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BABBO O PAPÀ? SAN GIUSEPPE È IL NOSTRO PADRE PUTATIVO

Buona zeppola a tutte e tutti e non cominciamo un’altra polemica all’italiana se ha diritto di esistere di più la zeppola fritta o quella al forno: l’essenziale è che sia buona

Il 19 Marzo si festeggia la figura paterna, i papà, i babbo. Due nomi diversi che durante il XIX secolo, in Italia, furono oggetto di polemica: era più giusto chiamare il padre papà o babbo? Papà è un francesismo mentre babbo è linguaggio locale e qualche esperto dell’Accademia della Crusca ha spiegato che, in Toscana, babbo è anche un’espressione denotativa e cioè si usa babbo al posto di padre. La polemica ottocentesca non ebbe un esito ben preciso se non definire che il termine papà, derivando dal francese, era usato dai ricchi, i poveri preferivano il termine babbo. E infatti si dice figlio di papà e Babbo Natale perché il primo termine è ritenuto più formale, il secondo è più affettivo. Io chiamavo mio padre Babbo e in molti mi chiedevano il perché: mia madre, maestra all’antica, precisava che babbo è un termine italiano. Sono certa che mia madre non conoscesse la diatriba del XIX secolo e ciò che vi era scritto su alcuni dizionari di sinonimi e contrari tipo quello di Pietro Fanfani del 1865 dove si legge riferendosi ai sinonimi padre, babbo e papà: “Padre è la voce vera e nobile, la quale si riferisce a tutti i padri in generale; e si trasporta a significare paternità spirituale, e comecchessia Colui che primo ha da- to origine a una cosa. – Babbo è vo- ce da fanciulli, ed è usata anche dagli adulti a significazione di affetto, e suol dirsi parlando del proprio padre o del padre di colui a cui parliamo. – La voce Papà è una lezio- saggine francese che suona nelle bocche di quegli sciocchi, i quali si pensano di mostrarsi più compiti scimmiottando gli stranieri”. Diatriba a parte l’Accademia della Crusca precisa che si può dire in entrambi i modi e che “Le due voci si sono affermate in epoche diverse e con percorsi differenti, “affrancandosi” dal panorama delle varietà locali sottostanti in cui ancora nella prima metà del secolo scorso dominavano, sia al nord che al sud, derivati dal latino patrem contrastati da babbo diffuso in Sardegna, Toscana, Romagna, Umbria, Marche e Lazio settentrionale, oltre che da tata, in Lazio, Abruzzo, Puglia settentrionale e Campania, e atta in Puglia, Basilicata e Campania meridionale. Anche papà, benché a fianco di altri termini, era già diffuso in Piemonte, lungo la valle del Po, in Veneto, a Roma, in Umbria e nelle Marche (cfr. AIS, c. 5 I vol.)”. Queste polemiche tipicamente italiane mi portano a esaltare la nostra lingua ricchissima e piena di tantissime espressioni ma an- che a precisare che, comunque, i TANA si festeggiano nel giorno di San Giuseppe che viene festeggia- to anche il 1° Maggio ma in occasione della festa dei lavoratori. San Giuseppe è l’emblema del padre che cresce un figlio, gli insegna un lavoro ma è un padre putativo perché il vero padre di Gesù sta nei Cieli e San Giuseppe ha solo cresciuto il piccolo Gesù. In verità da sempre usiamo dire che il vero padre è chi cresce, educa e si occupa dei figli. Ma la storia di Gesù ci insegna che anche la Madre ha qualcosa di particolare poiché ha offerto il proprio corpo per incarnare Dio e renderlo uomo. Di certo la scelta di San Giuseppe fu una scelta difficile e particolare: i Vangeli ci dicono che, dopo aver appreso della gravidanza di Maria, voleva allontanarla ma senza clamore per evitare che fosse lapidata. Poi gli apparve un angelo in sogno che gli spiegò che quel figlio che Maria portava in grembo era stato concepito dallo Spirito Santo perché era il figlio di Dio e doveva dargli come nome Gesù. Giuseppe obbedì all’Angelo e tenne con se Maria e riconobbe Gesù come figlio, crescendolo e insegnandogli il mestiere di falegname. Non ci so- no molte notizie su Giuseppe nei Vangeli, ce ne sono poche anche nei Vangeli apocrifi ma la Chiesa ha voluto esaltare la figura di questo uomo definito giusto. Di certo la storia di San Giuseppe e il suo essere padre é da intendersi in maniera di gran lunga diversa rispetto al pater familias di età classica che era il custode della memoria e dei Lari (divinità domestiche), del fuoco domestico e che gestiva il patrimonio della famiglia. Era padre e padrone dei membri della famiglia e degli schiavi e su costoro aveva diritto di vita e di morte. Era, comunque, un padre amorevole che educava i figli. Oggi si parla molto dell’assenza o della doppia assenza dei padri dalle famiglie ma la famiglia tradizionale da molto tempo si sta trasformando insieme alle trasformazioni della società e del progresso: se tutto fosse sempre fermo e immobile avremmo ancora il pater familias. Invece tutto cambia e anche le figure più importanti nella vita di ciascuno di noi, il padre e la madre naturali, potrebbero avere ruoli diversi da quelli tradizionali nella crescita ed educazione dei fi- gli. Ciò che non cambia è l’amore reciproco fra i bambini e chiunque li cresce come ci insegna San Giuseppe, padre putativo e definito giusto. Buona zeppola a tutte e tutti e non cominciamo un’altra polemica all’italiana se ha diritto di esistere di più la zeppola fritta o quella al forno: l’essenziale è che sia buona e confezionata con prodotti di qualità.

Di Antonella Pellettieri

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