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ALTRO CHE PEPE, NELLA LEGA CI VUOLE UN PÒ DI SALE

TACCO&SPILLO

Confessiamo che davanti al nulla leghista di cui avevano dato prova pressoché unanime i nipotini lucani di Salvini, Paquale Pepe ci era sembrato un marziano di talento e d’astuzia, almeno per rimettere ordine e soprattutto incaponirsi della bellezza del cambiamento, su cui pure il centrodestra e Vito Bardi avevano fatto squilli di tromba e proclami ai quattro venti pur d’acchiappare qualche voto in più. Eppure a distanza di tre anni di quella salvifica iconografia che avrebbe dovuto ripensare in salsa leghista la Basilicata è rimasto ben poco se non una rassegnazione piccina e piena d’incapacità a muoversi, perfino minimamente come quando si sta in un museo delle cere a fissare la fascinazione della vita immobile. L’avranno capito anche gli highlander leghisti se, pur di sopravvivere agli eventi avversi, hanno lasciato Pepe in brache di tela e se la sono dati a gambe ora fidanzandosi con FdI ora stando nel limbo dorato del gruppo misto ora sognando una Basilicata Oltre Bardi. Tutto questo per dire che nella Lega più che del Pepe ci sarebbe bisogno matto del sale con cui si deve apparecchiare per bene la portata della cucina politica su sanità, lavoro, economia, giovani. Recita un vecchio motto  yiddish:“Il Pepe non serve a niente quando è il sale che manca”.

 

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