«È MOLTO VASTA LA ZONA R4 CON PREDISPOSIZIONE ALL’INSTABILITÀ»
Frana Maratea, l’intervista all’esperto geologo Colangelo
Dott. Gerardo Colangelo, secondo lei, quanto hanno influenzato le precipitazioni sulla questione “distacco”?
«La pioggia è stato solo l’ultimo elemento che ha contribuito ad innescare il fenomeno franoso. Sono eventi che pur attivandosi molto rapidamente, magari attraverso forti precipitazioni, portano con se un tempo di preparazione più o meno lungo che dipende da diversi fattori quali la natura litologica, la giacitura degli strati, le caratteristiche geomorfologiche, lo stato di fratturazione dell’ammasso roccioso, ecc. ecc.».
In che area ricade la frana di Castrocucco di Maratea?
«L’area di Castrocucco ricade in una zona classificata R4 per quanto attiene al rischio idrogeologico, come riportato nella cartografia del Piano di Assetto Idrogeologico (P.A.I) redatto dall’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale. Il versante che ha manifestato gravi fenomeni di instabilità e che ha visto il distacco di blocchi aventi una superficie di circa 70-80mq per un’altezza di 3-4m, è esposto verso sud ed è caratterizzato da una parete alta tra 25 e 35 m a tratti aggettante. La base della parete è segnata da una netta superficie inclinata che taglia completamente l’intero ammasso roccioso profondo fino a riemergere nella zona dei ruderi del castello. La morfologia dell’area è stata modellata da successioni di frane da crollo che hanno espanso le masse di detrito sul pendio sottostante fino a mare»
Dott. Colangelo, dunque, trattasi di frana da distacco?
È una frana complessa caratterizzata principalmente da crolli, ribaltamenti e scivolamenti. I crolli si sono manifestati con il distacco di ampie porzioni grossomodo parallele al fronte con conseguente progressivo arretramento della parete. In tale contesto uno scorrimento planare ha caratterizzato il movimento dei blocchi rocciosi lungo il versante»
In tal caso, ci spieghi cos’è uno scorrimento planare?
«È un tipo di scorrimento che si manifesta con uno scivolamento di uno o più blocchi lungo una superficie più o meno piana o debolmente ondulata, in pratica rappresenta un movimento verso la base del versante di una massa di terra o roccia che avviene per deformazioni di taglio lungo una o più superfici. Nel caso della frana di Castrocucco, lo scorrimento planare è avvenuto proprio lungo la superficie di discontinuità principale che taglia la parte più alta del versante».
Qual è la situazione attuale, sulla scorta dei primi sopralluoghi?
«Su tutto il rilievo sono evidenti gli indizi di continui e progressivi spostamenti delle masse rocciose. In particolare, a monte della SS18 nel settore esposto a SW della rupe che margina su tre lati la sommità del versante su cui poggiano i resti di un insediamento abitativo di epoca medioevale la parete rocciosa è percorsa per tutto il suo sviluppo da un piano di discontinuità che corrisponde alla continuazione della importante superficie strutturale esposta nel settore centra- le del versante a quota più bassa»
Dott. Colangelo, vi sono, allo stato attuale, reali possibilità di distacco di altri ammassi rocciosi?
«L’ammasso roccioso posto al disopra della discontinuità principale è caratterizzato da un intenso stato di suddivisione consistente in evidenti blocchi rocciosi la cui genesi è da attribuire ad un sistema di faglie che ne favorisce la forte predisposizione all’instabilità»
Qual è il fronte che per primo ha generato il movimento franoso?
«L’area corrispondente al fronte sud della rupe rappresenta il settore di versante dal quale molto probabilmente si sono originati i primi movimenti. Il fronte roccioso poggia su una discontinuità molto persistente posta a frana poggio e che ha rappresentato la superficie preferenziale di scivolamento dei blocchi rocciosi o addirittura di una intera porzione di strato»
Dott. Colangelo la vastità della frana è ben visibile ad occhio nudo, anche per i meno esperti di settore. Mentre, può dirci qualcosa sulla sua profondità?
«È ipotizzabile una instabilità sia superficiale, dell’ordine di qualche metro, che caratterizza lo strato più corticale dell’ammasso roccioso, che una instabilità più profonda, dell’ordine di una decina di metri i cui segni sono ben definiti dalla prosecuzione della principale superficie di discontinuità affiorante lungo il versante. Lungo il versante si rileva una condizione di estremo rilassamento corticale dell’ammasso dove si individuano numerosi volumi instabili di dimensioni assai variabili».
Dott. Colangelo, in base alla sua esperienza, quanta colpa è attribuibile alle avverse condizioni meteo delle ultime settimane, ed anche all’effetto dell’acqua sulle rocce?
«Le avverse condizioni meteo non hanno fatto altro che accelerare l’evoluzione del fenomeno determinando, in un contesto geologico e geomorfologico predisposto all’instabilità, il distacco di blocchi e materiale detritico lungo il versante. Nella parte più a valle l’azione di dilavamento ha asportato i materiali fini e scalzato progressivamente blocchi isolati con conseguente rotolamento degli stessi a valle»
Ci descrive l’entità ed il volume della massa trasportata rovinosamente fino a mare?
«Il volume delle masse mobilitate è veramente impressionante, basti pensare, tanto per avere un’idea sulla dimensione dei blocchi più grandi arrivati a mare che il volume di ogni singolo blocco è paragonabile ad un appartamento di 80mq disposto su due piani».
Allo stato attuale, quali sono i primi interventi utili e necessari da mettere in atto con la dovuta celerità e tempistica?
«Fondamentale in questa fase la realizzazione di rilievi geomorfologici, geomeccanici e geostrutturali delle diverse famiglie di discontinuità che caratterizzano la porzione della rupe superiore. Questo permetterebbe di definire, insieme alle altre indagini, un modello geologico preliminare sul quale valutare i primi interventi in emergenza. Il monitoraggio, inoltre, attraverso le tecniche e metodologie più recenti – da terra, da satellite o aerotrasportati – pur trattandosi di eventi molto rapidi, permetterebbe di avere un costante controllo dell’area anche in considerazione delle precipitazioni previste».
Oltre il monitoraggio strumentale, è necessario anche rilievo da Terra con rocciatori specializzati, previa la messa in sicurezza del versante, almeno per i massi pericolanti, concorda?
«Certamente sì, in questa fase bisognerebbe provvedere attraverso l’uso di rocciatori specializzati e rilievi geologici, topografici, ecc. alla definizione di estremo dettaglio dello stato dei luoghi al fine di avere un quadro chiaro di quanto accaduto e quindi acquisire tutti gli elementi finalizzati alla definizione delle attività di disgaggio e/o demolizione di blocchi instabili e/o aggettanti presenti sulla parete rocciosa»
Che tempi prevede per un intervento fattivo di messa in sicurezza?
«I tempi sono dettati dal livello del rischio residuo durante ogni fase di intervento. Sicuramente le lavorazioni di ripristino della sede stradale sono subordinati alla messa in sicurezza del costone roccioso che potrà avvenire attraverso disgaggi, rafforzamento e consolidamento corticale con reti e chiodature, ancoraggi profondi, posa in opera di pannelli in rete lungo tutta l’area sommitale del costone roccioso, ecc. Solo successivamente, le attività potrebbero spostarsi sull’asse stradale e contestualmente sul ripristino delle barriere paramassi a monte della SS18. Per quanto riguarda invece la parte più a valle della SS18, bisognerebbe procedere con interventi di rafforzamento e consolidamento corticale mediante posa in opera direte metallica e successivo imbrigliamento con funi metalliche zincate di blocchi instabili»
Realmente le barriere paramassi, hanno svolto egregiamente la loro funzione, o si sono dimostrate insignificanti e/o insufficienti?
«Le barriere paramassi sono progettate per assorbile una energia cinetica sviluppata da blocchi aventi una volumetria definita ed individuata proprio grazie ai rilievi e studi geologici, geostrutturali che definiscono, grazie alla individuazione delle diverse famiglie di discontinuità il più probabile volume di distacco dei blocchi lungo il versante. In questo caso il volume dei blocchi distaccati è di dimensioni tali da vanificare ogni intervento. In questi contesti purtroppo non possiamo parlare di interventi definitivi se non considerando soluzioni alternative al tracciato stradale rappresentate principalmente da tratti in galleria che annullano praticamente il rischio lungo il versante»
Chi grida al “fare presto” realmente non ha capito un tubo catodico sulla frana di Castrocucco di Maratea, concorda?
«Il “fare presto” non può essere legato alla sola riapertura della strada che ad ogni modo deve tener conto delle diverse fasi di intervento e della complessità delle azioni e lavorazioni previste. Questo grido di aiuto deve servire a tutti per aumentare le azioni di prevenzione messe in campo, dagli interventi non strutturali di sorveglianza del territorio alla redazione di un parco progetti da parte dei comuni. Solo il 10% della popolazione conosce il piano di protezione civile del proprio comune, abbiamo bisogno di un vero e proprio cambio culturale e pensare che le allerte meteo, i bollettini di criticità idrogeologica sono uno strumento straordinario che, se rispettati, mettono al sicuro la nostra vita. Nessun geologo nei comuni lucani, questo l’amara verità, questo il nostro destino, e su questo che dobbiamo “fare presto”!».