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EX POZZO SAN FELE: AL VIA INDAGINI AMBIENTALI

La vicenda comincia nel‘90, nel 2020 l’annuncio delle caratterizzazioni. Ora la Regione concede un prestito di €60.000

Il pozzo petrolifero denominato “001” di San Fele fu realizzato dalla Texaco nel 1993. Da allora non si versarono fiumi di petrolio, ma solo di inchiostro: Associazioni e cittadini del territorio chiedevano spiegazioni in merito alla qualità del terreno e studi per comprenderne l’impatto ambientale. Già perché quel pozzo petrolifero fu iniziato, ma mai portato a termine. Forse perché il greggio si trovava troppo in profondità, o forse perché non ve n’era abbastanza. Fatto sta che chiuso il cantiere, tutto restò com’era.

In questi giorni il Sindaco Donato Sperduto ha annunciato novità: «Con gioia comunichiamo che sono finalmente iniziati i lavori per le indagini ambientali nell’area Ex Texaco, in località Piano Perazze. Negli anni novanta già bonificato con le opportune verifiche Arpab. L’amministrazione comunale, sempre attenta alla salvaguardia della salute pubblica e per fugare qualsiasi dubbio di cittadini sulla effettiva condizione ambientale del sito, ha chiesto con forza l’intervento della Regione Basilicata la quale ha concesso un prestito di 60 mila euro per effettuare le opportune indagini e verifiche». Sul luogo si recò anche la troupe della trasmissione televisiva “Striscia la notizia”.

Dalle colonne di Cronache fu già raccontato nel 2020 l’intento di questi ulteriori studi, proprio tramite il Sindaco Sperduto. Un procedimento dunque che a distanza di due anni, ed una pandemia mondiale di mezzo, giunge a termine.

«Il piano di indagini, di carattere georadar e 3D, elettromagnetometriche e geoelettriche è finalizzato alla definizione dello studio delle matrici ambientali, intese come terreno, acqua e aria, e si configura come uno step investigativo e conoscitivo fondamentale per gli eventuali interventi di bonifica del sito e ripristino ambientale dei luoghi – incalza il primo cittadino– Il piano di indagini comprende tutte le attività di campo e di laboratorio che consentiranno la corretta ricostruzione della situazione ambientale dell’area».

Il sito si trova a ridosso della Faggeta del Monte Santa Croce, ed anche per questo cittadini ed Associazioni ambientaliste sono preoccupate. L’area, dove dove si trovano vasche di cemento per la raccolta di fluidi, basamenti in cemento, strade di accesso alla postazione, è poi divenuta di zona di pascolo.

Si trattò in principio di un pozzo esplorativo per l’estrazione di petrolio, trivellato nel 1992/1994, che sarebbe arrivato a 5 km di profondità senza mai estrarre il greggio: il luogo di trivellazione venne dunque abbandonato. Dalle perforazioni fuoriuscirono liquidi e fango, poi stagnate in apposite vasche. «Ciò che preoccupa è che per le perforazioni «è stato usato uranio impoverito-dichiarava il Comitato “No triv” San Fele– inoltre la società che è venuta a perforare aveva l’obbligo di ripristinare l’area, cosa non fatta».

Negli anni sono stati inoltre denunciati «aumenti di tumori al seno, alla prostata, oltre ai tumori al colon. Poi c’è stata la presenza di più casi di leucemia. Certamente non si tratta di dati scientifici –comunicava il Comitato “Acqua sì, petrolio no” di S. Fele- si tratta di statistiche, ma senz’altro in un paese piccolo e un territorio bellissimo, privo di altre fonti di inquinamento, viene spontaneo domandarsi come mai vi sia tale incidenza di tumori».

Per questo oltre a ciò che appare in superficie, cittadini e Associazioni si chiedono cosa ci sia nel sottosuolo e nelle acque sotterranee. Quel pozzo potrebbe aver condizionato le varie matrici, in ambito idrico? La Caratterizzazione potrebbe fornire risposte a queste domande, che molti, tra cittadini, Associazioni e attivisti si pongono ancora oggi.

«L’amministrazione – conclude oggi Sperduto- si impegna a vigilare sul corretto svolgimento delle attività e assicura che informerà tempestivamente tutti i cittadini sugli esiti».

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