UNIBAS, ANCORA DATI FALLIMENTARI
Solo il 26% dei giovani lucani studia negli Atenei regionali: tra emigrazione e denatalità, Basilicata a rischio scomparsa
Stato di malattia dell’Unibas, a colpo d’occhio c’è un dato che con ogni probabilità più di altri restituisce nell’immediatezza la crisi dell’Ateneo lucano: il 74% dei giovani studenti universitari lucani sono iscritti in Università fuori regione. A certificarlo prima la Giunta regionale e adesso anche l’Ufficio per le politiche della rappresentanza e della partecipazione del Consiglio regionale delegato, tra le altre cose, all’assistenza tecnico-giuridica alla segreterie degli organi consultivi e di partecipazione. L’argomento Unibas, centrale nella scheda tra- smessa sull’efficacia, efficienza ed economicità delle attività politico-istituzionali lucani. Non sarà certo la presenza del Capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella, all’inaugurazione dell’Anno Accademico a cambiare la tendenza degli studenti lucani verso università non regionali: «Solo il 26% dei giovani lucani studia negli Atenei regionali». Così poco attrattiva l’Università degli studi della Basilicata, che neanche dei lucani che hanno intenzione di conseguire il titolo di Laurea, neanche 3 su 10 la scelgono. Un dato che apparentemente si pone al di sopra del merito dei tecnicismi gestionali dell’Ateneo, ma che ad essi è connesso. Per esempio, ad allarmare anche il tendenziale declino della speranza di spendibilità del titolo nel mercato del lavoro: «Il tasso di occupazione dei giovani lucani a 3 anni dal conseguimento dei titoli di diploma o di Laurea è pari al 28,2% per i diplomati e per il 31,3% per i laureati». Si potrebbe, e si deve, proseguire con altri dati interconnessi, a titolo esemplificativo e non esaustivo, la spesa in Basilicata per ricerca e sviluppo, prevalente pubblica, rappresenta lo 0,64 del Pil, quando in Piemonte rappresenta lo 2,17% e in Emilia-Romagna il 2,03%, ma tornando al 26% citato, dal Consiglio regionale il laconico commento sull’emigrazione universitaria: «Assurdo ma vero». Il messaggio per immagini, ancora più pregnante: «Una volta emigrava, emblematicamente, l’operaio con la valigia di cartone, oggi lasciamo andar via i giovani con il computer e il diploma o la laurea sotto il braccio». Ciò che i burocrati hanno colto, Magnifico Rettore e politica meno, è che il destino dei giovani lucani verso l’emigrazione «comincia ad essere segnato già in quel momento», ovvero all’iscrizione universitaria. Nel sistema società, quando più problematiche arrivano a collisione, il rischio è l’implosione. Così la crisi Unibas, si intreccia anche il tema dello spopolamento che, viene sottolineato dall’Ufficio per le politiche della rappresentanza e della partecipazione, «attenta non solo alla sua salute, ma all’esistenza stessa della Basilicata». Negli ultimi trenta anni, dall’inizio degli ‘90, al 2021, la Basilicata ha perduto circa 80mila abitanti. Al 31 dicembre del 2021, la densità degli abitanti per chilometro quadrato è risultata soltanto di 53,01 unità, di poco superiore solo a quella della Valle d’Aosta. A tendenza non invertita, secondo le proiezioni, nel 2030 la regione conterebbe meno di 500mila abitanti e nel 2050 potrebbe contare meno di 400mila abitanti. Anelli problematici che collegandosi formano la catena di un disastro annunciato. Dall’alta emigrazione, universitaria e lavorativa, la regione perde annualmente circa 3mila abitanti, la maggior parte dei quali è costituita da giovani, per lo più diplomati e laureati, che, una volta acquisito il titolo e non trovando lavoro, sono costretti a trovarlo altrove, alla bassa natalità. In tema infanzia, risalendo al contrario dall’Università, non mancano i paradossi. C’è in regione una carenza dei servizi per l’infanzia, specie in riferimento agli asili nido e alle scuole per l’infanzia. Servizi pubblici forniti ai bambini della fascia d’età da 0 a 6 anni: solo per il 14% dei bambini aventi diritto è disponibile in Basilicata un posto in asilo nido ed è soltanto l’8% di loro che di fatto frequenta l’asilo-nido, tra l’altro, «pagando rette mensili che sono tra le più alte d’Italia». Nella Scuola dell’infanzia, da 4 a 6 anni, la frequenza si attesta sul 50% degli aventi diritto, notevolmente inferiore alla media nazionale. Tutti i problemi hanno una soluzione, altrimenti, per definizione, non sono problemi. Nel caso lucano, la “soluzione” consisterebbe nelle “macro regioni” con la Basilicata che «potrebbe non esistere che come residuato storico-antropologico».