di attentati e omicidi, e i canti, oltre che al lavoro e alla rivolta, sono dedicati a questi nuovi eroi attentatori che finiscono alla ghigliottina o in carcere.
Ne sono un esempio: i Canti a Passannante (Giovanni Passannante, lucano, nato 1849. Nel 1878 attentò al re d’Italia Umberto I° procurandogli una piccola ferita.
Dopo aver girato le peggior prigioni, morirà nel carcere psichiatrico di Montelupo Fiorentino nel 1910.
Il suo corpo verrà decapitato e il suo cervello rimarrà esposto nel museo criminologico di Roma sino al 2007); i Canti a Caserio (Sante Caserio, nato nella provincia di Milano 1873; nel 1894 uccise il presidente francese Sadi Carnot e verrà per questo ghigliottinato a Lione nel 1894); i Canti a Bresci (Gaetano Brasci, nato a Prato nel 1869. Nel 1900 uccise il re d’Italia Umberto I°. Fu condannato a morte, ma verrà trovato impiccato nella sua cella a Ventotene nel 1901).
Pietro Gori contribuì alla nascita di un mito duraturo che appartiene non solo agli anarchici della “sua” Toscana, ma a tutti coloro che aspirano e lottano per l’edificazione di una società in cui giustizia e libertà non siano parole vuote destinate a pochi, ma i principi fondamentali della vita collettiva.
Addio a Lugano è uno dei suoi intramontabili canti. Gori la scrisse nel luglio del 1895 appunto a Lugano in Svizzera, dov’era dovuto riparare dopo l’omicidio del presidente francese Sadi Carnot. Era stato infatti fermato dalla polizia di Crispi con l’accusa di essere il mandante “spirituale” del delitto, in quanto amico e difensore di Caserio. Addio a Lugano diviene popolarissimo con l’inizio del nuovo secolo e ancor oggi è uno dei canti anarchici più eseguito.
Negli stessi anni la Chiesa cattolica, con la sua presenza capillare nel territorio italiano, sembra costituire uno dei baluardi che si ergono a frenare la gloriosa marcia di liberazione del proletariato. La Francia espelle i sacerdoti e le monache e anche in Italia si invoca un provvedimento simile e non c’è canto anarchico e socialista che non proclami di far «guerra ai palagi alle chiese» e auspichi che «presto i dì verranno/ che papa re e signori/ coi birri lor cadranno/ per man dei malfattori»
Prima della Grande guerra, le idee anarchiche di pace sono cantate dai non interventisti.
Dal periodo fascista ai giorni nostri, gli anarchici, saranno sempre utilizzati dal potere centrale del momento per tamponare atti anche cruenti e scomodi con un nome che ormai nella fantasia popolare è sinonimo di bombe e sangue:
«Attentato anarchico!»
E con questo alibi si arresteranno, uccideranno, tortureranno molti dei discendenti dei «cavalieri erranti.. con la speranza in cor»
La ballata del Pinelli è, senz’ombra di dubbio, la più famosa canzone attorno alle vicende legate alla strage di Piazza Fontana.
A Pisa non c’è manifestazione anarchica (ma non solo) dove non si intoni La ballata di Franco Serantini, scritta nel 1972 da Piero Nissim, componente del Canzoniere Pisano.
Non si può chiudere una riflessione sulla canzone anarchica senza rivolgere un pensiero affettuoso all’ultimo grande poeta anarchico italiano, Fabrizio De André, e condividere, fino all’uguaglianza vera nel comunismo, alla soppressione d’ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, all’emancipazione completa della personalità umana dal giogo opprimente d’ogni autorità politica, civile, militare e religiosa, il suo viaggio «in direzione ostinata e contraria».
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