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FRANCESCO SCARINGI : APP-ESTATI

“Nello scaricare l’app lei è diventato un mio avatar del metamondo (un po’ come nel gioco dei Pokemon) a cui io ho lanciato la maledizione dei miei problemi con l’app, così come è stato fatto a me diventato avatar di un altro. È questo un mondo dove il male di un altro ti rende beato”

MERCOLEDÌ 7 SETTEMBRE 2022

App-estati

(Scritto in una giornata assolata tanto per …)

Ma che caxxo! È mezz’ora con questa musichetta. Un’eternità in attesa di un probabile responso da un oracolo chissà da dove nel mondo. 

Ta ta taaa … “ci scusiamo per l’attesa, fra poco sarà collegato ad un nostro operatore”. 

Un pomeriggio a smanettare  sullo smartphone.  

Antefatto.

In mattinata ricevo il messaggio che l’operazione è andata in porto e che l’app è in piena efficienza con tanti complimenti e tutto il pacchetto aggiuntivo a pagamento, che chiaramente rifiuto. 

Solito tran tran tra problemi casalinghi e doveri burocratici camminando per una città appesantita dalla calura estiva, con le persone che lottano contro il sole infuocato alla ricerca di scampoli di ombre.

C’è un gruppo di ragazze e ragazzi che attirano la mia attenzione. Colorato cocktail, frizzante e spumeggiante, dentro un androne di un vecchio palazzo  del centro storico a chiacchierare con grandi risate. Tra i 17 e i 20 anni. C’è ne uno in particolare che sta leggermente in disparte senza mascherina, come tutti gli altri d’altronde, non guarda gli amici e ogni tanto compare una smorfia sul viso. Sembra il più incazzato di tutti. Capelli corti sul lati con un quasi ciuffo dispettoso nero che gli cade sulla fronte e gli occhi grandi. Guarda in continuazione lo smartphone che agita smaniosamente. Mi incuriosisce e mi chiedo cosa sta facendo. Magari sta chattando con qualcuno o qualcuna. I gesti diventano sempre più esagitati fino a quando non sbotta verso i suoi amici. “Ma che cazzo é, possibile che non riesco a vedere nessuno?”. Gli altri sembrano infischiarsene mentre continuano a discutere e mostrare foto e filmati. 

Lui si svincola dagli altri e appoggiandosi al muro indossa gli auricolari ad un certo punto mi guarda per poi prendere una posa estatica.  É pallido, quasi sprofondato in una estasi mistica. Magari ha messo la sua playlist per evadere un po’.

Lo lascio così in questo apparente stato di grazia e mi dirigo verso il supermercato che sta appena svoltato l’angolo, di fianco al piccolo bar dove sono solito bere il caffè con gli amici. 

C’è poca gente e accuratamente tra gli scaffali cerco quanto mi serve. Poco a dire il vero, più o meno le solite cose. Molto integrale e qualcosa a base vegetariana. Non sono vegetariano né tantomeno vegano. Bilancio la mia dieta per problemi fisici. Evito quanto più possibile grassi e colesterolo, diventato uno dei problemi della mia vita e di tanti altri, con una certa ossessione (oltre il covid chiaramente). 

Mentre sono in coda alla cassa, una signora, con indosso un bel ed esuberante abito estivo sul  rosso e truccata con molta eleganza con un piccolo tatuaggio, forse un geco o salamandra, sul collo apprezza con discrezione i miei acquisti. Mi dice: “fa bene bisogna cambiare il nostro regime alimentare per migliorare la situazione nel mondo”. Sorrido e dico “certo è così”. Francamente non ho nessuna voglia di parlarle dei miei problemi di salute. E le sorrido con uno sguardo tale da dimostrale il mio apprezzamento per la sua mise. Mentre mi avvicino alla cassa vedo in un angolo del negozio lo stesso ragazzo notato prima. Sta sempre con gli auricolari e lo smartphone in mano a fissare gli scaffali dei prodotti di igiene personale. 

Arriva il mio turno. Alla cassa c’è “La Signora”, così la chiamano tutti, che è la proprietaria del negozio, che con i clienti si lamenta del troppo caldo. Donna energica che fa sentire la sua nei confronti dei dipendenti soprattutto verso Giovanni, un ometto/ragazzo che sta sempre in tuta, che comanda a bacchetta per portare le borse della spesa a domicilio, soprattutto delle clienti più anziane. Giovanni, non ho ancora capito se per sfottò o per remissione, risponde sempre: “Sì signora, parto immediatamente” mentre afferra la borsa e fa un giro su se stesso per mettere in mostra il suo ginnico e tatuato fisico, con la silhouette evidenziata nelle sporgenze dalla tuta e canottiera attillate. E via.

La Signora passa allo scanner la mia roba. Mi compare il prezzo sulla cassa e chiedo di pagare in contactless. “Signora dico voglio provare con lo smartphone. Ho appena avviata un app”. Selezione l’app, avvicino il mio telefonino al poss. Non succede nulla. Chiedo scusa alla signora. Mi giustifico della mia inesperienza e riprovo. Niente. Questa volta è la stessa cassiera che tenta di venire in mio soccorso suggerendomi un posizionamento più adatto dello smartphone. Nulla di fatto. Mi scuso con tutti per il disguido e caccio la mia carta di credito, che funziona benissimo. Pago esco e con la coda dell’occhio rivedo il ragazzo che sta lì a contemplare gli scaffali. 

Esco un po’ contrariato e per strada penso che forse ho sbagliato in qualche operazione o sequenza. E pensare che ho fatto anche l’ultimo aggiornamento del sistema operativo. 

Entro velocemente in profumeria per prendere il balsamo per la barba. Da un po’ di tempo mi sono fatto crescere la barba che cerco di tenere curata e ben definita per dare un disegno al volto più deciso e stilizzato. Dico tra me e me “adesso ci riprovo. Cercherò di seguire con più attenzione le istruzioni che compaiono senza essere troppo intuitivo”. 

Stessa scenetta. Questa volta alla cassa c’è un ragazzo che vista la mia età si sente in dovere (sempre cortesemente però) di dirmi che forse non avevo avviati il Bluetooth. Tra me e me mi chiedo ” che caxxo c’entra il Bluetooth?” Faccio un’altra prova e niente. Ripago con la carta, mentre vedo il ragazzo con lo smartphone passare proprio in quel momento davanti la vetrina dell’ingresso. Esco e attraverso la piazza  principale invasa da palchetti, tavolini e botti. Incongruenza estetica, cattivo gusto che non rende giustizia e grazia a quella che dovrebbe essere il luogo più rappresentativo della città. Mi dico che è la sindrome del villaggetto turistico per animare le notti estive. Un po’ mi infastidisce. Ma così è, constatato che ormai l’estetica viene confusa al massimo con la cosmesi. 

Un po’ sono rattristato e seduto al tavolino di un caffè, in prossimità della piazza, prendo qualcosa di fresco, una tonic water piena di limone e ghiaccio, e nel frattempo consulto il sito dell’app e le chat su internet per vedere se ho sbagliato qualcosa.
Rifaccio meticolosamente tutte le operazioni d’impostazione. ” Chissà  – mi chiedo – il mio smartphone magari non sarà un modello adatto”. Le ricerche mi confermano che tutto è a posto ed in regola, che il mio smartphone funziona benissimo. Ho perso in tutto questo smanettare circa un’ora e mezzo. Nel frattempo tiro su con la cannuccia l’ultimo sorso carico dell’acido del limone, pago e me ne vado. Guarda, un po’ perplesso, ripassare quel ragazzo.

Il caldo mi pesa, mi metto in cammino con il passo strascicato alla ricerca di un percorso con ombra. Non me la do per vinto. L’unica cosa da fare e passare dal negozietto che vende i cellulari vicino casa e chiedere al ragazzo, che mi sembra abbastanza esperto, di verificare.

Mi infilo dentro il negozio con un ciao amichevole perché ci conosciamo.
Al ragazzo, che sta dietro la sua postazione a dominare il mondo della rete, gli presento il problema. 

Proviamo – mi dice. Non succede niente. Sentenzia: “è un modello che non ha il sistema (chip – lettore -NFC – m’infilza una serie di termini tecnici e sigle varie), che permette il contactless” e con una certa sufficienza mi restituisce l’ormai, almeno per lui, obsoleto apparecchio.

Non ci posso credere dall’altra parte della strada intravedo il tipino con lo smartphone con quella sua atmosfera da beato Buddha pallido. 

Sono agitato e nervoso. Mi suona il cellulare con un numero sconosciuto a cui non rispondo interrompendo la chiamata con qualche imprecazione.

Decido a questo punto di ritornare a casa e di compiere l’atto finale. 

Mi accomodo sulla poltrona per comporre il numero verde per parlare direttamente con qualche operatore dello smartphone.

In religioso silenzio compongo il numero di otto cifre.

Solita vocina registrata che annuncia le varie opzioni e siccome il sistema è avanzato bisogna rispondere a voce.
Mi sorbisco tutte le avvertenze e le pubblicità quando finalmente mi si chiede di riferire a quale campo appartiene la mia richiesta. Resto un po’ sconcertato e dico “telefono”. Risposta negativa (penso che fino a questo momento siano passati più di 15 minuti). Dico un po’ con voce sommessa e intimorito “smartphone”. Ricevo una risposta secca: “visto che così non va proviamo in altro modo”. 

Mi viene sciorinato un elenco numerato di cose, io devo pronunciare solo il numero di ciò che m’interessa. E così sia. Finalmente la vocina mi annuncia che un operatore (da qualsiasi parte del mondo) mi avrebbe risposto. Nel frattempo mi viene sottoposto un menù di tre possibilità di scelta musicale: pop, classica, jazz. 

Scelgo jazz. Non l’avessi mai fatto! Inizia una musichetta tutta distorta e gracchiante, ossessiva. In qualche tratto mi rendo conto che si tratta della tromba di Miles Davis. Irriconoscibile e deturpata. Li maledico per Davis e per la sofferenza che arrecano alle mie orecchie aumentando il tedio e il fastidio procurato dalla calura estiva, che non fa che farmi sudare in continuazione. 

Fine dell’antefatto.

La cosa si sta prolungando troppo.  Sono trascorsi già  45 minuti mentre continua lo strazio musicale. Cerco di distrarmi. Vado sui social. Sbircio qualche foto, leggo qualche post. Navigo senza meta alcuna mentre ne scarto miriadi che hanno l’aria insignificante. La sofferenza e tanta ma mi armo di pazienza come l’uomo davanti all’ingresso del portone della Legge  in attesa di entrare come nel racconto di Kafka. 

È passata ormai un’ora e più. Ad un certo punto tutto tace. Trasalisco invaso dal timore che sia caduta la linea. Ecco che da un profondo abissale sento pronunciare il mio nome. “Signor Francesco lei è stato taggato”. “Cosa?”. “Lei fa parte del gioco”. Mentre ascolto queste parole riconosco la voce. Certo è la voce di quel ragazzo con il ciuffo, gli auricolari e lo smartphone. 

“Cosa vuoi dire?”. Una risata alla Joker seguita da un lugubre tono di voce: “lei ha la mia maledizione che porterá sempre con sé. A condizione che ….” Alquanto innervosito e stizzito lo blocco e gli dico “ti ho visto che come un beota mi hai seguito dappertutto. Di cosa stai parlando? Quale maledizione?”

“Nello scaricare l’app lei è diventato un mio avatar del metamondo (un po’ come nel gioco dei Pokemon) a cui io ho lanciato la maledizione dei miei problemi con l’app, così come è stato fatto a me diventato avatar di un altro. È questo un mondo dove il male di un altro ti rende beato”. 

“Ma che stronxata è? Smettila di fare il coglixne”

“Mi creda non scherzo se non accetta sarà scaraventato tra i deboli sottoposta ad ogni tipo di vessazioni. Guardi sul suo smartphone e capirà”. Per circa una trentina di secondi vedo una quantità sterminata di uomini e donne di tutte le età e tipi sbattere con la testa contro i muri, picchiarsi con lo smartphone che non funzionava più. 

“Ok – dico spaventato – come posso togliermi la maledizione”. 

“Anche lei deve scegliere un suo avatar, taggando qualcuno. Per avere questo potere deve bere dalla coppa che le darò”. 

“Vai voglio terminare questo strazio”.

Sul mio touch screen ecco apparire una coppa con una freccia. Appena la tocco risento la risata a cui si aggiunge un addio e un augurio di buona fortuna che si moltiplica in una lugubre eco. Sullo schermo si apre una finestrella in cui si forma una scritta in caratteri gotici: 

“Lei ha bevuto da questo sacro calice. Ha la facoltà di liberarsi della maledizione se riuscirá per tre volte a taggare qualcuno che ha l’app. Le sono concesse solo tre tentativi altrimenti sarà condannato alla maledizione per l’eternitá”.

Avverto una scossa che dalla mano prende tutto me stesso. Sono in uno strato di trance mi sento leggero, come un vampiro in azione. 

Esco di casa. State attenti!

Farà molto caldo.

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