VIA CRUCIS 2023 SENZA PAPA FRANCESCO
Le meditazioni di quest’anno sono testimonianze di uomini e donne di varie regioni del mondo che vivono violenze e povertà ascoltate dal Papa durante i suoi viaggi apostolici e in altre occasioni. Gli afflitti dalle guerre e dalle ingiustizie del mondo sono ancora una volta i protagonisti della Via Crucis al Colosseo
PAPA FRANCESCO
Francesco seguirà da Casa Santa Marta la Via Crucis al Colosseo
Vatican News
“Per via del freddo intenso di questi giorni Papa Francesco seguirà la Via Crucis di questa sera da Casa Santa Marta”
È un comunicato della Sala Stampa vaticana a darne notizia nel primo pomeriggio.
Il testo prosegue assicurando che il Pontefice si unirà
“alla preghiera di coloro che si raccoglieranno con la Diocesi di Roma al Colosseo”
Dal Colosseo Via Crucis
Alla Via Crucis voci di pace dai territori feriti dalla guerra
Vatican News
Vengono da Africa occidentale e australe, Terra Santa, Balcani, Sud e Centro America, Asia e anche Ucraina e Russia. Sono uomini e donne, giovani e anziani, padri e madri o consacrati, feriti da bombe, spari, missili o feriti dall’odio fratricida che devasta le loro terre. Le loro testimonianze accompagneranno le 14 Stazioni del percorso che si snoda oggi 7 aprile, Venerdì Santo, al Colosseo. I testi della Via Crucis sono testimonianze ascoltate dal Papa durante i suoi viaggi apostolici e in altre occasioni. La raccolta è stata curata da alcuni Dicasteri della Curia Romana. Francesco ha voluto che il tema fosse “Voci di pace in un tempo di guerra”.
Per le diverse zone del mondo si è scelto di indicare le grandi regioni, mentre nel caso dell’Europa sono stati menzionati i due popoli, ucraino e russo, perché quello della guerra scoppiata nel cuore del continente cristiano è un conflitto che è stato costantemente al centro dell’attenzione del Papa e dei suoi appelli nell’ultimo anno e mezzo.
Una “decisione” di pace in Terra Santa
Il cammino della Croce si snoda a partire dalla Terra Santa, dove “la violenza sembra essere il nostro unico linguaggio. Giustizia e perdono non riescono a parlarsi”, si legge nella prima meditazione. In questo contesto “carico di odio e rancore”, la chiamata è a prendere una “decisione” diversa, una decisione di pace. Poi la preghiera: “Quando condanniamo senza appello i fratelli” e “quando chiudiamo gli occhi davanti all’ingiustizia: Illuminaci, Signore Gesù!”.
La Via Crucis di un migrante dell’Africa Occidentale
Struggente la testimonianza di un migrante dell’Africa Occidentale che ripercorre la personale “via crucis” cominciata 6 anni fa, segnata da un viaggio nel deserto tra cadaveri e carcasse di auto, e dalla permanenza in Libia” tra prigionia e torture, dove “alcuni persero la vita, altri la testa”. Poi le traversate in mare, tra cui una su un gommone con altre 100 persone, salvati su una nave che però li ha ricondotti in Libia. Ancora detenzioni e violenze, poi di nuovo in acqua con i compagni che annegavano e lui che si addormentò “sperando di morire”. Lo salvarono pescatori e Ong. Arrivato a Malta “rimasi in un centro per 6 mesi e lì persi la testa; ogni sera chiedevo a Dio perché: perché uomini come noi devono ritenerci nemici?”. “Liberaci, Signore Gesù”, è la preghiera, dalle “facili condanne del prossimo”, dai “giudizi affrettati”, dalle “chiacchiere distruttrici”.
Le “cadute” dei giovani del Centro America
È di giovani del Centro America la meditazione della III stazione, quella in cui Gesù cade per la prima volta. Anche questi ragazzi parlano di cadute: “pigrizia”, “paura”, “vuote promesse di una vita facile ma sporca, fatta di avidità e corruzione”. È ciò che accresce le spirali di narcotraffico, violenza, dipendenze, sfruttamento. “Mentre troppe famiglie continuano a piangere la perdita dei figli”, loro pregano Dio: “Mettici nel cuore il desiderio di rialzare qualcuno che sta a terra”. E, aggiungono, dalle nostre “pigrizie”, “tristezze”, “cadute” e anche dal “pensare che aiutare gli altri non tocchi a noi” “Rialzaci, Signore Gesù!”.
In Sud America la madre che aiuta a prevenire gli incidenti delle mine
Ancora dall’America, ma questa volta del Sud, proviene la voce di una madre vittima, nel 2012, di un ordigno dei guerriglieri che le devastò una gamba. A terrorizzarla però fu vedere la figlia di 7 mesi con pezzi di vetro conficcati nel visino. “Cosa dev’esser stato per Maria vedere il volto di Gesù tumefatto e insanguinato! Io, vittima di quella violenza insensata, all’inizio provai rabbia e risentimento, ma poi scoprii che se diffondevo odio creavo ancora più violenza”. Per questo ha studiato per insegnare a prevenire gli incidenti dovuti alle mine nel territorio. “Nel volto sfigurato di chi soffre: Donaci di riconoscerti, Signore Gesù!”, è l’invocazione.
Vittime dell’“odio” in Africa, Sud dell’Asia e Medio Oriente
Tre migranti intrecciano poi le loro storie. Provenienti da luoghi diversi – Africa, Sud dell’Asia e Medio Oriente – sono tutti vittime dell’odio. Quello che ha la forma di bombe, coltelli, fame, dolore. L’odio che “una volta sperimentato, non si dimentica…”. “Ci sarà un Cireneo per me?”, domandano. E invocano il perdono di Dio perché “ti abbiamo disprezzato negli sventurati” e “ignorato nei bisognosi di aiuto”.
Il sacerdote torturato durante la guerra nei Balcani
Un sacerdote dà voce alla Penisola Balcanica: parroco 40 anni fa in piena guerra, fu deportato in un campo per quattro mesi, senza cibo e acqua, picchiato, torturato, con tre costole rotte: “Mi minacciarono di strapparmi le unghie… di scorticarmi vivo”. Una volta pregò una guardia di ucciderlo. Ma una donna musulmana arrivò a portargli cibo e aiuti: “Riuscì a raggiungermi facendosi largo in mezzo all’odio. Fu per me come la Veronica per Gesù”. “Donaci il tuo sguardo, Signore Gesù”, è la supplica, “per prenderci cura di chi patisce violenza” e “accogliere chi si pente del male”.
Le speranze di due ragazzi dell’Africa Settentrionale
Due adolescenti dell’Africa Settentrionale condividono il proprio dolore: Joseph (16 anni) e Johnson (14 anni). Vissuti nei campi sfollati, dopo aver abbandonato il Paese “flagellato dalla guerra”, vorrebbero studiare e giocare a calcio ma non hanno né spazi adatti né opportunità: “La pace è bene, la guerra è male. Vorrei dirlo ai leader del mondo”. “Nella fatica di costruire ponti di fraternità – è la loro orazione – Rendici forti, Signore Gesù!”.
Il popolo del Sud-Est Asiatico che “ama la pace”
Al mondo parlano pure i fedeli dal Sud-Est Asiatico: “Siamo un popolo che ama la pace, ma siamo schiacciati dalla croce del conflitto. Le lacrime delle nostre madri piangono la fame dei loro bimbi”. Proprio le donne danno forza, come la suora “che a difesa della sua gente si è inginocchiata di fronte al potere schierato delle armi”. “Dal commerciare armi senza scrupoli di coscienza: Convertici, Signore Gesù!”, pregano. “Dal destinare soldi agli armamenti anziché agli alimenti: Convertici, Signore Gesù!”.
La suora che insegna i valori ai bambini in Africa Centrale
È una suora pure la voce dell’Africa Centrale che rivive la terribile mattina del 5 dicembre 2013, quando il suo villaggio fu assalito dai ribelli: “Mia sorella scomparve e non tornò più”. Lei piangeva e gridava: “Perché?”. Da Dio ha attinto la forza per amare: “Nonostante abbia perso praticamente tutto… tutto passa tranne Dio”. Da questa esperienza, è nata la vocazione a trasmettere ai bambini i valori di aiuto, perdono, onestà. “Risanaci”, chiede a Dio, dalla paura di essere “incompresi” e “dimenticati”.
La testimonianza di un giovane ucraino e un giovane russo
Nella decima stazione a comporre le meditazioni sono un giovane ucraino e un giovane russo. Il primo racconta della fuga da Mariupol verso l’Italia, dove risiede la nonna, con il padre bloccato alla frontiera e la nostalgia di casa. “La mia famiglia ha deciso di rientrare in Ucraina. Qui la situazione continua ad essere difficile, c’è guerra da tutte le parti, la città è distrutta”. Il giovane russo dice di sentirsi invece “spogliato della felicità e di sogni per il futuro”. Il fratello più grande è morto, del padre e del nonno non si sa più nulla: “Tutti ci dicevano che dovevamo essere orgogliosi, ma a casa c’era solo tanta sofferenza e tristezza”. Al Signore chiedono la purificazione da “risentimento”, “rancore”, “parole e reazioni violente”, “atteggiamenti che creano divisioni”.
Il “calvario” di un giovane del Vicino Oriente
Ricordi di morte e bombardamenti sono pure quelli di ungiovane del Vicino Oriente, costretto a vivere dal 2012 una guerra “ogni giorno più orrenda”. Le bombe esplodevano continuamente nel suo quartiere, una pure nella camera dei genitori. Da lì la decisione di scappare: “Un altro calvario perché, dopo due tentativi di ottenere un visto, non ci rimase che imbarcarci”. Rischiarono la vita e furono salvati dalla guardia costiera e dagli abitanti del posto: “La guerra uccide la speranza”. “Guariscici, Signore Gesù” da “impazienza”, “fretta”, “chiusura”, “isolamento”. Guariscici “dalla sfiducia e dal sospetto”.
La mamma dell’Asia Occidentale che ha perso il figlio ma non smette di sperare
“Il tuo amore è più forte di tutto”, afferma invece una donna dell’Asia Occidentale. Parole non scontate da parte di una madre che ha visto il figlio piccolo morire sotto un colpo di mortaio insieme al cugino e la vicina di casa. “La fede mi aiuta a sperare, perché mi ricorda che i morti sono nelle braccia di Gesù. E noi sopravvissuti cerchiamo di perdonare l’aggressore”. A Cristo domanda: “Insegnaci” a “perdonare, come tu ci hai perdonato” e a “fare il primo passo per riconciliarci”.
Il ricordo della consorella uccisa in Africa Orientale
Una suora dall’Africa Orientale ricorda la consorella missionaria morta “senza pietà” per mano dei terroristi il giorno in cui il suo Paese festeggia l’Accordo per l’indipendenza. “Il giorno della vittoria si tramutò in sconfitta”, scrive. Tuttavia, assicura, Cristo è “la nostra vera vittoria”. “Tu che morendo hai distrutto la morte: Abbi pietà di noi, Signore Gesù!”.
Le ragazze dell’Africa Australe che perdonano i ribelli
Infine la testimonianza di giovani ragazze dell’Africa Australe, rapite e maltrattate dai ribelli: “Spogliate di abiti e di dignità, vivevamo nude perché non scappassimo”. Sono invece fuggite e ora scrivono: “Nel nome di Gesù li perdoniamo per tutto quello che ci hanno fatto”. “Custodiscici, Signore Gesù” nella “speranza che non delude”, nel “perdono che rinnova il cuore”, nella “pace che rende beati”.
14 “grazie”
La Via Crucis si conclude con una preghiera di “14 grazie” al Signore: “Grazie” per la speranza, il coraggio, la misericordia, l’amore. “Grazie per la luce che hai acceso nelle nostre notti e riconciliando ogni divisione ci hai reso tutti fratelli”.
Via Crucis, dal Colosseo sale il grido degli afflitti. Il Papa in preghiera a Santa Marta
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Non è ancora piena notte al Colosseo, luogo di antico martirio cristiano, quando l’Agnus Dei intonato dal Coro della Cappella Sistina risuona dai Fori Imperiali fino all’Arco di Costantino dove, come ogni anno da circa sessant’anni, si snoda la Via Crucis del Venerdì Santo. La via della Croce, il “pio esercizio” che fa memoria del cammino di Cristo verso il Golgota, in questo 2023 ancora segnato da guerre e drammi umanitari vede circa ventimila persone radunarsi in preghiera all’ombra imponente dell’Anfiteatro Flavio.
Il Papa segue dalla sua residenza in Vaticano
Se tre anni fa, a causa della pandemia di Covid, questo che si annovera come uno dei momenti più intensi della vita spirituale della città di Roma era stato celebrato in assenza di popolo, quest’anno si svolge in assenza del Papa. Francesco non è presente infatti sul palco del Monte Celio, stretto nel suo cappotto bianco, ma a Casa Santa Marta unito spiritualmente ai fedeli dell’Urbe. La temperatura che si abbassa rapidamente nelle ore serali rappresentava un rischio per il Pontefice, fino a sabato scorso degente nel Gemelli a causa di una bronchite infettiva. Dalla sua residenza in Vaticano, come annunciato già nel pomeriggio la Sala Stampa vaticana, il Papa segue la Via Crucis “unendosi alla preghiera di coloro che si raccoglieranno con la Diocesi di Roma al Colosseo”
È sempre il cardinale De Donatis a pronunciare, con voce commossa, la preghiera conclusiva. Una lunga orazione scandita da “14 grazie a Dio”. Gratitudine per non aver lasciato l’umanità sprofondare nel peccato, nell’empietà, nel male che l’uomo è capace di compiere contro un altro uomo. Un male che non è un’idea, ma un fatto, qualcosa di già accaduto nella vita degli autori delle meditazioni lette nel corso della celebrazione: gente di ogni religione e nazionalità che ha visto morire figli e genitori sotto bombe e colpi di mortaio, gente che è stata violata nel corpo e nell’anima, che è stata strappata dai luoghi di nascita per essere catapultata sopra barconi, in mezzo a deserti, dentro a bauli o all’interno di centri di tortura.
A condividere frammenti delle proprie storie sono vedove e profughi, orfani e sopravvissuti, migranti torturati in Libia e sacerdoti perseguitati durante la guerra nei Balcani. Ragazzi di Paesi aggrediti e Paesi aggressori che piangono entrambi la perdita dei propri cari o ragazzini come Joseph e Johnson di 16 e 14 anni – gli unici di cui viene riportato il nome – che vorrebbero solo giocare e studiare ma che sono costretti a vivere nei blocchi dei campi sfollati. Ci sono poi madri, padri, giovani, anziani, suore, sacerdoti, missionari. Tutti uniti dal dolore, dal trauma di aver visto morire parenti o consorelle, dalle ferite provocate da mine e coltelli o dall’odio. Quello che, si recita nella quinta stazione, “una volta sperimentato, non si dimentica…”.
Voci di pace
“Voci di pace” sono tuttavia definiti nel tema scelto dal Papa perché nelle loro testimonianze, raccolte da Francesco stesso durante i quaranta viaggi apostolici e in altri momenti del suo pontificato, non c’è solo la denuncia dell’orrore subito in Medio Oriente, in Africa, in Asia del Sud o in Ucraina ma anche l’invocazione alla speranza, al dialogo, alla conversione, al perdono. Soprattutto il perdono. “Passerà tutto…”, recitano alcune meditazioni.
Vittime di guerra portano la croce
Non sono loro, gli autori dei testi, a fare da cruciferi al Colosseo: la croce in legno viene portata da altre persone, anch’esse vittime delle violenze delle guerre, in rappresentanza di coloro che ha incontrato il Papa. Segno di quanto sia drammaticamente globale la diffusione di questi drammi nel mondo. Ci sono tra loro rifugiati del Centro Astalli o giovani del Centro America, alcuni dei quali indossano abiti tradizionali; il giovane che porta la croce nella decima stazione, quella che riporta la testimonianza di un ragazzo di Mariupol e di un ragazzo russo, ha annodato al collo un foulard con i colori della bandiera Ucraina. Bandiere, poche, se ne vedono sventolare tra la folla, da dove non si ode un suono se non qualche colpo di tosse e il lamento di un neonato. Un’altra bambina di pochi mesi, con un grande fiocco rosa sulla testa, è la più giovane crucifera, in braccio alla sua mamma e al suo papà che guidano la processione nell’undicesima stazione
Una preghiera di gratitudine
Il grido di un uomo “W il Papa! Francesco!”, seguito da un applauso, rompe il clima di silenzioso raccoglimento al termine della Via Crucis. Viene fatto partire dopo che De Donatis ha scandito le ultime parole della preghiera conclusiva, rilanciate da Papa Francesco dal suo account Twitter @Pontifex: “Grazie, Signore Gesù, per la luce che hai acceso nelle nostre notti e riconciliando ogni divisione ci ha reso tutti fratelli, figli dello stesso Padre che sta nei cieli”. Tutti fratelli, fratelli tutti, insieme a portare ma non soccombere sotto il peso del massimo simbolo del dolore umano, la croce.