LA MALEDIZIONE DEI PENTITI
Oltre il giardino ospite il giornalista Amendolara: dai basilischi alla criminalità attuale. L’idra malavitosa, i clan lucani che sopravvivono ai collaboratori di giustizia
Sono passati 26 anni da quel 29 Aprile 1997 in cui i coniugi Gianfredi furono uccisi a Potenza in quello che è stato ed è a tutt’ora il più grave delitto di criminalità organizzata mai commesso nel capoluogo di Regione. A distanza di anni, tutti i protagonisti da Gino Cosentino ad Alessio Telesca, fino a Claudio Lisanti e Alessandro D’Amato sono deceduti, così come sono deceduto tutti i pentiti e i testimoni delle indagini relative ai Basilischi. Se n’è parlato compiutamente ad “Oltre il Giardino” su Cronache 76 condotto da Paride Leporace che ha intervistato Fabio Amendolara, giornalista di giudiziaria e massimo esperto di fatti di criminalità organizzata lucana.
UNA MAFIA AUTONOMA
È stata l’occasione per Fabio Amendolara e Paride Leporace di parlare della nascita del clan dei Basilischi, ovvero della prima organizzazione malavitosa lucana che provò negli anni ’90 ad emanciparsi dalle penetrazioni della Sacra Corona Unita e della Camorra per costituire un autonomo sodalizio criminoso. Un’idea nata in carcere nella menta criminale di Giovanni Cosentino che coinvolse Antonio Cossidente che fu “battezzata” dalle ‘ndrine di Rosarno e segnatamente da quella dei Pesce. L’omicidio Gianfredi, secondo la verità processuale, fu ordinato per dare un segnale a Renato Martorano uccidendo l’eminenza grigia del suo clan, la moglie Patrizia Santarsiero sarebbe morta per la tragica fatalità di trovarsi nella macchina insieme al marito, cosa che i sicari non avevano previsto nella progettazione del delitto.
LA MALEDIZIONE DEI PENTITI LUCANI
Gino Cosentino, forse il più celebre dei pentiti della mafia lucana è morto di un male incurabile, così come altri protagonisti di quel periodo per i quali il trascorrere del tempo ha determinato la fine. Più avvolta da mistero è la morte di Alessio Telesca. Il mafioso, diventato collaboratore di giustizia, era a Montemarciano sotto protezione, quando uscito per una passeggiata fu investito da un’autovettura. La vicenda fu trattata come “omicidio stradale” e, malgrado le indagini delle autorità giudiziarie, non emerse mai nessun collegamento tra l’autista che investì il Telesca e qualsiasi ambiente malavitoso. Una singolare coincidenza, uno scherzo del destino e niente più determinò la morte del collaboratore di giustizia.
UNA MAFIA ANCORA DA CONTROLLARE
Divisi tra coloro i quali continuano a credere alla narrazione della Basilicata isola felice e quanti, invece, ritengono che esistono interessi malavitosi nella nostra regione i lucani tendono a rimuovere dalla memoria condivisa l’omicidio Gianfredi così come cercano di dimenticare quella stagione in cui a Potenza ed in Basilicata si sparava e si moriva per regolamenti di conti e faide. Gli inquirenti ogni tanto accendono i riflettori sugli affari malavitosi che si svolgono in Lucania e ci ricordano che non esistono terre felici. “Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male, qualche assassinio senza pretese abbiamo anche noi in paese” scriveva De Andrè che in quel caso raccontava di un omicidio legato al racket della prostituzione. Forse anche a Potenza, dove un vero movimento di anti mafia non è mai nato né è si è mai formata una cultura civile di contrasto alla delinquenza organizzata, è opportuno ricordare che qualche assassinio malavitoso e qualche organizzazione mafiosa l’abbiamo avuta anche nella nostra città e che se c’è stata può riproporsi sotto altre forme, magari per altri affari. È sempre opportuno tenere alta la guardia.
Di Massimo Dellapenna