TERMINATO IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN CONGO 🇨🇬 E SUD SUDAN 🇸🇩
Gli ultimi momenti della visita del Papa in Sud Sudan 🇸🇩 Il volo A359 di Ita Airways sorvolerà Sudan, Egitto e Grecia. Dopo quasi 5 mila chilometri di viaggio e sei ore e 45 minuti, l’arrivo del volo papale all’aeroporto di Roma Fiumicino è previsto per le 17.15
PAPA FRANCESCO
Sud Sudan, i piccoli sfollati al Papa: vogliamo la pace per poter tornare a casa
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Johnson non ha abbastanza spazio per giocare a calcio, ma neanche una scuola. Il suo indirizzo è B2, rispettivamente il blocco e il settore del sito per la protezione di civili in cui vive. Joseph ha 16 anni, otto dei quali trascorsi nel campo. “Se ci fosse stata la pace – dice a fatica, emozionato e commosso – mi sarei goduto l’infanzia”. Rebecca, come gli altri, è “molto felice” di avere davanti a sè il Papa, qui “nonostante il suo ginocchio dolorante”. Gratitudine, speranza, dolore, preghiera. Questo e molto altro esprimono le voci dei giovani che il Papa ha incontrato al campo sfollati interni di Giuba, le cui testimonianze hanno preceduto il suo intervento.
33 mila anime nel campo di Giuba
Sono passati dieci anni da quando conflitti e violenze su larga scala in tutto il Paese hanno portato le persone a fuggire dalle proprie case in cerca di sicurezza. Molti hanno trovato riparo in prossimità delle basi dell’UNMISS, la missione delle Nazioni Unite nel Sud Sudan. In diverse località del Paese, tra cui Juba, Melut, Wau, Bor, Bentiu e Malakal, la Missione ha accolto le popolazioni nei PoC, siti per la protezione dei civili. L’UNMISS ha poi gradualmente trasferito alcuni siti in campi di sfollamento convenzionali sotto il controllo del governo. A gennaio dello scorso anno erano circa 33mila le persone presenti nei campi per sfollati interni di Giuba, 2mila in più rispetto all’anno precedente.
Noi siamo importanti per il Paese
Dopo la preghiera iniziale del moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields e la proiezione di un video, hanno parlato tre minori in rappresentanza dei piccoli sfollati di altrettanti campi sudsudanesi. Rebecca abita nel campo di Juba, si dice “felice e onorata” di essere qui, davanti al Papa. “Lei è una brava guida perché, nonostante il suo ginocchio dolorante, è venuto per stare con noi”, dice rivolta a Francesco, ricordando il rinvio di un viaggio particolarmente atteso da questo popolo. “Sappiamo che vuole bene ai bambini e che dice sempre che noi siamo importanti”, ha aggiunto, sottolineando come “a noi, bambini del Sud Sudan, piace molto ballare e cantare”. Un modo, questo, “per lodare Dio”. Ed è proprio “nel nome di Gesù” che Rebecca chiede al vescovo di Roma “una benedizione speciale per tutti i bambini, per poter crescere insieme in pace e in amore”. La voce tradisce l’emozione, la piccola ripete ancora il suo “grazie” e conclude: “Non dimenticheremo mai questo giorno”.
Vogliamo avere un futuro
I suoi genitori non hanno lavoro, lo zio gli manda degli aiuti, “così da poter comprare dei vestiti”. Lui frequenta la terza elementare, ma non dimentica i tanti coetanei che non possono farlo “perché non ci sono abbastanza scuole e insegnanti per tutti”. Non c’è neanche “abbastanza spazio per giocare a calcio”. Johnson, 14 anni, vive nel campo di Malakal con la madre e il padre. “La pace è un bene, i problemi no”, ricorda ed esprime con chiarezza ciò che occorre a lui e a tanti, moltissimi coetanei: “Vogliamo la pace perché le persone possano tornare nelle proprie case, avere un buon futuro, vogliamo che nella Chiesa si preghi affinché Dio ci consenta di tornare nella città di Malakal”. Città, casa, famiglia: tutto ciò è possibile solo se si costruisce, insieme, la pace.
Siamo qui grazie agli aiuti umanitari
Sedici anni all’anagrafe, la metà dei quali trascorsi nel campo della città di Bentiu. La storia di Joseph è quella di un ragazzo chiamato a crescere troppo presto e oggi consapevole del dramma che sta vivendo. Il suo pensiero è per il futuro, personale sì, “ma anche degli altri bambini”, perché chi ha conosciuto la fame, la paura di morire desidera che simili pagine non si scrivano più. “Perché soffriamo nel campo per gli sfollati? A causa – dice – dei conflitti in corso nel nostro Paese”. La sua analisi è lucida, sa bene che la sopravvivenza non era scontata. “Io, i miei genitori, insieme ad altre famiglie, siamo qui grazie agli aiuti umanitari”, ma “se ci fosse stata la pace sarei rimasto nella mia casa d’origine”. Joseph chiede ai leader religiosi di continuare a pregare per “una pace definitiva”, infine lancia un accorato appello ai leader del suo Paese: “Portino amore, pace, unità e prosperità”.
Al servizio di un popolo
“La richiesta di pace è palese”. A dirlo è la vice rappresentante speciale del segretario generale nella missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan, coordinatrice residente e umanitaria per il Paese. “Gli operatori lavorano 24 ore su 24 per rispondere ai bisogni urgenti delle comunità colpite. Tuttavia, le sfide sulla sicurezza spesso costringono il personale umanitario a trasferirsi e a sospendere le attività e – ammette – il Sud Sudan continua a essere il contesto più pericoloso per gli operatori, seguito da Afghanistan e Siria”. Nonostante questo l’impegno è totale. “Questo – sottolinea – non è solo il nostro lavoro, ma anche il nostro obiettivo. Siamo qui per servire il popolo sudsudanese, consapevoli dei nostri limiti ma consci delle opportunità”. Nel ricordare come oggi siano due milioni gli sfollati interni e altrettanti i rifugiati emigrati dal Paese, conclude rivolta al Papa: “La sua visita rinnova la mia speranza che, lavorando tutti insieme, il popolo del Sud Sudan potrà raggiungere la pace e sviluppare il potenziale di questo incredibile Paese”
Welby e Greenshields: in Sud Sudan un pellegrinaggio di perdono e giustizia
Michele Raviart – Città del Vaticano
I leader “hanno il potere di agire in base a ciò che gli altri dicono. Possono scegliere di ascoltare o meno gli altri. Possono offrire un modello di valutazione di chi è diverso da loro, oppure possono alimentare le divisioni”. I loro compito, tuttavia, dovrebbe essere quello di aiutare la comunità a “essere uno”, così come lo sono i fedeli che scelgono di seguire Cristo entrando in una nuova comunità. A sottolinearlo è l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate della Chiesa anglicana, nell’omelia per la preghiera ecumenica che si è svolta al Mausoleo di John Garang a Giuba.
Essere una cosa sola con Dio
Una comunità, ha detto Welby citando gli atti degli apostoli, in cui “la corruzione era esclusa” e “la violenza era inesistente” e in cui “quando riconosciamo che tutto è di Dio, non abbiamo più paura di perderlo, perché sappiamo che è un Dio di abbondanza e non di mancanza, di grandezza e non di carenza”. Certo, sottolinea l’arcivescovo di Canterbury, “in un mondo di carestia, sete e disastri naturali, la fede nell’abbondanza di Dio è difficile, ma quando siamo una cosa sola, ci apprezziamo a vicenda come apprezziamo le membra del nostro corpo”.
I giovani non siano ingannati dalla guerra
L’appello è quindi quello a dare valore ai giovani, la maggioranza della popolazione del Sud Sudan: “Non siete solo il futuro, siete il presente. Se vi apprezziamo, ascolteremo le vostre speranze di pace e di opportunità e permetteremo a queste speranze di plasmare le nostre nazioni e le nostre chiese. Non sarete ingannati dalla guerra. Non sarete costretti a uccidere. Sarete in disaccordo con gli altri, ma li amerete comunque. Sarete esempio di amore obbediente a Dio”.
Valorizzare e onorare le donne
Un cambio di atteggiamento che non può prescindere dalla considerazione delle donne nella società. ”Valorizzerete e onorerete le donne”, dice ancora l’arcivescovo di Canterbury tra gli applausi, “senza mai violentarle, senza mai essere violenti, senza mai essere crudeli, senza mai usarle come se fossero lì solo per soddisfare il desiderio”. Le stesse donne sudsudanesi, “incredibilmente forti” e che, oltre al dolore del conflitto e alla responsabilità di occuparsi della famiglia, “vivono il trauma della violenza sessuale e la paura quotidiana di subire maltrattamenti perfino nelle proprie case”.
Greenshields: questo pellegrinaggio accresca lo spirito di cambiamento
Justin Welby, insieme a Papa Francesco e al moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia Iain Greenshields sono in Sud Sudan “come parte dalla vostra famiglia, della vostra comunione, per stare con voi e condividere la vostra sofferenza”. “Il sangue di Cristo ci unisce”, ribadisce, “ed è sufficiente da solo per la nostra salvezza”. “Siamo in visita nel vostro Paese per ribadire il nostro impegno, con voi, per la pace in Sud Sudan”, sottolinea Greenshields, “e per incoraggiare la solidarietà con voi, il popolo che sta ancora soffrendo per gli effetti della violenza, delle inondazioni e della carestia. “Preghiamo, cercando la guida e la saggezza dello Spirito Santo, che questo pellegrinaggio ecumenico di pace in Sud Sudan accresca in tutti noi lo spirito di cambiamento”, auspica Greenshields, e che questo ci renda tutti capaci di cercare la speranza, la riconciliazione, il perdono, la giustizia e l’unità in e attraverso il nostro Signore Gesù Cristo”
Sud Sudan, il Papa: chi segue Cristo sceglie la pace, sempre
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Culmina con la Preghiera ecumenica il secondo giorno di Papa Francesco in Sud Sudan. Un momento assai atteso quello al Mausoleo “John Garang” di Giuba per invocare la pace sulla giovane nazione dilaniata da diversi conflitti. Gremiscono il piazzale antistante, composte, raccolte e in silenzio, oltre 50mila persone delle diverse confessioni cristiane da anni impegnate nel processo di riconciliazione e al fianco della popolazione che sta affrontando una grave crisi umanitaria – con oltre 2 milioni di sfollati interni e 2,3 milioni di sud-sudanesi costretti a fuggire negli stati confinanti. Una situazione aggravata da siccità, alluvioni in aumento a causa dei cambiamenti climatici e dalle problematiche provocate dalla pandemia di Covid-19, che ha ostacolato la consegna degli aiuti umanitari internazionali da cui dipendono poco meno di 9 milioni di sud-sudanesi. È presente anche il presidente della Repubblica Salva Kiir Mayardit. All’incontro prendono parte, insieme al Papa, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields, che si sono uniti al viaggio apostolico del Pontefice in Sud Sudan per questo pellegrinaggio ecumenico di pace. (Ascolta il servizio con lavoce del Papa)
I momenti della Preghiera ecumenica
Mentre si fa sera su Giuba, si susseguono orazioni, riflessioni, letture dalla Sacra Scrittura e gesti nella preghiera comune che vuole rafforzare lo spirito del cambiamento, promuovere il perdono, la giustizia, il buon governo e l’unità nell’attuazione dell’Accordo rivitalizzato per la risoluzione del conflitto nel Paese, come spiega nell’introduzione il reverendo Thomas Tut Puot Mut, presidente della South Sudan Council of Churches. Viene proclamata la pagina del Vangelo di Giovanni con la preghiera di Gesù per l’unità dei credenti, quindi parlano l’arcivescovo di Canterbury e il moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia. Poi viene recitato il Simbolo degli Apostoli.
Le invocazioni di intercessione e di misericordia
Segue la preghiera di intercessione e di misericordia per la nazione. Ad ogni invocazione ciascun lettore – della Chiesa cattolica, della Chiesa episcopale, dell’Africa Inland Church, della Chiesa presbiteriana, della Chiesa pentecostale, della Chiesa presbiteriana evangelica e della Sudan Interior Church – versa acqua su alberi piantati in precedenza come atto di unità. Si prega perché “la sincera ricerca della pace” da parte dei leader religiosi possa risolvere le controversie; perché l’amore possa “vincere l’odio e la vendetta sia disarmata dal perdono”; per gli sfollati che vivono situazioni difficili e drammatiche; perché nella società ci sia giustizia e trovino spazio “le ricchezze dell’inclusione e i tesori della diversità”; per le divisioni, le fazioni che affliggono il Paese, le controversie civili e per i politici perché possano “prendere le giuste decisioni che promuovano l’unità e la coesione”; per quanti hanno nelle loro mani le sorti della nazione perché governino “con discernimento, comprensione e unità”; perché cessi l’odio e il tribalismo; perché Dio doni al popolo sudsudanese “saggezza e resilienza” per la costruzione della nazione.
Pregare, la cosa più importante per i cristiani
Poi è Papa Francesco ad esprimere il suo pensiero su quelle voci diverse che “si sono unite, formando una sola voce” per il popolo ferito del Sud Sudan.
In quanto cristiani, pregare è la prima e più importante cosa che siamo chiamati a fare per poter bene operare e avere la forza di camminare.
Senza la preghiera ogni opera è vana
Il Pontefice invita a riflettere su tre verbi: “pregare, operare e camminare”. Sottolinea, anzitutto, che senza la preghiera l’“impegno delle comunità cristiane nella promozione umana, nella solidarietà e nella pace sarebbe vano”. Francesco ricorda la figura di Mosè, quando, in cammino verso la libertà con il suo popolo, trovandosi davanti alle acque del Mar Rosso mentre alle spalle avanzava l’esercito nemico con carri e cavalli, ebbe parole di incoraggiamento. A suggerirgliele la fiducia in Dio “coltivata nella preghiera”.
Pregare dà la forza di andare avanti, di superare i timori, di intravedere, anche nelle oscurità, la salvezza che Dio prepara. Di più, la preghiera attira la salvezza di Dio sul popolo. La preghiera di intercessione, che caratterizzò la vita di Mosè, è quella a cui siamo tenuti soprattutto noi, pastori del popolo santo di Dio. Affinché il Signore della pace intervenga laddove gli uomini non riescono a costruirla, occorre la preghiera: una tenace, costante preghiera di intercessione.
L’invito del Papa ai cristiani delle diverse confessioni è a sentirsi uniti “come un’unica famiglia”, “incaricati di pregare per tutti”, “assidui e concordi”, “nelle parrocchie, chiese, assemblee di culto e di lode”, perché il Sud Sudan disponga “serenamente ed equamente della terra fertile e ricca che possiede” e sia colmato di pace.
Operare per la pace
E per la causa della pace Francesco esorta ad operare. Perché “Gesù ci vuole ‘operatori di pace’; Lui che “fa di due una cosa sola”, abbatte muri di separazione ed inimicizie, perciò la pace di Dio non è “solo una tregua tra i conflitti, ma una comunione fraterna, che viene dal congiungere, non dall’assorbire; dal perdonare, non dal sovrastare; dal riconciliarsi, non dall’imporsi”.
Noi, cari fratelli e sorelle, operiamo senza stancarci per questa pace, che lo Spirito di Gesù e del Padre ci invita a costruire: una pace che integra le diversità, che promuove l’unità nella pluralità. Questa è la pace dello Spirito Santo, il quale armonizza le differenze, mentre lo spirito nemico di Dio e dell’uomo fa leva sulle diversità per dividere.
Adoperarsi insieme pur nella diversità
E allora “chi segue Cristo sceglie la pace, sempre; chi scatena guerra e violenza tradisce il Signore e rinnega il suo Vangelo”, osserva il Papa, perché lo stile che Gesù insegna è “amare tutti, in quanto tutti sono amati come figli dal Padre comune che è nei cieli”. E rimarca, Francesco, che “l’amore del cristiano non è solo per i vicini, ma per ognuno, perché ciascuno in Gesù è nostro prossimo, nostro fratello e sorella, persino il nemico”; a maggior ragione quanti appartengono allo stesso popolo, “anche se di etnia diversa”.
Adoperiamoci, fratelli e sorelle, per questa unità fraterna tra noi cristiani e aiutiamoci a far passare il messaggio della pace nella società, a diffondere lo stile di non violenza di Gesù, perché in chi si professa credente non vi sia più spazio per una cultura basata sullo spirito di vendetta; perché il Vangelo non sia solo un bel discorso religioso, ma una profezia che diventa realtà nella storia. Operiamo per questo: lavoriamo per la pace tessendo e ricucendo, mai tagliando e strappando.
L’impegno delle comunità cristiane per la riconciliazione del Sud Sudan 🇸🇩
Francesco loda poi l’impegno delle comunità cristiane, che “si sono fortemente impegnate nel promuovere percorsi di riconciliazione”, che non hanno portato disgregazione ma unità, e definisce “l’eredità ecumenica del Sud Sudan” tesoro prezioso, “un esempio universale per il cammino di unità dei cristiani”, “un’eredità che va custodita”.
Il tribalismo e la faziosità che alimentano le violenze nel Paese non intacchino i rapporti interconfessionali; al contrario, la testimonianza di unità dei credenti si riversi sul popolo. In questo senso vorrei suggerire due parole-chiave per il prosieguo del cammino: memoria e impegno.
Ripartire ogni giorno, insieme, con passi concreti di carità e unità
Il suggerimento del Papa ai cristiani è di ricalcare “le orme dei predecessori”, sentirsene sospinti, e di impegnarsi concretamente verso l’unità, soccorrendo insieme “chi sta ai margini, chi è ferito e scartato”. È quanto già viene fatto nel campo della sanità, dell’istruzione, della carità, e il Pontefice esorta a continuare su questa strada, “mai concorrenti, ma familiari; fratelli e sorelle” che hanno “compassione per i sofferenti” e testimoniano l’amore di Cristo. Concludendo Francesco chiede di ripartire ogni giorno pregando “gli uni per gli altri e con gli altri”, operando “insieme come testimoni e mediatori della pace di Gesù”, camminando “sulla stessa strada, muovendo passi concreti di carità e di unità”, amandosi “intensamente e di vero cuore”.
Sud Sudan, Francesco: vi porto nel cuore, non perdete occasioni di costruire la pace
Adriana Masotti – Città del Vaticano
“In Sud Sudan c’è una Chiesa coraggiosa”: Papa Francesco lo afferma nell’ultimo saluto che suggella la Messa al Mausoleo “John Garang” di Giuba, parole di gratitudine rivolte ai fedeli che sono arrivati, non senza fatica, da tutto il Paese per partecipare alla celebrazione finale del viaggio apostolico. Un pellegrinaggio ecumenico di pace per cui il Papa ringrazia per l’accoglienza ricevuta, per il lavoro di tanti, per la fede e l’affetto dimostrati.
Non perdete la speranza, un dono da condividere
Nelle sue parole c’è un riconoscimento particolare al contributo offerto alla Chiesa e alla società dalle donne. Riprendendo quanto detto poco prima dall’arcivescovo di Giuba, monsignor Stephen Ameyu Martin Mulla, “la nostra Chiesa ha prodotto due Santi: san Daniele Comboni e santa Giuseppina Bakhita”, Francesco di quest’ultima afferma che è stata “una grande donna, che con la grazia di Dio ha trasformato in speranza la sofferenza patita”, sapendo trasmetterla anche a tanti altri. E il Papa prosegue:
Speranza è la parola che vorrei lasciare a ciascuno di voi, come un dono da condividere, come un seme che porti frutto. Come ci ricorda la figura di santa Giuseppina, la speranza, qui specialmente, è nel segno della donna e vorrei ringraziare e benedire in modo speciale tutte le donne del Paese.
Al Sud Sudan lascio la parola pace
E c’è un’altra parola che Francesco vuole lasciare al Sud Sudan ed è la parola paceche ha contrassegnato questi giorni e che, dice, “auspico con tutte le forze” anche per i giorni futuri e a cui assicura il suo sostegno, insieme a quello dei due leader religiosi – l’arcivescovo di Canterbury, l’anglicano Justin Welby e il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields – che l’hanno accompagnato in questo viaggio.
Con i miei fratelli Justin e Iain, che ringrazio di cuore, siamo venuti qui e continueremo ad accompagnare i vostri passi, facendo tutto quello che possiamo perché siano passi di pace, passi verso la pace. Vorrei affidare il cammino della riconciliazione e della pace a un’altra donna, la più grande e al tempo stesso la più piccola, la più alta e insieme la più vicina a noi, a ognuno di noi. È la nostra tenerissima Madre Maria, la Regina della pace.
A Maria affido il cammino di pace in Africa e nel mondo
Maria, la “Nostra Signora d’Africa è sempre con noi”, afferma Papa Francesco, e a lei affida la grande causa della pace in tutto il mondo.
A lei, che ora preghiamo, affidiamo la causa della pace in Sud Sudan e nell’intero Continente africano, dove tanti nostri fratelli e sorelle nella fede patiscono persecuzioni e pericoli, dove tantissima gente soffre a causa di conflitti, sfruttamento e povertà. Alla Madonna affidiamo anche la pace nel mondo, in particolare i numerosi Paesi che si trovano in guerra, come la martoriata Ucraina.
Le parole conclusive di Francesco sono ancora di affetto per il popolo sud sudanese: “Siete nel mio cuore, siete nei nostri cuori, siete nei cuori dei cristiani di tutto il mondo!”, afferma. E ripete: “Non perdete mai la speranza. E non si perda l’occasione di costruire la pace.”
Sud Sudan, il Papa: deporre le armi dell’odio, l’amore cambia la storia
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Siate “sale della terra” che “si sparge e si scioglie con generosità per insaporire il Sud Sudan con il gusto fraterno del Vangelo” e “comunità cristiane luminose” che “gettino una luce di bene su tutti e mostrino che è bello e possibile vivere la gratuità, avere speranza, costruire tutti insieme un futuro riconciliato”. E’ l’augurio col quale Papa Francesco saluta i cristiani del martoriato Sud Sudan, a Giuba, nell’omelia della Messa al mausoleo “John Garang”, il padre della patria che morì prima di vederla indipendente, davanti a più di 100 mila fedeli in festa, che a lungo hanno continuato ad affluire sul grande piazzale e nell’area limitrofa al monumento.
“Deporre le armi dell’odio” per “imbracciare la carità”
L’appello del Papa “nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini” è a deporre “le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità” e a mettere “sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce”. Sul palco dell’altare, seduti accanto a cardinali e vescovi del seguito papale, i compagni di viaggio in questo pellegrinaggio di pace: il primate della Chiesa anglicana, l’arcivescovo Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields. Partecipa alla celebrazione anche il presidente della Repubblica Salva Kiir.
Essere “sale della terra” e “luce del mondo”
Dopo il giro in papamobile tra i giovani rimasti a vegliare tutta la notte, alcuni come i 60 arrivati da Rumbek arrivati dopo una settimana di cammino con il loro vescovo Carlassare, e introdotto la celebrazione in inglese, con canti e letture anche in arabo, il Papa nell’omelia commenta il Vangelo della quinta domenica del tempo ordinario. E’ il brano di Matteo sulla consegna di Gesù ai discepoli ad essere “sale della terra” e “luce del mondo”. Dedica però l’introduzione alle parole di san Paolo apostolo a Corinti, ascoltate nella seconda lettura, che si presenta dicendo di “non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”.
“Gesù vi conosce e vi ama”
Francesco ricorda che Cristo, “il Dio dell’amore”, ha “realizzato la pace attraverso la sua croce”, Lui “crocifisso nella vita di tanti di voi, in molte persone di questo Paese; Gesù il Risorto, vincitore sul male e sulla morte”. E di venire ai fedeli del Sud Sudan “a proclamarvi Lui, a confermarvi in Lui, perché l’annuncio di Cristo è annuncio di speranza”.
Egli, infatti, conosce le angosce e le attese che portate nel cuore, le gioie e le fatiche che segnano la vostra vita, le tenebre che vi opprimono e la fede che, come un canto nella notte, levate al Cielo. Gesù vi conosce e vi ama
Le Beatitudini danno “buon sapore” anche alla società
Rimanendo in Cristo, sottolinea il Pontefice, non dobbiamo avere paura “perché anche per noi ogni croce si trasformerà in risurrezione, ogni tristezza in speranza, ogni lamento in danza”. Quindi si sofferma sulle parole di Gesù nel Vangelo di Matteo, e ricorda che il Maestro utilizza l’immagine del “sale della terra”, simbolo della sapienza “virtù che non si vede, ma che dà gusto al vivere” subito dopo aver proclamato ai suoi discepoli le Beatitudini. “Capiamo allora – commenta – che sono esse il sale della vita del cristiano”. E, in sintesi, ricorda che ci dicono che “per essere beati, cioè pienamente felici, non dobbiamo cercare di essere forti, ricchi e potenti, bensì umili, miti e misericordiosi; non fare del male a nessuno, ma essere operatori di pace per tutti”. Questo “è ciò che dà sapore alla terra che abitiamo”.
Ricordiamoci: se mettiamo in pratica le Beatitudini, se incarniamo la sapienza di Gesù, non diamo un buon sapore solo alla nostra vita, ma anche alla società, al Paese dove viviamo.
Impedite che prevalga la corruzione del male
Il sale, prosegue Papa Francesco, ha però anche la funzione, essenziale ai tempi di Cristo, di conservare i cibi, “perciò a quei tempi, ogni volta che si faceva un’offerta al Signore, si metteva un po’ di sale”. Questo “ricordava il bisogno primario di custodire il legame con Dio, perché Lui è fedele a noi, la sua alleanza con noi è incorruttibile, inviolabile e duratura”. E il discepolo di Gesù “è testimone dell’alleanza che Lui ha realizzato e che celebriamo in ogni Messa”. Così anticamente “quando delle persone o dei popoli stabilivano tra loro un’amicizia, spesso la stipulavano scambiandosi un po’ di sale”. E noi cristiani “che siamo sale della terra”.
Siamo chiamati a testimoniare l’alleanza con Dio nella gioia, con gratitudine, mostrando di essere persone capaci di creare legami di amicizia, di vivere la fraternità, di costruire buone relazioni umane, per impedire che prevalgano la corruzione del male, il morbo delle divisioni, la sporcizia degli affari iniqui, la piaga dell’ingiustizia.
Il contributo di noi cristiani per cambiare la storia
E il Papa ringrazia i cristiani sudsudanesi di essere “sale della terra in questo Paese”, e li invita, quando si sentono “piccoli e impotenti” davanti a violenze e iniquità, a guardare il sale, “piccolo ingrediente” che nel piatto si scioglie, ma proprio così “dà sapore a tutto il contenuto”.
Così, noi cristiani, pur essendo fragili e piccoli, anche quando le nostre forze ci paiono poca cosa di fronte alla grandezza dei problemi e alla furia cieca della violenza, possiamo offrire un contributo decisivo per cambiare la storia.
Mettiamo sulle ferite “il sale del perdono, che brucia ma guarisce”
Così noi discepoli di Cristo, chiarisce Francesco, “non possiamo tirarci indietro, perché senza quel poco, senza il nostro poco, tutto perde gusto”. E iniziamo da questo poco, “da ciò che non compare sui libri di storia ma cambia la storia”.
Nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini, deponiamo le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità; superiamo quelle antipatie e avversioni che, nel tempo, sono diventate croniche e rischiano di contrapporre le tribù e le etnie; impariamo a mettere sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce.
Così “se il cuore sanguina per i torti ricevuti – è l’invito del Pontefice – rinunciamo una volta per tutte a rispondere al male con il male, e staremo bene dentro”. Amiamoci con sincerità e generosità, come Dio fa con noi, e “custodiamo il bene che siamo, non lasciamoci corrompere dal male!”.
Illuminiamo con la nostra vita le città che abitiamo
Passando alla seconda immagine usata da Gesù, la luce, Papa Francesco sottolinea che “noi, accogliendo la luce di Cristo, la luce che è Cristo, diventiamo luminosi, irradiamo la luce di Dio!”. Ma Gesù chiede anche che la nostra luce non sia messa “sotto il moggio”, che finiva per estinguere la fiamma della lampada. Noi, suoi discepoli “siamo chiamati a splendere come una città posta in alto, come un lucerniere la cui fiamma non deve essere spenta”.
Prima di preoccuparci delle tenebre che ci circondano, prima di sperare che qualcosa attorno si rischiari, siamo tenuti a brillare, a illuminare con la nostra vita e con le nostre opere le città, i villaggi e i luoghi che abitiamo, le persone che frequentiamo, le attività che portiamo avanti.
Comunità cristiane luminose per un futuro riconciliato
Tutti, ricorda il Papa “devono poter vedere le nostre opere buone” perché vedendole, ci ricorda Gesù, “si apriranno con stupore a Dio e gli daranno gloria”. Cristo ci chiede “di ardere d’amore: non accada che la nostra luce si spenga, che dalla nostra vita scompaia l’ossigeno della carità, che le opere del male tolgano aria pura alla nostra testimonianza”. Il Sud Sudan, conclude il Pontefice, “terra, bellissima e martoriata, ha bisogno della luce che ciascuno di voi ha, o meglio, della luce che ognuno di voi è!”
Vi auguro di essere sale che si sparge e si scioglie con generosità per insaporire il Sud Sudan con il gusto fraterno del Vangelo; di essere comunità cristiane luminose che, come città poste in alto, gettino una luce di bene su tutti e mostrino che è bello e possibile vivere la gratuità, avere speranza, costruire tutti insieme un futuro riconciliato.
Preghiere per i governanti, “generosi nella responsabilità”
Nelle preghiere dei fedeli, lette in arabo, dinka, bari, nuer e zande, si invoca l’aiuto del Signore nell’impegno per la costruzione di comunità pacifiche e perché “i governanti siano generosi nell’affrontare le sfide dell’accoglienza, della credibilità e della responsabilità”. Al termine della celebrazione, l’arcivescovo di Giuba, Stephen Ameyu Martin Mulla, ringrazia Papa Francesco per aver preso la coraggiosa decisione di visitare il Sud Sudan che soffre “a causa delle conseguenze della guerra civile”. Una visita che è “un segno di solidarietà nei nostri confronti” e dimostra “il desiderio di riportare la tranquillità nel Paese”.
L’ arcivescovo Mulla: “lentezza scoraggiante” del processo di pace
L’ arcivescovo Mulla sottolinea che tra gli scopi del viaggio c’è quello di “esortare i nostri leader politici ad operare per la pace e per il bene comune del Sudan e del Sud Sudan”. E ricorda i ripetuto appelli del Papa alla riconciliazione, il ritiro spirituale dei leader sud sudanesi in Vaticano, nell’aprile 2019, nel quale li ha esortati “a rafforzare il fragile processo di pace del Paese” e si è “persino inginocchiato per baciare i loro piedi come simbolo di umiltà e servizio all’umanità”. Tuttavia, lamenta, “la lentezza del processo di pace è scoraggiante”. La guerra, ricorda e denuncia l’arcivescovo di Giuba, “ha portato distruzione indiscriminata: di vite umane e di beni come case e bestiame”, ma anche “saccheggi, stupri, deterioramento economico, lo sfollamento di molte persone e un flusso di rifugiati nei Paesi vicini”. Ma nonostante questo, sottolinea monsignor Mulla, “la Chiesa in Sudan e Sud Sudan è cresciuta” e ha potuto celebrare cento anni di fede. Ha prodotto due santi: Daniele Comboni e Giuseppina Bakhita, e “la Chiesa locale ha testimoniato la fede attraverso il martirio”
“Abbiamo bisogno della pace di Gesù, guidata da verità e amore”
Mulla ricorda i martiri della prima guerra, conosciuta come “Anyanya One”, dal 1956 al 1972, William Deng, padre Saturlino Ohure e padre Leopoldo Anyuar. E quelli dell’attuale guerra civile: suor Veronika Teresa Rackova, una religiosa medico slovacca, uccisa il 16 maggio 2016 mentre era in servizio nella Diocesi cattolica di Yei, e suor Mary Abbud e suor Regina Roba, della Congregazione locale del Sacro Cuore di Gesù, uccise il 16 agosto 2021, mentre tornavano dalla celebrazione del centenario della parrocchia di Nostra Signora dell’Assunzione a Loa, nella Diocesi cattolica di Torit. E conclude sottolineando che la pace di cui il Sud Sudan ha tanto bisogno “non è puramente umana, basata su interessi personali, ma piuttosto la pace di Gesù”, guidata “dalla verità e dall’amore”.
Francesco ha lasciato il Sud Sudan ed è in volo verso Roma
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La Messa al Mausoleo “John Garang”, con più di 100 mila fedeli presenti nel grande piazzale e nelle aree limitrofe, è stata l’ultima tappa del viaggio apostolico di Papa Francesco in Sud Sudan. Dalla sacrestia della celebrazione, il Papa si è trasferito all’aeroporto internazionale di Giuba. In un’altra vettura, hanno raggiunto lo scalo anche l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields. Il corteo è arrivato all’aeroporto intorno alle 11.15, ora locale.
Il Papa e i due compagni di viaggio accolti dal presidente
Francesco, Welby e Greenshields sono stati accolti nella sala vip dello scalo dal presidente della Repubblica del Sud Sudan Salva Kiir. Il Pontefice si è trattenuto poi a colloquio per alcuni minuti con il capo dello Stato sudsudanese. Dopo il saluto delle delegazioni e quello della guardia d’onore, Papa Francesco, è stato accompagnato fino ai piedi dell’aereo dal presidente Kiir, che ha benedetto segnandolo sulla fronte col segno della croce. Quindi è salito per ultimo a bordo del velivolo che lo sta ora riportando a Roma, che è decollato alle 11.56, ora locale (le 10.56 in Italia).
Durante il volo, la conferenza stampa con i media al seguito
Durante il volo, è prevista la tradizionale conferenza stampa con i giornalisti che hanno accompagnato il Papa in questo suo 40.mo viaggio apostolico in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan.
Il volo A359 di Ita Airways sorvolerà Sudan, Egitto e Grecia. Dopo quasi 5 mila chilometri di viaggio e sei ore e 45 minuti, l’arrivo del volo papale all’aeroporto di Roma Fiumicino è previsto per le 17.15