PAPA FRANCESCO IN SUD SUDAN 🇸🇩
Un pellegrinaggio ecumenico per la pace
PAPA
Sud Sudan, il nunzio: aspettiamo dal Papa sostegno alla pace e alla giustizia
Francesca Sabatinelli – Juba (Sud Sudan)
Sono racchiusi nel logo della visita di Francesco i dolori e le speranze del Sud Sudan, il più giovane Paese del mondo, indipendente dal 2011, che accoglierà il Papa domani, 3 febbraio, in arrivo dalla Repubblica Democratica del Congo: i contorni della mappa della nazione africana, con i colori della bandiera; la croce, simbolo dell’eredità cristiana del Paese, ma anche della sua sofferenza, due mani che si stringono a indicare il desiderio di riconciliazione dei gruppi, affinché creino una sola nazione; una colomba con un ramoscello d’ulivo a testimonianza del desiderio di pace, e poi la frase del Vangelo di Giovanni “Prego perché tutti siano una cosa sola”.
La guerra e la distruzione
Questo piccolo e fragile Paese, a dispetto delle immense ricchezze su cui poggia, sin dalla sua nascita è tra i luoghi più poveri al mondo, devastato dalla violenza, dalla guerra civile, dagli scontri tra diversi gruppi etnici, da un bilancio di 400 mila morti in sei anni di conflitto, e adesso anche dai cambiamenti climatici che hanno portato miseria, distruzione, fame e milioni di sfollati interni. Il livello di malnutrizione è tale da far collocare il Sud Sudan tra i quattro Paesi con la più grande crisi in atto nel mondo.
L’incontro in Vaticano
A dare un forte impulso al processo di pacificazione fu proprio il Papa, nell’aprile del 2019, incontrando i massimi vertici istituzionali del Paese, che nel settembre precedente avevano firmato un accordo di pace: il presidente Salva Kiir e i vicepresidenti designati, tra loro il leader dell’opposizione Riek Machar. A loro Francesco chiese di rimanere nella pace, a loro Francesco lavò i piedi, un gesto mai dimenticato dai sud sudanesi che, dopo la delusione della mancata visita del luglio scorso, rimandata per consentire al Papa di effettuare terapie al ginocchio, oggi lo accolgono, assieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby e al moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields. Il popolo si aspetta dal Papa un forte incoraggiamento, racconta il nunzio apostolico nel Paese, monsignor Hubertus Matheus Maria van Megen:
Eccellenza, finalmente il Sud Sudan potrà accogliere Francesco, un momento tanto atteso dalla popolazione tutta…
Quando è arrivata la notizia che avevano cancellato la visita del Papa, all’inizio di luglio, c’è stata una grande delusione e molta gente ha detto: “Mah, chissà se il Papa ancora verrà”. Poi, quando all’inizio di dicembre è stato annunciato che questa visita ci sarebbe stata, è stata espressa incredulità, come a dire: “Vediamo se veramente il Santo Padre viene o meno”. Dall’inizio di gennaio, invece, si è manifestata la febbre dell’attesa del Santo Padre e ora, anche da parte del governo, sono tutti fortemente in attesa. Uno dei ministri mi ha detto: “Adesso tutti ci credono veramente, tutti stanno preparando, tutti sperano che tutto vada bene, perché per noi è molto importante che il Papa viene ad incoraggiarci”. Questo è veramente il sentimento generale della popolazione che sta spettando con grande gioia la visita del Santo Padre, dell’arcivescovo di Canterbury e del moderatore della Chiesa di Scozia (Justin Welby e Iain Greenshields, ndr).
È una visita che serve come sostegno e come incoraggiamento per un popolo che ripone molta speranza nella presenza del Papa…
Il popolo del Sud Sudan è un popolo che ha sofferto e non solo recentemente, ma da anni, si potrebbe dire che dall’indipendenza del Sudan dagli inglesi, o poco dopo, già si erano avuti i primi scontri con il Nord, con il governo di Khartum. Questi scontri, questa guerra civile, con tanti morti, massacri e crudeltà, ha continuato per tutti questi anni, con una pausa qui e là, ma c’è stato sempre questo filo di conflitto, di guerra. Poi è arrivata, nel 2011, la tanto attesa indipendenza del Sud Sudan (da Khartoum, ndr) e tutti credevano che finalmente arrivasse la pace. Invece no, dopo 2-3 anni, si è di nuovo cominciato, stavolta però con i conflitti tribali, in qualche modo più crudeli di quello col Nord. Questo conflitto si è calmato un po’, ci sono ancora scontri in alcuni punti del Paese, non più su tutto il territorio, però ancora con morti e feriti. Il popolo è veramente stanco, non ne può più, aspira alla pace, ogni persona vorrebbe vivere una vita in pace, in giustizia, in cui far crescere i figli, in cui c’è abbastanza da mangiare, in cui si possono mandare i figli a scuola, per molta gente in Sud Sudan, però, questa non è una realtà, è solo un sogno che non hanno mai potuto vivere. E allora si spera nell’arrivo del Papa, si spera che in qualche modo Francesco possa portare un po’ di pace e di calma in questo Paese, affinché possa finalmente svilupparsi e arrivare a una vera giustizia in cui tutti possano raggiungere i loro sogni.
Nel 2019 il Papa incontrava in Vaticano le massime cariche istituzionali del Sud Sudan. Tutti ricordano quella forte immagine, dall’alto valore simbolico, di Francesco che si china per baciare i piedi dei leader e che chiede loro di lavorare per avviare percorsi di pace, che cosa ne è stato di quelle parole del Papa?
Il Papa ha fatto questo fortissimo gesto del bacio dei piedi dei governatori dei leader del Sud Sudan e loro stessi, il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar, me lo hanno confessato: sono rimasti molto commossi da questo gesto, tanto da voler fare il possibile per arrivare ad una pace. Si può dire, in fondo, che da quel giorno in poi, dall’11 aprile 2019, non c’è più stata una guerra aperta, è rimasta però su piccola scala, la guerra è continuata in diversi luoghi. Penso che quasi ci sia una incapacità politica di arrivare ad una vera intesa tra le diverse fazioni per arrivare una pace, e penso che il Papa, in qualche modo, potrebbe essere mediatore, forse non tanto con le parole, ma piuttosto con la sua persona, come Papa, come Pastore della Chiesa, considerando anche che i vertici sono cristiani, soprattutto per il presidente Salva Kiir, che è cattolico, per lui è molto importante che il Papa venga adesso e che lo incoraggi. Io credo che Salva Kiir veramente voglia ascoltare il Papa e Francesco può avere un forte impatto sui leader del Sud Sudan, può incoraggiarli e lo ascolteranno. Credo fermamente che possano arrivare a una certa intesa, perché sanno che è il Papa, Pastore della Chiesa, a desiderarlo, il Vicario di Cristo. Anche il popolo lo vuole, adesso c’è una pressione da tutte le parti affinché i leader arrivino ad una vera pace, che è stata avviata a Roma, in Vaticano, con quel famoso bacio.
E qui si inserisce anche l’importante e il forte valore ecumenico di questa visita. Il Paese è a stragrande maggioranza cristiano e il Papa andrà accompagnato dall’arcivescovo di Canterbury a dal moderatore della Chiesa di Scozia: questo è un valore in più che si inserisce in questo forte messaggio di pace…
Esattamente, e penso anche che questo carattere ecumenico sia anche una testimonianza da parte della Chiesa per poter dire: noi come Chiese cerchiamo di essere uno, cerchiamo di darci la mano, cerchiamo di parlare con una voce, lo chiediamo anche adesso a voi, leader, parlate con una voce, datevi la mano e lavoriamo insieme come leader del Paese, come leader delle Chiese, per un Paese più pacifico e più giusto. Veramente questa è una cosa che si sente molto in Sud Sudan. Le persone, così come i leader delle Chiese, che siano cattolici, anglicani o presbiteriani, loro in primo luogo sono sud sudanesi alla ricerca della pace, e le Chiese possono aiutare ad arrivare a questa pace, le Chiese che si danno la mano e insieme lavorano per questo importantissimo progetto di pace basato sulla giustizia.
L’agenda del Papa, come in ogni viaggio, è estremamente impegnata. Probabilmente il momento più toccante sarà l’incontro di Francesco con gli sfollati, quanto è pesante questa sofferenza nel Paese?
Gli sfollati in Sud Sudan sono milioni, direi quasi che ogni famiglia ha almeno qualche membro, se non tutta la famiglia, che è sfollato. Molti sud sudanesi hanno dovuto lasciare il loro villaggio, la loro città, per andare in un altro posto nel Paese a causa della guerra, del conflitto. Inoltre, ultimamente, ci sono state molte inondazioni, per cui non è solo più il conflitto la causa, ma anche i disastri naturali, ecologici, che pesano su questa nazione, e allora si è pensato che sia molto importante per il Papa di poter incontrare questa gente che vive nei campi sfollati attorno a Juba e alle altre grandi città del Sud Sudan, per poter avere un’impressione della loro sofferenza e anche della loro speranza, la grande forza, direi quasi, del continente africano. Nonostante tutta la miseria in cui una persona possa vivere, gli africani mantengono una certa speranza, mantengono, e lo dico con prudenza, una certa felicità, riescono a sorridere anche nella miseria più profonda, il che è quasi un incoraggiamento anche per noi occidentali, che spesso siamo scontenti e insoddisfatti della nostra situazione. Vivendo con gli sfollati si capisce quanto fortunati siamo noi, paragonati a queste persone che veramente hanno perso tutto e che devono, spesso due o tre volte nella loro vita, ricominciare da capo, perché hanno perso la casa, i campi, purtroppo spesso un loro caro, i bambini, la moglie, il marito, i genitori. In qualche modo devono continuare a vivere, e questo mi sembra forse l’incontro più importante per il Papa, quello con questa gente, per sentire le loro storie, le loro testimonianze, per capire, anche più in fondo, come Cristo sta con loro e soffre con loro. Ecco, mi sembra che questo sia molto importante.
Sud Sudan in festa per l’arrivo di Francesco, la lunga attesa diventata realtà
Francesca Sabatinelli – Giuba (Sud Sudan)
Benvenuto Francesco, nel tuo primo viaggio in Sud Sudan.Il Papa in questo Paese ora è realtà, ei canti e gli slogan che lo accolgono a Giuba, con queste parole, tradiscono l’emozione e la felicità per un sogno che in moltino credevano irrealizzabile, soprattutto dopo l’annullamento del viaggio del luglio scorso , quando a venire fu il cardinale Pietro Parolin, che portò con sé il dolore di Francesco per aver dovuto cedere al rinvio a causa delle cure al ginocchio. Ad accogliere il Papa all’arrivo a Giuba, proveniente dalla RDC, ai piedi dell’aereo Ati dalla livrea azzurra, è il presidente Salva Kiir, incontrato da Francesco nel 2019 a Casa Santa Marta, assieme ai vicepresidenti, un evento le cui immagini, il Papa che si inchina per baciare i piedi ai governanti di un Paese divorato dalla violenza sin dalla sua nascita, nel 2011, sono ancora vive nella memoria dei sud sudanesi.
Giuba offre la sua speranza
Le danze che accolgono Francesco in aeroporto sono l’espressione dell’immensa gioia che il popolo sta vivendo per la sua presenza, che per tanti qui significherà essere confermati in una fede che è rimasta salda, nonostante la violenza fratricida che non ha mai smesso di distruggere vite e di provocare sfollati, come quelli che Francesco incontrerà domani nella Freedom Hall, da molti definito il più intenso tra gli appuntamenti che il Papa avrà nel Paese fino al giorno della sua partenza, il 5 febbraio. Ad aprirsi agli occhi del Papa, al quale è stata intitolata quella che forse è l’unica strada asfaltata della città, His Holiness Pope Francis Road (Via Sua Santità Papa Francesco), che conduce direttamente alla nunziatura e che è stata conclusa frettolosamente nelle ultime ore notturne, non è una città tirata a lucido. La polvere che sommerge strade mai costruite è ancora tutta là, come le enormi buche che si aprono improvvisamente sullo sterrato. Giuba in queste ore è paralizzata, circondata da uno strettissimo cordone di sicurezza, e certamente non si è imbellettata. Si presenta a Francesco per quello che è, con le sue baracche di lamiera e fango, con i cumuli di immondizia e le fogne a cielo aperto, con i bambini vestiti di stracci e senza scarpe. Ciò che offre è però qualcosa di molto prezioso: la speranza di un popolo tutto alla ricerca di pace e unità, di un Paese intero che, nonostante il ricchissimo sottosuolo, è schiacciato da guerra, da povertà, e ora anche da un clima impazzito che si manifesta con alluvioni continue e devastanti per la già disgraziata economia, e che non fanno altro che ingrossare le file già spaventose di rifugiati e sfollati interni.
Un pellegrinaggio ecumenico per la pace
Giuba, per incontrare il Pontefice, si è preparata facendo sua la riflessione sul valore della riconciliazione, che qui resta una profonda sfida ma che è portato avanti da tutti coloro che vedono nel Papa colui che potrà parlare ai leader per incitarli, affinché l’accordo di pace del 2018 tra gruppi rivali non continui ad essere inutile carta e per sollecitarli a lavorare insieme per il bene del loro popolo. Il pellegrinaggio ecumenico che inizia oggi di Francesco, dell’arcivescovo di Canterbury Welby e del moderatore della Chiesa di Scozia Greenshields, giunti prima del Pontefice, vuole essere quindi testimonianza di pace e giustizia, in solidarietà con il popolo, affinché non si debbano più piangere i morti e distruzione.
Gli appuntamenti di oggi
Il Papa subito dopo l’arrivo e l’incontro con il presidente ei vicepresidenti, presso il palazzo presidenziale, incontrerà le autorità la società civile e il corpo diplomatico presso il giardino dello stesso palazzo, ai quali rivolgerà il suo primo discorso di questa tappa sud sudanese, subito dopo vi sarà il trasferimento alla nunziatura apostolica dove concluderà la giornata.
Il Papa: il Sud Sudan non si riduca a cimitero, torni a essere giardino
Antonella Palermo – Città del Vaticano
È la grande metafora del fiume a fare da sfondo all’ampio discorso pronunciato da Papa Francesco nel giardino della residenza presidenziale di fronte alle autorità del Sud Sudan. Nella Repubblica Democratica del Congo aveva usato quella del diamante; qui l’immagine a cui si ispira per lanciare un inequivocabile, franco e diretto messaggio di pace e stabilizzazione è quella del corso d’acqua che attraversa il Paese africano. L’auspicio del Pontefice è che il Sud Sudan “si riconcili e cambi rotta”:
Il cammino di pace non è più rimandabile
È una terra che il Papa dice di portare nel cuore, quella del Sud Sudan, dove giunge in pellegrinaggio ecumenico. Sul libro d’onore firmato nella visita di cortesia nel palazzo presidenziale scrive: “Qui pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità.”
Una pace il cui cammino è “tortuoso ma non più rimandabile”. La consapevolezza si deduce dal “grido di un intero popolo che, con grande dignità – precisa Francesco – piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono”.
Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente, persino ieri, si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto.
Il Pontefice non trascura di fare riferimento al tragico agguato inferto da pastori armati che proprio ieri ha causato la morte di almeno 21 persone, uccise in un raid per il furto di bestiame. La rappresaglia contro una comunità rivale nella contea di Kajo-Keji dell’Equatoria centrale.
C’è bisogno di padri, non di padroni
Come ha ricordato per la Repubblica Democratica del Congo, anche il Sud Sudan – sottolinea il Papa – è una terra di grande abbondanza, non solo come vegetazione ma per le risorse del sottosuolo: un ‘dono del Nilo’.
Distinte Autorità, siete voi queste sorgenti, le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute.
Le ferite lascino il posto a una crescita pacifica, insiste Francesco, guardando e invitando a guardare alle future generazioni che onoreranno questa terra nella misura in cui si saprà consegnarla nella concordia. “La violenza invece, fa regredire il corso della storia”. E implora:
Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51).