EMIGRAZIONE SANITARIA, DE FILIPPO: «CURARSI AL SUD SI PUÒ SE SI COSTRUISCE UNA BUONA RETE»
L’ex parlamentare dem fa il punto sui dati che vedono la Basilicata sfidarsi nella negatività con l’Umbria e la Calabria
Potenziare la rete sanitaria regionale, in particolar modo quella pediatrica, per migliorarne la capacità di risposta sul territorio, recuperare la fiducia delle famiglie e contenere la migrazione sanitaria, limitandola alle patologie di elevata complessità. Sono questi gli obiettivi che vorrebbe rilanciare l’ex parlamentare dem lucano Vito De Filippo, tornando ad accendere i riflettori su un tema, purtroppo, tanto attuale quanto ostico della salute dei bambini lucani.
I DATI DELL’EMIGRAZIONE SANITARIA
«Complessivamente nel 2020 sono state erogate 6.769.744 di dimissioni per acuti in regime ordinario e diurno, il totale dei ricoveri effettuati fuori regione è stato di 516.875 con un tasso di ospedalizzazione di 11,4 per 100 residenti e una mobilità nazionale passiva pari a 7,6%, con il minimo in Sardegna (4,5%) per ragioni olografiche e il massimo in Molise (28,1%) e Basilicata (25%)», spiega De Filippo facendo propri i dati divulgati dall’Istituto Mario Negri di Milano che raccontano quanto grande sia il problema in Italia e – soprattutto – in Basilicata. «Il numero totale dei ricoveri erogati prima del compimento della maggiore età (0-17anni) – prosegue De Filippo – è stato di 854.272, con un tasso di ospedalizzazione pari a 9,1 per 100 residenti; un indice di fuga pari all’8,7% totale, ma che per oltre la metà (41.000 ricoveri) interessa bambini e adolescenti residenti nelle regioni meridionali. Dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria». Sfidandosi nella negatività dei dati con queste sole due ultime regioni. «Un terzo dei bambini e adolescenti, dunque, – enfatizza il dem – si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali (il 10% dei casi) o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) pediatrici». È prendendo in considera- zioni tali premesse che per De Filippo è «necessaria una visione sistemica e un intervento multimodale con il potenziamento strutturale e qualitativo dei centri esistenti, per limitare la migra- zione sanitaria dei giovani pazienti e delle rispettive famiglie. Curarsi al Sud si può – incalza – se l’organizza- zione dei servizi orienta correttamente la domanda di salute e costituisce una rete per un’appropriata risposta».
IL BUON ESEMPIO DELLA CONVENZIONE CON IL “BAMBINO GESÚ” DI ROMA
«Qualche hanno fa con “Stella Maris” – Centro che si occupa in special modo di diagnosi del Disturbo Generalizzato dello Sviluppo e dello Spettro Autistico – e la convenzione dell’Ospedale San Carlo e il “Bambin Gesù” furono affrontati una parte di questi problemi tra i più difficili per le famiglie», sottolinea De Filippo, alludendo all’accordo stipulato nel 2011 tra l’Ospedale “San Carlo” di Potenza e il Centro pediatrico “Bambino Gesù” di Basilicata, nato all’epoca dalla convenzione tra la Regione, l’Azienda sanitaria potentina e il rinomato Ospedale pediatrico romano “Bambino Gesù”, il presidio ospedaliero di proprietà della Santa Sede accreditato come Policlinico e Centro di ricerca pediatrico punto di riferimento di livello internazionale per la ricerca e la cura di bambini e adolescenti. La collaborazione , all’epoca, ha fattivamente permesso di potenziare la rete pediatrica sul territorio lucano nonché di contenere la migrazione sanitari, svolgendo all’interno della sede convenzionata in regione attività di ricovero in regime ordinario, day hospital, day surgery e specialistica ambulatoriale coordinandone l’assistenza ai pazienti pediatrici del territorio lucano. Una sorta di rete con tutte le pediatrie regionali. Nel Poliambulatorio del presidio furono così integrate le attività pediatriche che in tempi addietro venivano effettuate in altri reparti del “San Carlo”, oltre a fare anche da collegamento per pazienti con patologie complesse che avevano necessità di un trattamento nella sede di Roma dell’Istituto seguendone direttamente il follow up – l’assistenza – dei pazienti curati presso l’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma. Una convenzione – avviata dallo stesso De Filippo – che sarebbe dovuta durare altri 5 anni, a decorrere dalla data di inizio attività, venne rescissa da una Delibera di Giunta Regionale del 2015 che, contestualmente, approvava un nuovo schema disciplinante i rapporti di collaborazione nell’ambito delle specialità pediatriche. Da allora però, nulla di concreto s’è fatto in Regione per far sì che le famiglie lucane potessero essere agevolate nell’assistenza riguardante l’attività di altissima specializzazione direttamente dai medici del “Bambino Gesù” «che venivano direttamente loro al “San Carlo” – spiega De Filippo – incentivandone così l’assistenza sanitaria più a portata di mano». «Un esempio tra i tanti che si potrebbero fare – spiega De Filippo – di gestione del problema storico negativo della gestione della Sanità che, paradossalmente, aumenta in questi ultimi anni in Basilicata. Quella riguardante i bambini, poi, è ancora più devastante e drammatica per le famiglie lucane perché – evidenzia – se un bambino viene ricovera- to in un ospedale fuori regione, ovviamente, condiziona lo spostamento di un’intera famiglia, tra oneri logistici quanto economici, al di là del rimborso sanitario che, per quanto garantisca assistenza a chi è ricoverato anche fuori regione, eviterebbe di gran lunga tanti disagi». «Sarebbe necessario quanto urgente invece – enfatizza De Filippo – creare una rete, attraverso una sorta di censimento dei bisogni sanitari dei bambini lucani, che faccia così avere un quadro chiaro e concreto di dove poter agire con le eventuali convenzioni e con gli allestimenti di servizi e di strutture regionali con cui si possa volta per volta, non dico eliminare, ma quantomeno ridurre – incalza – questa emigrazione sanitaria». «È sempre brutta l’emigrazione sanitaria – conclude l’ex deputato dem – ma quella che coinvolge l’infanzia è decisamente la più complicata e la più brutta».