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CHIMENTI, LA PASSIONE INFINITA PER IL CALCIO

Il ricordo di Paride Leporace

Vito Chimenti è morto di domenica. È morto in uno spogliatoio, come tanti che ha frequentato nei suoi settant’anni di vita vissuta sui campi di calcio. Allenava ancora giovani e portieri del Pomarico perché certi atleti la passione non la perdono mai. La partita contro il Real Senise, campionato di Interregionale, è stata giustamente sospesa. Un campione di altri tempi, senza tatuaggi e curatore di immagine, baffi quasi mongoli, leggermente stempiato, tozzo nel fisico e agile nei movimenti come erano spesso gli attaccanti del tempo. Fratello minore di Francesco, indomito bomber della Sambenedettese e zio di Antonio detto Zucchina, portiere di valore. Se oggi ci si esalta per la rabona, in quel calcio povero ma bello Vito Chimenti inventò invece la “bicicletta” un colpo che lo ha fatto ricordare nel Calcio e mille battaglie, l’infinita passione di Chimenti per il pallone Morto di domenica in uno spogliatoio: un campione di altri tempi che continuava a trasmettere ai giovani i valori sportivi che fanno crescere anche fuori dal campo momento della scomparsa da tutta la stampa sportiva italiana. Era un dribbling in cui faceva passare il pallone sopra la testa, qualcuno lo scambia con il sombrero quando lo confezionano Neymar o Douglas Costa; il colpo lo mostra anche Ardiles in “Fuga per la vittoria” ma sempre bicicletta è. Raccontano che Anquiletti se la prese molto subendola da Chimenti. L’attaccante si scusò negli spogliatoi. Nella polvere di stelle c’è sempre un giorno di gloria per un calciatore che viene dai bassifondi. Al San Paolo non ancora Maradona aveva mandato in visibilio ventimila palermitani nella finale di Coppa Italia contro la Juventus stellare del 1979 segnando a Zoff al primo minuto della partita. Antonio Cabrini lo manda anzitempo negli spogliatoi e la partita finirà a favore delle zebre 2-1 ad una manciata di minuti dai rigori. E che a Palermo fosse rimasto nel cuore, lo dimostra il fatto che i tifosi rosanero lo vollero come proprio rappresentante nella Consulta d’indirizzo che ha rifondato la società. Barese, ha esordito in serie C con il Matera. Segnerà 34 reti in tre diversi campionati guidando anche una promozione in serie D. Ebbe la gloria della serie A con Pistoiese, Catanzaro e Avellino, fece sussultare i tifosi anche al Vestuti di Salerno, al Lecco e al Taranto. Smessi gli scarpini rimase nell’ambiente come allenatore. Iniziò ancora in Basilicata allenando l’Avigliano nell’Interregionale. Salvò la squadra ed iniziò un’altra leggenda di periferia su campi malmessi ed epica di periferia. Secondo allenatore, uomo spogliatoio, vecchio marinaio da nave scuola. A Matera aveva trovato l’amore della moglie Anna e una delle sue patrie calcistiche. Qualcuno ti racconta ancora di un gol in cui bucò la rete e il gol fu annullato perché non c’era Var. Qualcuno vi racconterà di qualche mitica bicicletta. Un barese diventato materano Vito Chimenti. Il calcio lucano farebbe bene ad onorare Vito Chimenti con un minuto di raccoglimento su tutti i campi di Basilicata. Il calcio ha le sue ragioni misteriose che la ragione non conosce, ha scritto Osvaldo Soriano. Tra le ragioni del calcio lucano nell’albo d’oro restano a futura memoria i gol e le biciclette di Vito Chimenti.

Di Paride Leporace

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