IL “REGINA COELI” DI PAPA FRANCESCO
Da Piazza San Pietro, recita della Preghiera del Regina Coeli guidata da Papa Francesco
PAPA FRANCESCO
Regina Coeli. Il Papa: quando si incontra Gesù, non possiamo fare a meno di annunciarlo
Regina Coeli
Regina Coeli
Il Papa: incontriamo il Risorto quando lo annunciamo abbandonando le nostre paure
Tiziana Campisi – Vatican News
“Gesù si incontra testimoniandolo”: ce lo insegnano le donne discepole che all’alba del mattino di Pasqua si recano alla tomba di Cristo per onorarne il corpo con unguenti aromatici. Francesco lo sottolinea al Regina Caeli del Lunedì dell’Angelo, chiedendo di custodire questo insegnamento nel cuore e soffermandosi sulla forza d’animo di queste donne, che, pur soffrendo per la morte di Gesù, “diversamente dagli altri” non si sono lasciate pervadere “dalla tristezza e dalla paura”. “La loro volontà di compiere quel gesto d’amore” prevale su tutto, rimarca il Papa, e, pur consapevoli che, essendo la tomba sigillata, sarebbe stato necessario togliere la pietra che la chiudeva, “non si scoraggiano, escono dai loro timori e dalla loro angoscia”. “Ecco la via per trovare il Risorto”, afferma Francesco, ricordando che poi, visto il sepolcro vuoto, le donne corrono a dare l’annuncio ai discepoli e accade che “Gesù viene loro incontro”. “Gesù le incontra mentre vanno ad annunciarlo” fa notare il Papa.
Quando noi annunciamo il Signore, il Signore viene a noi. A volte pensiamo che il modo per stare vicini a Dio sia quello di tenerlo ben stretto a noi; perché poi, se ci esponiamo e ci mettiamo a parlarne, arrivano giudizi, critiche, magari non sappiamo rispondere a certe domande o provocazioni, e allora è meglio non parlare, chiudersi. No, questo non è buono. Invece il Signore viene mentre lo si annuncia. Tu sempre trovi il Signore nel cammino dell’annuncio. Annuncia il Signore e lo incontrerai. Cerca il Signore e lo incontrerai. Sempre in cammino.
Gesù dimora in noi quando ne diamo notizia
In pratica succede come quando riceviamo una bella notizia e la condividiamo con gli amici, spiega Francesco, e, raccontandola e ripetendola “anche a noi stessi”, la facciamo in qualche modo “rivivere ancora di più in noi”. “Per Gesù, che non è solo una bella notizia” ma “la risurrezione e la vita” questo “accade infinitamente di più”, chiarisce il Papa.
Ogni volta che lo annunciamo, non facendo propaganda o proselitismo, quello no. Annunciare è una cosa, fare propaganda e proselitismo è un’altra. Il cristiano annuncia, quello che ha altri scopi fa proselitismo e questo non va. Ogni volta che lo annunciamo il Signore viene incontro a noi, Lui viene con rispetto e amore, come il dono più bello da condividere. Gesù dimora di più in noi ogni volta che noi lo annunciamo.
Incontrare Cristo ci porta ad annunciarlo superando ogni ostacolo
Francesco vuole far capire che l’incontro con Gesù spinge a superare tutti gli ostacoli, e per questo torna ancora “alle donne del Vangelo”, evidenziando la loro caparbietà di fronte alla pietra posta davanti il sepolcro – che avrebbe potuto dissuaderle dal proposito di rendere omaggio a Gesù – e il coraggio di annunciare la sua Resurrezione, nonostante un’intera città lo avesse visto in croce.
Quando si incontra Gesù, nessun ostacolo può trattenerci dall’annunciarlo. Se invece teniamo per noi la sua gioia, forse è perché non lo abbiamo ancora incontrato veramente.
L’invito di Francesco è a riflettere su cosa fare perché gli altri ricevano la gioia dell’annuncio di Gesù ed esorta a pregare Maria affinché
“ci aiuti ad essere gioiosi annunciatori del Vangelo”
Al termine della preghiera mariana del Regina Caeli, il Papa, poi ringrazia quanti, in questi giorni, gli hanno fatto pervenire “espressioni di augurio” ed esprime riconoscenza “soprattutto per le preghiere”, invocando Dio perché, attraverso l’intercessione della Vergine,
“ricompensi ciascuno con i suoi doni”
La gioia dell’incontro con Dio deve essere testimoniata agli altri senza fare “propaganda” o “proselitismo”
Lo ha detto papa Francesco oggi al Regina Coeli, che in questo tempo liturgico sostituisce la preghiera dell’Angelus :
“A volte pensiamo che il modo per stare vicini a Dio sia quello di tenerlo ben stretto a noi; perché poi, se ci esponiamo e ci mettiamo a parlarne, arrivano giudizi, critiche, magari non sappiamo rispondere a certe domande o provocazioni, e allora è meglio non parlarne”
Invece
“il Signore viene mentre lo si annuncia”
ha sottolineato Papa Francesco :
“Ogni volta che lo annunciamo, non facendo propaganda o proselitismo”
ma
“con rispetto e amore, come il dono più bello da condividere, come il segreto della gioia, allora Gesù dimora ancora di più in noi”
ha aggiunto il Papa:
«Questo ci insegnano le donne: Gesù si incontra testimoniandolo»
ha proseguito il Papa :
«Pensiamo ancora alle donne del Vangelo»
ha detto ancora :
«c’era la pietra sigillata e nonostante ciò vanno al sepolcro; c’era una città intera che aveva visto Gesù in croce e nonostante ciò vanno in città ad annunciarlo vivo. Quando si incontra Gesù, nessun ostacolo può trattenerci dall’annunciarlo. Se invece teniamo per noi la sua gioia, forse è perché non lo abbiamo ancora incontrato veramente”
Il Papa ha concluso chiedendo di
«perseverare nell’invocare il dono della pace per rutto il mondo, specialmente per la cara e martoriata Ucraina»
LETTURA DEL GIORNO
Dagli Atti degli Apostoli
At 2,14.22-33
[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così:
«Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere.
Dice infatti Davide a suo riguardo: “Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli ìnferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”.
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli ìnferi, né la sua carne subì la corruzione.
Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».
VANGELO DEL GIORNO
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 28,8-15
In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo”. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione». Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino a oggi.
PAROLE DEL SANTO PADRE
Il Signore ci precede, ci precede sempre. È bello sapere che cammina davanti a noi, che ha visitato la nostra vita e la nostra morte per precederci in Galilea, nel luogo, cioè, che per Lui e per i suoi discepoli richiamava la vita quotidiana, la famiglia, il lavoro. Gesù desidera che portiamo la speranza lì, nella vita di ogni giorno. Ma la Galilea per i discepoli era pure il luogo dei ricordi, soprattutto della prima chiamata. Ritornare in Galilea è ricordarsi di essere stati amati e chiamati da Dio. Ognuno di noi ha la propria Galilea. […] Ma c’è di più. […]la Galilea era il luogo più distante dalla sacralità della Città santa. Era una zona popolata da genti diverse che praticavano vari culti: era la «Galilea delle genti» (Mt 4,15). Gesù invia lì, chiede di ripartire da lì. Che cosa ci dice questo? Che l’annuncio di speranza non va confinato nei nostri recinti sacri, ma va portato a tutti. (Omelia veglia pasquale, 11 aprile 2020)
Monsignor Yazlovetskiy: nelle piaghe di Gesù risorto c’è la sofferenza dell’Ucraina
“La maggior parte delle persone, credenti e non, sentono che con l’aiuto di Dio questa guerra finirà”
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
Poco più di un anno di guerra e due celebrazioni pasquali vissute sotto assedio. I fedeli cattolici di rito latino dell’Ucraina celebrano la Risurrezione del Signore guardando alla rinascita, alla fine della paura e delle lacrime. Nonostante le bombe non abbiano cessato di cadere, nonostante il timore della morte accompagni ancora la quotidianità di tutti, si rafforza la speranza che si possa presto arrivare alla fine dell’invasione russa. “Quest’anno è diverso”, conferma a Vatican News monsignor Oleksandr Yazlovetskiy, vescovo ausiliare della diocesi di Kyiv-Zhytomyr, che spiega come siano “i giovani a spingere a gioire e a credere nella pace”:
Eccellenza, questa è già la seconda Pasqua che l’Ucraina vive in guerra. Che significato assume la festività in questo contesto?
Sicuramente questa Pasqua, anche se vissuta di nuovo durante la guerra, è un po’ diversa dalla Pasqua precedente, perché adesso abbiamo la speranza e la fede che, con l’aiuto di Dio, il conflitto possa finire. Ricordo che lo scorso anno abbiamo festeggiato, anche se comunque con la gioia della Risurrezione di Cristo, però anche con tanta tristezza, perché non sapevamo cosa sarebbe successo nel nostro Paese, ci chiedevamo come andare avanti, se saremmo riusciti ad esistere ancora come popolo. Abbiamo sentito una grande paura. Adesso è un po’ diverso. Credo che la maggior parte degli ucraini, credenti e non, sentono comunque che con l’aiuto di Dio questa guerra finirà. E perciò anche la Pasqua quest’anno è un po’ diversa: la gioia è più forte perché la gioia dipende prima di tutto dalla Risurrezione di Cristo, ma anche dalle circostanze che ci aiutano a sentirla meglio.
Le prime parole che Gesù ha rivolto ai suoi discepoli dopo la Risurrezione sono state “Pace a voi”. Secondo lei, che significato avrebbero se Cristo le pronunciasse adesso in Ucraina?
Sappiamo che quando uno è giovane non apprezza tanto la salute, perché la possiede, e sappiamo anche che quando questo giovane diventa anziano capisce che la salute è stata una bella grazia e si dispiace per non averla apprezzata abbastanza. Così è anche con la pace. Penso che per tutti i popoli, non solo per l’Ucraina, perché ci sono diversi Paesi che soffrono come noi, questa parola abbia un grande valore. Per noi non significa solo l’assenza della guerra, perché abbiamo capito che anche senza sparare, anche senza la guerra vera e propria, non è che la pace prima la possedevamo. Certo, per noi cristiani la pace sarebbe avere il Cristo come proprio Re, però per raggiungere questo dobbiamo ancora pregare.
Che cosa può dire dei giovani in Ucraina? Qual è la fonte della speranza per i ragazzi?
Sappiamo che di solito gli anziani sono più silenziosi perché hanno una certa esperienza, hanno vissuto i tempi buoni e cattivi. E quando si parla della vittoria, della pace, loro pregano e stanno nel silenzio, sperano, ma sono silenziosi. I giovani, invece, ci spingono a gioire, ma anche a credere in questa pace, basta incontrarli anche qui a Kyiv, basta parlare con loro e ci danno la speranza, con sorrisi e parole di conforto, l’uno verso l’altro. Quando ci salutano, dicono “Vinciamo”, “Ti auguro la pace!” “Speriamo di vederci quando la guerra finirà”. Perciò i nostri giovani sono per noi un motivo davvero di conforto, di aiuto, perché loro credono nella pace. Io vorrei dire che i nostri giovani aspettano anche la visita di Papa Francesco, noi tutti preghiamo per la sua salute, preghiamo per lui e speriamo di vederlo un giorno qui con grande gioia.
Com’è cambiato il modo di svolgere il suo servizio vescovile durante quest’anno? Cosa ha imparato in questo periodo?
Ho imparato tante cose. Per esempio, ho imparato come si accende e si spegne un generatore, o cosa significa avere un power bank, non quello piccolo per il cellulare, ma uno grande, capace di garantire un giorno di elettricità in un appartamento. A parte gli scherzi, questo periodo è stato difficile per tutti noi ma, con l’aiuto di Dio, abbiamo imparato tante cose. A me personalmente ha aiutato anche il fatto che dal dicembre scorso sono diventato presidente di “Caritas-Spes Ucraina”. Qui abbiamo due Caritas: “Caritas Ucraina” della Chiesa greco-cattolica, e “Caritas-Spes Ucraina” della Chiesa romano-cattolica, entrambe stanno realizzando tantissimi progetti. E qui sto imparando a fare le opere di misericordia verso i bisognosi. Papa Francesco parla molto della piaga del clericalismo, io penso che, certamente, in ogni Chiesa vi sono queste macchie di clericalismo, più grandi o più piccole, e anche noi non siamo liberi da questo, ma con la guerra tanti nostri sacerdoti, ed anche io stesso, abbiamo imparato ad essere vicini alla gente, ad uscire, a stare con loro, a chiedere di organizzare qualcosa insieme a loro, con i parrocchiani, perché il sacerdote non può fare nulla da solo. Perciò, per tanti dei nostri sacerdoti e anche vescovi è come se avessero ripreso fiato. Si sente una grande solidarietà, si fanno tanti progetti, tanti benefattori chiamano dall’estero perché vogliono aiutare o perché stanno per arrivare per incontrarci. Abbiamo imparato anche a sperimentare, ad accettare la misericordia degli altri, perché anche questo bisogna imparare. Mi ricordo che una volta, quando ero ancora seminarista in Polonia, mi hanno mandato a fare la raccolta delle offerte durante la Messa, mi sono vergognato talmente da diventare rosso. Mi sentivo umiliato, anche se non chiedevo l’elemosina per me, ma la Chiesa, per la parrocchia. Quindi, bisogna imparare anche a riceverlo l’aiuto. Noi siamo stati umiliati con questa guerra, ma abbiamo sperimentato una grande misericordia. Allo stesso tempo abbiamo imparato anche a fare opere di misericordia per gli altri. La guerra ti aiuta ad essere o un grande peccatore o un grande santo. Sono due cose estreme, ci sono solo due possibilità.
Quello che racconta, credo possa essere visto anche come un grande segno di speranza…
Certo, stiamo imparando tante cose: stiamo imparando ad essere cristiani anche senza nominarci cristiani. In guerra, se vuoi essere una brava persona, se vuoi aiutare gli altri, essere solidale con gli altri e se vuoi lavorare per avvicinare questa pace, devi comportarti come un cristiano, perché altrimenti dove andiamo?
Dopo la Risurrezione, Gesù compare ai suoi discepoli con le ferite. Cosa ci insegna questo nel contesto della guerra?
Guardando le ferite di Cristo e il suo corpo, durante il Venerdì Santo, sentiamo una grande compassione. Di solito è Dio a sentire la compassione verso di noi, in quel giorno siamo noi a sentirla verso Dio che ha pagato un grande prezzo per salvarci. Noi ucraini possiamo vedere queste ferite di Cristo anche nel nostro Paese, sappiamo che Cristo si identifica con le persone che soffrono e noi è da tutto un anno che abbiamo queste ferite aperte. Io sono grato a tutti coloro che sono sensibili alla sofferenza di Cristo, mentre guardano la croce in questi giorni o durante l’anno, e capiscono che Cristo è presente nelle persone che soffrono, nei popoli che soffrono, e non parlo solo degli ucraini. Vedo tanti che vogliono portare aiuti, che vogliono sostenerci con la preghiera, con parole di conforto. E noi percepiamo questa compassione verso noi e siamo molto grati a tutti coloro che vedono Cristo sofferente anche nel nostro Paese, che vedono queste ferite nelle nostre città e nei nostri paesi distrutti, in tanta gente e nei tanti militari che sono morti.