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“MUSEO DEA” NON FINISCONO LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE

A Matera il sito etnico e antropologico del Sasso Caveoso presenta numerose tombe medievali

Non è sfuggita ai cittadini materani e neanche ai tanti visitatori che in questi giorni raggiungono la città dei Sassi, l’enorme ramificazione di lungi tubi neri che fuoriescono da tutte le parti nella zona del Sasso Caveoso. Qualche turista più fantasioso ha addirittura pensato che si trattasse di un’opera d’arte post moderna. In realtà, si tratta del cantiere per la realizzazione del “DEA”, il “Museo Demo Etno Antropologico”, un museo all’aperto che mediante la ristrutturazione delle antiche dimore in grotta e, tracciando un percorso tematico, narrerà a tutti le vicende storiche, culturali e antropologiche di una delle zone più antiche dei Sassi. I lavori di realizzazione della “Dea”, però, stanno richiedendo un intervento che ad alcuni addetti ai lavori è sembrato un po’ troppo invasivo. E c’è apprensione anche perché l’intera zona, è censita come sito archeologico nel quale vengono scoperte di giorno in giorno nuove tombe medievali. In realtà il progetto “Dea” che risale alla seconda metà degli anni ’50, di recente era stato rimpiazzato da quello del “Parco della storia dell’uomo-Civiltà contadina” che a sua volta, presentandosi come il vero fiore all’occhiello delle progettualità da effettuarsi entro l’anno di Matera Capitale europea della cultura, sarebbe dovuto essere completato nel 2019. Un’opera in ogni caso di grande rilievo culturale ed economico, tanto che è stata finanziata per 7mln di euro. Un colpo di scena in corso d’opera, poi, c’è stato con il ritorno al progetto originario “Dea” che ha avuto come protagonista proprio Cronache che è riuscita mediante articoli e servizi televisivi a persuadere le istituzionali a tornare al progetto “Museo Dea”. Con delibera comunale di Giunta, infatti, lo scorso marzo l’originaria denominazione è stata ripristinata. Ma tornando alla questione dei numerosi tubi che probabilmente conterranno la cablatura informatica ed elettrica, va detto che i lavori di cantiere di cui essi fanno parte, sono davvero “pesanti”. In alcune parti del sito, infatti, gli scavi per la posa delle condutture raggiungono una profondità nel tenero banco di calcarenite, vicina al metro. Tutto ciò ha suscitato apprensione negli esperti, data la fragilità del sito. A molti non sono sfuggite le raccomandazioni che la “Commissione consiliare per la salvaguardia della Murgia”, ha dato in occasione della perizia e dell’impugnazione dei contestati lavori sul “Parco delle chiese rupestri”. In quella occasione, infatti, gli esperti ricordarono di “non alterare e soprattutto non danneggiare irrimediabilmente le caratteristiche geo-ambientali di zone così particolari”. Senza dimenticarsi poi che si tratta di una zona che come tutti i Sassi rientra nel patrimonio Unesco. Da più parti dunque si sollecita una ispezione istituzionali e accademica del cantiere del Museo Dea, e ciò proprio in linea con quanto stabiliscono i documenti ufficiali attuativi del museo stesso. È infatti previsto “un approfondimento del percorso narrato dal punto di vista scientifico un dialogo inter-istituzionale tra Amministrazione comunale, Museo nazionale Ridola e la Direzione Generale Musei presso il Ministero della Cultura”. Nel frattempo, Cronache continua a monitorare la situazione e la “Dea dei Sassi” non finisce di stupire. Vicino l’antico “Convicinio di Sant’Antonio”, infatti, in prossimità del cimitero medievale, sparsi sul terreno, sono stati rinvenuti dei cocci, probabilmente il manico di un’anfora, ritrovata anche una punta di selce e frammenti di terracotta. Tutte tracce di un passato che ci ha lasciato i segni di una civiltà che va protetta ad ogni costo, come dovrebbe averci insegnato la vicenda dei lavori sul Parco delle chiese rupestri

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