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L’ANTIMAFIA INSISTE COL CARCERE

Inchiesta sanità e comunali Lagonegro, ai pm continua ad allarmare il «sistema di potere». Misure cautelari, al Riesame non solo Di Lascio, Cupparo e Spera: l’appello della Procura.

Sul meccanismo consolidato definito «sistema di potere», connotato da un modus operandi «strutturale» da parte dei soggetti coinvolti, l’Antimafia di Potenza torna a bomba: appello al Riesame per reiterare l’originiaria richiesta di misure cautelari nei confronti di Francesco Piro, Maria Di Lascio, Francesco Cupparo, Rocco Leone e Giuseppe Spera. Martedì, nuovo scontro tra difese e accusa, sull’inchiesta del Pm Vincenzo Montemurro che spazia dal voto di scambio alle comunali di Lagonegro, svoltesi nel 2020, alle nomine, trasferimenti, promozioni in Sanità, nonchè sulle strategie di controllo clientelare in vista della realizzazione del nuovo ospedale di Lagonegro. Il Riesame, da una parte vaglierà i ricorsi contro le misure cautelari dell’ex sindaca di Lagonegro, Maria Di Lascio, attualmente ai domiciliari, dell’ex assessore regionale, Franco Cupparo, per cui permane il divieto di dimora a Potenza, e del Direttore generale dell’Aor San Carlo di Potenza, Giuseppe Spera, sospeso dall’incarico e dall’altra l’appello dell’accusa che chiede un irrigidimento delle misure restrittive delle libertà personali. In prima istanza, l’Antimafia di Potenza aveva chiesto al Gip Amodeo il carcere per 4 dei 39 indagati, tra cui c’è, per la vicenda delle corsie preferenziali per i tamponi Covid-19, anche il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, e i domiciliari per il solo Spera. La Procura torna a chiedere il carcere anche per Di Lascio, Cupparo e Leone. Il Gip, come da ordinanza applicativa di misure cautelari personali, accolse la richiesta soltanto per l’ex consigliere regionale e capogruppo di Forza Italia, Francesco Piro per il quale, tuttavia, a seguito dell’interrogatorio di garanzia, ha disposto gli arresti domiciliari. L’accusa, verosimilmente, insisterà sulla «spiccata pervicacia criminale» che può «essere neutralizzata solo impedendo agli indagati di continuare ad avere contatti fra di loro». L’Antimafia aveva ravvisato una «spiccata pericolosità sociale» da rendere «assai probabile la reiterazione di analoghi comportamenti delittuosi», evidenziando, inoltre, come «l’assiduità delle condotte delittuose» denosse «una professionalità tale da determinare un notevole allarme sociale». In più, l’accusa rimarcò «il costante e totale impegno degli indagati nella commissione di fatti rea- to» da unire al fatto che «nel corso delle conversazioni intercettate i predetti non manifestano inoltre segni di resipiscenza o intento di interrompere le attività delittuose», apparendo, al contrario, «quasi sempre proiettati verso il compimento di nuovi crimini con modalità operative tali da fugare qualsiasi dubbio circa la responsabilità penale degli indagati».

Ferdinando Moliterni

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