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PAPA FRANCESCO IN SUD SUDAN 🇸🇩

Un pellegrinaggio ecumenico per la pace

PAPA
Papa Francesco con a destra Justin Welby e a sinistra Salva Kiir e Iain Greenshields (VATICAN MEDIA Divisione Foto)
Sud Sudan, il nunzio: aspettiamo dal Papa sostegno alla pace e alla giustizia

Monsignor Hubertus Matheus Maria van Megen racconta la speranza dei sud sudanesi che domani accoglieranno il Pontefice in arrivo dalla Repubblica Democratica del Congo, dopo averlo atteso a lungo. “Sperano che possa portare un po’ di calma in questo Paese, affinché possa finalmente svilupparsi e tutti possano raggiungere i loro sogni”

Francesca Sabatinelli – Juba (Sud Sudan)

Sono racchiusi nel logo della visita di Francesco i dolori e le speranze del Sud Sudan, il più giovane Paese del mondo, indipendente dal 2011, che accoglierà il Papa domani, 3 febbraio, in arrivo dalla Repubblica Democratica del Congo: i contorni della mappa della nazione africana, con i colori della bandiera; la croce, simbolo dell’eredità cristiana del Paese, ma anche della sua sofferenza, due mani che si stringono a indicare il desiderio di riconciliazione dei gruppi, affinché creino una sola nazione; una colomba con un ramoscello d’ulivo a testimonianza del desiderio di pace, e poi la frase del Vangelo di Giovanni “Prego perché tutti siano una cosa sola”.

La guerra e la distruzione

Questo piccolo e fragile Paese, a dispetto delle immense ricchezze su cui poggia, sin dalla sua nascita è tra i luoghi più poveri al mondo, devastato dalla violenza, dalla guerra civile, dagli scontri tra diversi gruppi etnici, da un bilancio di 400 mila morti in sei anni di conflitto, e adesso anche dai cambiamenti climatici che hanno portato miseria, distruzione, fame e milioni di sfollati interni. Il livello di malnutrizione è tale da far collocare il Sud Sudan tra i quattro Paesi con la più grande crisi in atto nel mondo. 

L’incontro in Vaticano 

A dare un forte impulso al processo di pacificazione fu proprio il Papa, nell’aprile del 2019, incontrando i massimi vertici istituzionali del Paese, che nel settembre precedente avevano firmato un accordo di pace: il presidente Salva Kiir e i vicepresidenti designati, tra loro il leader dell’opposizione Riek Machar. A loro Francesco chiese di rimanere nella pace, a loro Francesco lavò i piedi, un gesto mai dimenticato dai sud sudanesi che, dopo la delusione della mancata visita del luglio scorso, rimandata per consentire al Papa di effettuare terapie al ginocchio, oggi lo accolgono, assieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby e al moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields. Il popolo si aspetta dal Papa un forte incoraggiamento, racconta il nunzio apostolico nel Paese, monsignor Hubertus Matheus Maria van Megen:

Eccellenza, finalmente il Sud Sudan potrà accogliere Francesco, un momento tanto atteso dalla popolazione tutta…

Quando è arrivata la notizia che avevano cancellato la visita del Papa, all’inizio di luglio, c’è stata una grande delusione e molta gente ha detto: “Mah, chissà se il Papa ancora verrà”. Poi, quando all’inizio di dicembre è stato annunciato che questa visita ci sarebbe stata, è stata espressa incredulità, come a dire: “Vediamo se veramente il Santo Padre viene o meno”. Dall’inizio di gennaio, invece, si è manifestata la febbre dell’attesa del Santo Padre e ora, anche da parte del governo, sono tutti fortemente in attesa. Uno dei ministri mi ha detto: “Adesso tutti ci credono veramente, tutti stanno preparando, tutti sperano che tutto vada bene, perché per noi è molto importante che il Papa viene ad incoraggiarci”. Questo è veramente il sentimento generale della popolazione che sta spettando con grande gioia la visita del Santo Padre, dell’arcivescovo di Canterbury e del moderatore della Chiesa di Scozia (Justin Welby e Iain Greenshields, ndr).

È una visita che serve come sostegno e come incoraggiamento per un popolo che ripone molta speranza nella presenza del Papa…

Il popolo del Sud Sudan è un popolo che ha sofferto e non solo recentemente, ma da anni, si potrebbe dire che dall’indipendenza del Sudan dagli inglesi, o poco dopo, già si erano avuti i primi scontri con il Nord, con il governo di Khartum. Questi scontri, questa guerra civile, con tanti morti, massacri e crudeltà, ha continuato per tutti questi anni, con una pausa qui e là, ma c’è stato sempre questo filo di conflitto, di guerra. Poi è arrivata, nel 2011, la tanto attesa indipendenza del Sud Sudan (da Khartoum, ndr) e tutti credevano che finalmente arrivasse la pace. Invece no, dopo 2-3 anni, si è di nuovo cominciato, stavolta però con i conflitti tribali, in qualche modo più crudeli di quello col Nord. Questo conflitto si è calmato un po’, ci sono ancora scontri in alcuni punti del Paese, non più su tutto il territorio, però ancora con morti e feriti. Il popolo è veramente stanco, non ne può più, aspira alla pace, ogni persona vorrebbe vivere una vita in pace, in giustizia, in cui far crescere i figli, in cui c’è abbastanza da mangiare, in cui si possono mandare i figli a scuola, per molta gente in Sud Sudan, però, questa non è una realtà, è solo un sogno che non hanno mai potuto vivere. E allora si spera nell’arrivo del Papa, si spera che in qualche modo Francesco possa portare un po’ di pace e di calma in questo Paese, affinché possa finalmente svilupparsi e arrivare a una vera giustizia in cui tutti possano raggiungere i loro sogni.

Nel 2019 il Papa incontrava in Vaticano le massime cariche istituzionali del Sud Sudan. Tutti ricordano quella forte immagine, dall’alto valore simbolico, di Francesco che si china per baciare i piedi dei leader e che chiede loro di lavorare per avviare percorsi di pace, che cosa ne è stato di quelle parole del Papa?

Il Papa ha fatto questo fortissimo gesto del bacio dei piedi dei governatori dei leader del Sud Sudan e loro stessi, il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar, me lo hanno confessato: sono rimasti molto commossi da questo gesto, tanto da voler fare il possibile per arrivare ad una pace. Si può dire, in fondo, che da quel giorno in poi, dall’11 aprile 2019, non c’è più stata una guerra aperta, è rimasta però su piccola scala, la guerra è continuata in diversi luoghi. Penso che quasi ci sia una incapacità politica di arrivare ad una vera intesa tra le diverse fazioni per arrivare una pace, e penso che il Papa, in qualche modo, potrebbe essere mediatore, forse non tanto con le parole, ma piuttosto con la sua persona, come Papa, come Pastore della Chiesa, considerando anche che i vertici sono cristiani, soprattutto per il presidente Salva Kiir, che è cattolico, per lui è molto importante che il Papa venga adesso e che lo incoraggi. Io credo che Salva Kiir veramente voglia ascoltare il Papa e Francesco può avere un forte impatto sui leader del Sud Sudan, può incoraggiarli e lo ascolteranno. Credo fermamente che possano arrivare a una certa intesa, perché sanno che è il Papa, Pastore della Chiesa, a desiderarlo, il Vicario di Cristo. Anche il popolo lo vuole, adesso c’è una pressione da tutte le parti affinché i leader arrivino ad una vera pace, che è stata avviata a Roma, in Vaticano, con quel famoso bacio.

E qui si inserisce anche l’importante e il forte valore ecumenico di questa visita. Il Paese è a stragrande maggioranza cristiano e il Papa andrà accompagnato dall’arcivescovo di Canterbury a dal moderatore della Chiesa di Scozia: questo è un valore in più che si inserisce in questo forte messaggio di pace…

Esattamente, e penso anche che questo carattere ecumenico sia anche una testimonianza da parte della Chiesa per poter dire: noi come Chiese cerchiamo di essere uno, cerchiamo di darci la mano, cerchiamo di parlare con una voce, lo chiediamo anche adesso a voi, leader, parlate con una voce, datevi la mano e lavoriamo insieme come leader del Paese, come leader delle Chiese, per un Paese più pacifico e più giusto. Veramente questa è una cosa che si sente molto in Sud Sudan. Le persone, così come i leader delle Chiese, che siano cattolici, anglicani o presbiteriani, loro in primo luogo sono sud sudanesi alla ricerca della pace, e le Chiese possono aiutare ad arrivare a questa pace, le Chiese che si danno la mano e insieme lavorano per questo importantissimo progetto di pace basato sulla giustizia.

L’agenda del Papa, come in ogni viaggio, è estremamente impegnata. Probabilmente il momento più toccante sarà l’incontro di Francesco con gli sfollati, quanto è pesante questa sofferenza nel Paese?

Gli sfollati in Sud Sudan sono milioni, direi quasi che ogni famiglia ha almeno qualche membro, se non tutta la famiglia, che è sfollato. Molti sud sudanesi hanno dovuto lasciare il loro villaggio, la loro città, per andare in un altro posto nel Paese a causa della guerra, del conflitto. Inoltre, ultimamente, ci sono state molte inondazioni, per cui non è solo più il conflitto la causa, ma anche i disastri naturali, ecologici, che pesano su questa nazione, e allora si è pensato che sia molto importante per il Papa di poter incontrare questa gente che vive nei campi sfollati attorno a Juba e alle altre grandi città del Sud Sudan, per poter avere un’impressione della loro sofferenza e anche della loro speranza, la grande forza, direi quasi, del continente africano. Nonostante tutta la miseria in cui una persona possa vivere, gli africani mantengono una certa speranza, mantengono, e lo dico con prudenza, una certa felicità, riescono a sorridere anche nella miseria più profonda, il che è quasi un incoraggiamento anche per noi occidentali, che spesso siamo scontenti e insoddisfatti della nostra situazione. Vivendo con gli sfollati si capisce quanto fortunati siamo noi, paragonati a queste persone che veramente hanno perso tutto e che devono, spesso due o tre volte nella loro vita, ricominciare da capo, perché hanno perso la casa, i campi, purtroppo spesso un loro caro, i bambini, la moglie, il marito, i genitori. In qualche modo devono continuare a vivere, e questo mi sembra forse l’incontro più importante per il Papa, quello con questa gente, per sentire le loro storie, le loro testimonianze, per capire, anche più in fondo, come Cristo sta con loro e soffre con loro. Ecco, mi sembra che questo sia molto importante.

Sud Sudan in festa per l’arrivo di Francesco, la lunga attesa diventata realtà

La gioia palpabile per l’approdo del Papa nel Paese africano contrasta con le ferite aperte di una nazione e una città, la capitale Giuba, che si mostrano per quello che sono, tra povertà diffusa e lotta per trovare un equilibrio di riconciliazione interno, fiduciose che il viaggio apostolico porterà a un nuovo inizio

Francesca Sabatinelli – Giuba (Sud Sudan)

Benvenuto Francesco, nel tuo primo viaggio in Sud Sudan.Il Papa in questo Paese ora è realtà, ei canti e gli slogan che lo accolgono a Giuba, con queste parole, tradiscono l’emozione e la felicità per un sogno che in moltino credevano irrealizzabile, soprattutto dopo l’annullamento del viaggio del luglio scorso , quando a venire fu il cardinale Pietro Parolin, che portò con sé il dolore di Francesco per aver dovuto cedere al rinvio a causa delle cure al ginocchio. Ad accogliere il Papa all’arrivo a Giuba, proveniente dalla RDC, ai piedi dell’aereo Ati dalla livrea azzurra, è il presidente Salva Kiir, incontrato da Francesco nel 2019 a Casa Santa Marta, assieme ai vicepresidenti, un evento le cui immagini, il Papa che si inchina per baciare i piedi ai governanti di un Paese divorato dalla violenza sin dalla sua nascita, nel 2011, sono ancora vive nella memoria dei sud sudanesi.

Giuba offre la sua speranza

Le danze che accolgono Francesco in aeroporto sono l’espressione dell’immensa gioia che il popolo sta vivendo per la sua presenza, che per tanti qui significherà essere confermati in una fede che è rimasta salda, nonostante la violenza fratricida che non ha mai smesso di distruggere vite e di provocare sfollati, come quelli che Francesco incontrerà domani nella Freedom Hall, da molti definito il ​​più intenso tra gli appuntamenti che il Papa avrà nel Paese fino al giorno della sua partenza, il 5 febbraio. Ad aprirsi agli occhi del Papa, al quale è stata intitolata quella che forse è l’unica strada asfaltata della città, His Holiness Pope Francis Road (Via Sua Santità Papa Francesco), che conduce direttamente alla nunziatura e che è stata conclusa frettolosamente nelle ultime ore notturne, non è una città tirata a lucido. La polvere che sommerge strade mai costruite è ancora tutta là, come le enormi buche che si aprono improvvisamente sullo sterrato. Giuba in queste ore è paralizzata, circondata da uno strettissimo cordone di sicurezza, e certamente non si è imbellettata. Si presenta a Francesco per quello che è, con le sue baracche di lamiera e fango, con i cumuli di immondizia e le fogne a cielo aperto, con i bambini vestiti di stracci e senza scarpe. Ciò che offre è però qualcosa di molto prezioso: la speranza di un popolo tutto alla ricerca di pace e unità, di un Paese intero che, nonostante il ricchissimo sottosuolo, è  schiacciato da guerra, da povertà, e ora anche da un clima impazzito che si manifesta con alluvioni continue e devastanti per la già disgraziata economia, e che non fanno altro che ingrossare le file già spaventose di rifugiati e sfollati interni.

Un pellegrinaggio ecumenico per la pace

Giuba, per incontrare il Pontefice, si è preparata facendo sua la riflessione sul valore della riconciliazione, che qui resta una profonda sfida ma che è portato avanti da tutti coloro che vedono nel Papa colui che potrà parlare ai leader per incitarli, affinché l’accordo di pace del 2018 tra gruppi rivali non continui ad essere inutile carta e per sollecitarli a lavorare insieme per il bene del loro popolo. Il pellegrinaggio ecumenico che inizia oggi di Francesco, dell’arcivescovo di Canterbury Welby e del moderatore della Chiesa di Scozia Greenshields, giunti prima del Pontefice, vuole essere quindi testimonianza di pace e giustizia, in solidarietà con il popolo, affinché non si debbano più piangere i morti e distruzione.

Gli appuntamenti di oggi

Il Papa subito dopo l’arrivo e l’incontro con il presidente ei vicepresidenti, presso il palazzo presidenziale, incontrerà le autorità la società civile e il corpo diplomatico presso il giardino dello stesso palazzo, ai quali rivolgerà il suo primo discorso di questa tappa sud sudanese, subito dopo vi sarà il trasferimento alla nunziatura apostolica dove concluderà la giornata.

Il Papa: il Sud Sudan non si riduca a cimitero, torni a essere giardino
A Giuba, nel discorso alle autorità, Francesco sottolinea l’urgenza dell’unità, senza ‘se’ e senza ‘ma’: “Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map”. Occorre cambiare passo, superando inerzia, doppiezze, opportunismi, clientelismi. “Va arginato l’arrivo di armi”, precisa il Pontefice che sprona, inoltre, la comunità internazionale affinché si coinvolga con pazienza e determinazione nel processo di sviluppo dei popoli

Antonella Palermo – Città del Vaticano

È la grande metafora del fiume a fare da sfondo all’ampio discorso pronunciato da Papa Francesco nel giardino della residenza presidenziale di fronte alle autorità del Sud Sudan. Nella Repubblica Democratica del Congo aveva usato quella del diamante; qui l’immagine a cui si ispira per lanciare un inequivocabile, franco e diretto messaggio di pace e stabilizzazione è quella del corso d’acqua che attraversa il Paese africano. L’auspicio del Pontefice è che il Sud Sudan “si riconcili e cambi rotta”: 

“Il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà.”
Il cammino di pace non è più rimandabile

È una terra che il Papa dice di portare nel cuore, quella del Sud Sudan, dove giunge in pellegrinaggio ecumenico. Sul libro d’onore firmato nella visita di cortesia nel palazzo presidenziale scrive: “Qui pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità.”

Una pace il cui cammino è “tortuoso ma non più rimandabile”. La consapevolezza si deduce dal “grido di un intero popolo che, con grande dignità – precisa Francesco – piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono”.

Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente, persino ieri, si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto.

Il Pontefice non trascura di fare riferimento al tragico agguato inferto da pastori armati che proprio ieri ha causato la morte di almeno 21 persone, uccise in un raid per il furto di bestiame. La rappresaglia contro una comunità rivale nella contea di Kajo-Keji dell’Equatoria centrale.

C’è bisogno di padri, non di padroni

Come ha ricordato per la Repubblica Democratica del Congo, anche il Sud Sudan – sottolinea il Papa – è una terra di grande abbondanza, non solo come vegetazione ma per le risorse del sottosuolo: un ‘dono del Nilo’. 

Distinte Autorità, siete voi queste sorgenti, le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute.

Le ferite lascino il posto a una crescita pacifica, insiste Francesco, guardando e invitando a guardare alle future generazioni che onoreranno questa terra nella misura in cui si saprà consegnarla nella concordia. “La violenza invece, fa regredire il corso della storia”. E implora:

Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51).

Incontro con le Autorità del Sud Sudan 🇸🇩 
Il Papa: il Sud Sudan non si riduca a cimitero, torni a essere giardino
A Giuba, nel discorso alle autorità, Francesco sottolinea l’urgenza dell’unità, senza ‘se’ e senza ‘ma’: “Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map”. Occorre cambiare passo, superando inerzia, doppiezze, opportunismi, clientelismi. “Va arginato l’arrivo di armi”, precisa il Pontefice che sprona, inoltre, la comunità internazionale affinché si coinvolga con pazienza e determinazione nel processo di sviluppo dei popoli

Antonella Palermo – Città del Vaticano

È la grande metafora del fiume a fare da sfondo all’ampio discorso pronunciato da Papa Francesco nel giardino della residenza presidenziale di fronte alle autorità del Sud Sudan. Nella Repubblica Democratica del Congo aveva usato quella del diamante; qui l’immagine a cui si ispira per lanciare un inequivocabile, franco e diretto messaggio di pace e stabilizzazione è quella del corso d’acqua che attraversa il Paese africano. L’auspicio del Pontefice è che il Sud Sudan “si riconcili e cambi rotta”: 

“Il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà.”
Il cammino di pace non è più rimandabile

È una terra che il Papa dice di portare nel cuore, quella del Sud Sudan, dove giunge in pellegrinaggio ecumenico. Sul libro d’onore firmato nella visita di cortesia nel palazzo presidenziale scrive: “Qui pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità.”

Una pace il cui cammino è “tortuoso ma non più rimandabile”. La consapevolezza si deduce dal “grido di un intero popolo che, con grande dignità – precisa Francesco – piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono”.

Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente, persino ieri, si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto.

Il Pontefice non trascura di fare riferimento al tragico agguato inferto da pastori armati che proprio ieri ha causato la morte di almeno 21 persone, uccise in un raid per il furto di bestiame. La rappresaglia contro una comunità rivale nella contea di Kajo-Keji dell’Equatoria centrale.

C’è bisogno di padri, non di padroni

Come ha ricordato per la Repubblica Democratica del Congo, anche il Sud Sudan – sottolinea il Papa – è una terra di grande abbondanza, non solo come vegetazione ma per le risorse del sottosuolo: un ‘dono del Nilo’. 

Distinte Autorità, siete voi queste sorgenti, le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute.

Le ferite lascino il posto a una crescita pacifica, insiste Francesco, guardando e invitando a guardare alle future generazioni che onoreranno questa terra nella misura in cui si saprà consegnarla nella concordia. “La violenza invece, fa regredire il corso della storia”. E implora:

Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51).

Basta distruzione, è l’ora della costruzione

Rivolte direttamente al presidente e ai vicepresidenti di questo Paese, le parole del Papa si levano con un tono di supplica struggente e fermissima:

È l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace! E su questo, signor Presidente, mi viene al cuore quel colloquio notturno che abbiamo fatto, che abbiamo avuto in Uganda: la sua voglia di pace era lì. Andiamo avanti su questo.

https://youtu.be/SCqtbP419X4

Non basta chiamarsi Repubblica, occorre esserlo

Papa Francesco offre un approfondimento sul senso della forma repubblicana di uno Stato e lo fa in quella che è la nazione più giovane del mondo, nata il 9 luglio 2011. La precisazione del potere politico come servizio torna opportuna ancora una volta. Perché “la tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi”.

Non basta perciò chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze.

La garanzia della tenuta di una res-publicaè lo sviluppo democratico, precisa il Papa, citando San Giovanni Paolo II e Papa Giovanni a proposito della necessità di assicurare la salvaguardia dei diritti umani di ciascuno. 

È tempo di voltare pagina, senza doppiezze e opportunismi

Tornando alla metafora del fiume Nilo, Bergoglio esprime ancora l’auspicio che il processo di pace non rimanga “impaludato nell’inerzia”. Che ci sia un “cambio di passo”, spera il Papa. L’invito è a sfruttare questa occasione per ricominciare a navigare in acque tranquille, “riprendendo il dialogo, senza doppiezze e opportunismi”. Vincere le “acque malsane dell’odio, del tribalismo, del regionalismo e delle differenze etniche”, dice.

Amici, è tempo di passare dalle parole ai fatti. È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto. Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map!

Oltre gli scontri etnici, più coinvolgimento di giovani e donne

Rispettarsi, conoscersi, dialogare. Sono i tre pilastri da tener presente. 

Perché, se dietro ogni violenza ci sono rabbia e rancore, e dietro a ogni rabbia e rancore c’è la memoria non risanata di ferite, umiliazioni e torti, la direzione per uscire da ciò è solo quella dell’incontro: accogliere gli altri come fratelli e dare loro spazio, anche sapendo fare dei passi indietro. Questo atteggiamento, essenziale per i processi di pace, è indispensabile anche per lo sviluppo coeso della società.

La civiltà si misura anche sul ruolo determinante affidato ai giovani, incalza ancora il Papa, che hanno bisogno di spazi liberi in cui ritrovarsi e dibattere “senza paura”, e del coinvolgimento delle donne nei processi politici e decisionali. Occorre rispetto per loro. Così come, dice il Pontefice, pensarsi come un unico popolo presuppone inevitabilmente andare oltre la contrapposizione in gruppi. Un pensiero poi il Papa lo rivolge ai missionari e agli operatori umanitari che agiscono spesso nell’insicurezza. Non li si dimentichi e li si sostenga, avverte. 

Lotta a corruzione e povertà, cure agli sfollati

Con un passaggio all’avidità di guadagno che non risparmia le violenze inferte all’ambiente, la deforestazione ne è un drammatico esempio anche a queste latitudini, Francesco torna a parlare del più ampio tema della corruzione, già affrontato in terra congolese.

Giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza: ecco il fondale inquinato della società umana, che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve. Anzitutto a contrastare la povertà, che costituisce il terreno fertile nel quale si radicano odi, divisioni e violenza.

Qui l’accenno alla condizione dei milioni di sfollati (previsto un discorso domani a loro dedicato) nel Paese, “relegati ai margini”.  

Il contributo della comunità internazionale

La convivenza umana, conclude il Papa, è possibile se c’è il disarmo. E se c’è una denuncia chiara dall’esterno, pazienza e determinazione nel condividere problemi così radicali e spinosi con altri Paesi, senza tuttavia imporre modelli estranei alla realtà locale. Così si potrà attivare e consolidare una rete di sostegno e di sviluppo che, di fatto, è la grande sfida rilanciata dal Papa da questi territori duramente provati. Il sogno è che i più piccoli potranno avere la libertà di giocare nella spensieratezza invece che avere tra le mani “strumenti da lavoro” o di morte. 

Anzitutto va arginato l’arrivo di armi che, nonostante i divieti, continuano a giungere in tanti Paesi della zona e anche in Sud Sudan: qui c’è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte. Altri argini sono imprescindibili per garantire il corso della vita sociale: mi riferisco allo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, al bisogno di infrastrutture vitali e, in modo speciale, al ruolo primario dell’alfabetismo e dell’istruzione, unica via perché i figli di questa terra prendano in mano il loro futuro.

Giornata per la vita, Chiara Amirante: il male di oggi è la solitudine
Chiara Amirante
La Comunità Nuovi Orizzonti ha diffuso il Messaggio per la 45.ma Giornata nazionale per la Vita che quest’anno ha come titolo “La morte non è mai una soluzione”

Vatican News

Nei bassifondi del cuore molto spesso annida la morte. Per alcune vite la spirale da qualche cielo seducente e finto a un vero inferno che annienta è una caduta senza speranza e senza ritorno. Lo sa bene una “specialista” dei deserti metropolitani, Chiara Amirante, che cominciò la sua missione molti anni fa proprio cominciando a servire gli invisibili della Stazione Termini di Roma.

La morte non è mai la soluzione

Per la 45.ma Giornata nazionale per la Vita la fondatrice di Nuovi Orizzonti ricorda in un messaggio lo “sterminato numero di giovani e persone che vivono “intrappolati in mille dipendenze, non solo di sostanze, di vario genere, cercando la felicità in paradisi artificiali e cercando di rispondere al bisogno fondamentale di ogni persona, amare ed essere amati”, ma che poi “si ritrovano schiave o ferite, avendo cercato la soluzione in cose che chiamano amore ma è tutt’altro”. Da anni, dice la Amirante, “ascolto confidenze di donne che hanno abortito e che nessuno potrà mai consolare, di genitori che hanno perso i propri figli che nella solitudine hanno deciso di farla finita, di chi nel dolore e nella sofferenza estrema, lasciato solo, non ha avuto altra scelta che lasciarsi andare alla disperazione”. E tuttavia, afferma, “la morte non è mai la soluzione”.

La vita va sempre tutelata

Ciò che importa, scrive Chiara Amirante, è “metterci in ascolto e accogliere chi attraverso un abbraccio, un dialogo, uno sguardo, un sentimento cerca sostegno. Dobbiamo attraverso questo cammino di condivisione e ascolto, non solo aiutare chi cerca consolazione, ma promuovere un messaggio di salvezza e prosperità” Cita i circa 56 milioni di aborti compiuti ogni anno – più dei 44 milioni di morti della Seconda Guerra mondiale – o le violenze di genere che 3 donne su 4 hanno subito dal proprio partner o ex, “senza la giusta tutela per poter denunciare”, o ancora gli oltre di 250 milioni di bambini vittime della pedofilia e i tanti casi di suicidio in età adolescenziale (“uno ogni 11 minuti nel mondo”) e conclude: “Non possiamo restare indifferenti. Dobbiamo agire con tutti gli strumenti a nostra disposizione per promuovere sempre e comunque la vita”.

I leader ecumenici ai politici sudsudanesi: la pace è nelle vostre mani
Papa Francesco con a destra Justin Welby e a sinistra Salva Kiir e Iain Greenshields (VATICAN MEDIA Divisione Foto)
L’arcivescovo di Canterbury Justin Welby ricorda l’incontro in Vaticano del 2019 e non nasconde la delusione per i mancati progressi verso la pace. Il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia Greenshield chiede ai leader politici di mettere in pratica la propria fede al servizio dei più vulnerabili e emarginati

Michele Raviart – Città del Vaticano

“Quasi cinque anni dopo, veniamo da voi allo stesso modo: in ginocchio per lavarvi i piedi. Per ascoltare servire e pregare con voi”. L’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, intervenuto dopo le parole di Papa Francesco, si è rivolto ai politici del Sud Sudan, ricordando lo storico incontro del 2019, quando Francesco si inginocchiò davanti al presidente Salva Kiir e ai vicepresidenti del Paese africano per chiedere la pace.

Welby: “Ci aspettavamo di più”

 “Pregammo perché ci fosse spazio per far operare lo Spirito Santo, e in quell’incontro vedemmo la possibilità della speranza”, ha affermato Welby, che si è detto tuttavia rattristato per quanto ha visto e ascoltato da allora. “Speravamo e pregavamo per qualcosa in più. Ci aspettavamo di più. Avevate promesso di più. Non si possono scegliere solo alcune parti dell’accordo di Pace. Ogni parte deve essere applicata da ogni persona e questo costa molto”.

La pace è alla portata con l’aiuto di Dio

La riposta alla pace e alla riconciliazione, ha continuato, “non è in visite come questa, ma è nelle vostre mani”. La pace è infatti “alla vostra portata, è vicina, potete raggiungerla con l’aiuto di Dio”. Un obiettivo da raggiungere per l’eroico e coraggioso popolo del Sud Sudan, che ha combattuto a lungo per la sua libertà e l’ha vinta” e che sicuramente ora “ha il coraggio di lottare per la pace e la riconciliazione”. Come Welby ha ascoltato da un gruppo di bambini delle scuole elementari “Basta corruzione. Vogliamo la pace in Sud Sudan!”

Greenshields: abbiamo bisogno di leader con valori e fede

“Oggi abbiamo bisogno di pace”, ha ribadito anche il reverendo Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. “Abbiamo bisogno di leader che abbiano a cuore i valori per cui vivono i nostri Paesi”, ha affermato, “che si preoccupino delle condizioni in cui vivono le persone e che mettano in pratica la loro fede lavorando tra i più vulnerabili ed emarginati”.

Lavorare per il futuro

L’auspicio è che tutti i leader politici, civili e internazionali “possano unirsi nella ricerca della promessa olistica di Dio di una vita in pienezza per tutto il popolo di Dio”, perché questo è un “Paese giovane e ottimista, pieno di persone pronte a lavorare per un futuro vibrante e soddisfacente”

 

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