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CENTENARIO DON LORENZO MILANI : PRIORE DI BARBIANA (FI)

SERGIO MATTARELLA: “SUA SCUOLA COME LUOGO DI PROMOZIONE E NON DI SELEZIONE”

Don Milani, maestro e profeta di una scuola dell’inclusione culturale e sociale
Quest’anno, il 27 maggio, ricorrono i cento anni della nascita di don Milani, il priore di Barbiana (Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto alla cerimonia in occasione del centenario della nascita di don Lorenzo Milani che si è svolta a Barbiana.

Dopo i saluti di Filippo Carlà Campa, Sindaco di Vicchio, di Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana e di Agostino Burberi, ex allievo, Presidente della Fondazione don Milani, hanno preso la parola Yasmine Laktaoui, studentessa della scuola milaniana di Calenzano e volontaria educatrice, S.Em. Rev.ma il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e Rosy Bindi, Presidente del Comitato nazionale per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani.

La cerimonia si è conclusa con l’intervento del Presidente Mattarella.


Oggi 27 maggio ricorrono i 100 anni dalla nascita del priore di Barbiana. “Lettera a una professoressa” è forse l’opera più nota del sacerdote fiorentino: denunciava una scuola che condannava i figli dei poveri al silenzio, privandoli degli strumenti con cui potersi esprimere. Se la società dei suoi tempi non c’è più, ancora oggi la scuola in Italia registra alti tassi di abbandono e forme di disagio, ma è essenziale, sostiene Lauro Seriacopi, vice presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani
Cento anni fa nasceva don Lorenzo Milani, seme che continua a generare frutti
A Barbiana il 27 maggio prossimo l’apertura delle celebrazioni del Centenario del sacerdote fiorentino che per 13 anni fu parroco del piccolo borgo toscano. Numerose in tutta Italia le iniziative promosse in occasione dell’anniversario. La testimonianza di Agostino Burberi, il ragazzo che accolse per primo don Milani al suo arrivo a Barbiana

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Era nato il 27 maggio 1923, a Firenze, don Lorenzo Milani, che come scriveva Michele Gesualdi, uno dei suoi ragazzi di Barbiana, era “uno di quegli uomini che per le sue scelte nette e coerenti, le sue rigide prese di posizione, il linguaggio tagliente e preciso, la logica stringente si tirava facilmente addosso grandi consensi o grandi dissensi con schieramenti preconcetti che hanno spesso offuscato la sua vera dimensione”. E se su di lui è stato detto e scritto molto, sosteneva Gesualdi, ancora resta molto da scoprire, “soprattutto in quella dimensione religiosa che è l’aspetto fondamentale di tutta la sua vita e delle sue opere”. Perché, prima di tutto, don Lorenzo era un prete che voleva servire Dio radicalmente e lo voleva fare servendo la gente che gli era stata affidata. 

La scelta radicale di Dio e dei poveri

Don Milani è stato sacerdote e maestro perchè convinto che la mancanza di cultura era un ostacolo all’evangelizzazione e all’elevazione sociale e civile del suo popolo. Uno scritto di don Lorenzo esprime in modo impressionante la radicalità della sua fede e delle sue scelte. Di fronte a Pipetta, il giovane comunista che gli diceva: “Se tutti i preti fossero come lei, allora …”, don Milani rispondeva: “Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perchè il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio signore crocifisso.”

1923-2023: a cent’anni l’attualità del messaggio 

“Il Centenario della nascita di don Lorenzo Milani non può essere una celebrazione storica scontata – afferma il presidente dell’Istituzione culturale don Milani, Leandro Lombardi -, ma vogliamo che diventi un’occasione per riscoprire quanto il suo messaggio sia più attuale che mai, ci aiuti a capire il nostro tempo e a trovare nuove soluzioni per i nostri”. Il Comitato nazionale per il Centenario della nascita del priore, costituito nel dicembre 2022 per iniziativa della Fondazione don Lorenzo Milani, dell’Istituzione don Lorenzo Milani di Vicchio, il comune in cui si trova Barbiana, dell’Associazione di Volontariato Gruppo don Lorenzo Milani di Calenzano, e che gode dell’Alto Patronato del presidente della Repubblica, ha lavorato proprio perché l’anniversario possa promuovere soprattutto l’approfondimento e la riflessione sull’attualità dell’esperienza del priore con l’ambizione di sollecitare, ispirato dalla sua figura, un impegno diffuso per la realizzazione di un futuro più giusto per tutti.

La visita di Mattarella a Barbiana il 27 maggio 

Alle iniziative promosse dal Comitato se ne affiancheranno molte altre programmate autonomamente da istituzioni scolastiche, istituzioni locali, parrocchie, associazioni sindacali e culturali. All’apertura delle celebrazioni, sabato 27 maggio alle 10.30, è prevista la visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ai luoghi di don Milani. Alle 11, la cerimonia con gli indirizzi di saluto del sindaco di Vicchio Filippo Carlà Campa e del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani. Seguiranno gli interventi di Agostino Burberi, presidente della Fondazione don Lorenzo Milani; di Yasmine Laktaoui, giovane educatrice del doposcuola milaniano di Calenzano; del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e di Rosy Bindi, presidente del Comitato nazionale. Nel pomeriggio, alle 13, ci sarà l’arrivo da Vicchio della XXII Marcia di Barbiana e alle 14.30 la celebrazione eucaristica, presieduta dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze. Significativo il brano tratto da Lettera ai cappellani militari di don Milani che vuol essere il messaggio della Marcia: “Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.

Burberi: il priore ci ha dato tutto, ora tocca a noi

Agostino Burberi è stato uno dei ragazzi di Barbiana, anzi, il primo. Al microfono diVatican News racconta ciò che ha visssuto accanto a don Lorenzo. La sua è una testimonianza di come l’esempio del priore continui a sollecitare tanti ad impegnarsi per una scuola diversa e una società migliore.

Agostino Burberi, lei ha conosciuto personalmente don Lorenzo Milani. Ci parla del rapporto tra lei e il priore di Barbiana? Cominciamo da qui…

Io sono nato a Barbiana e sono anche il primo ragazzo che don Lorenzo incontrò quando, andato via da San Donato a Calenzano, arriverà a Barbiana quel 7 dicembre 1954 perché io facevo il chierichetto al parroco che aveva chiesto di lasciare Barbiana. Quindi quando lui è arrivato, la sera, era buio, pioveva, io mi trovavo in chiesa a dire le Litanie all’altare della Madonna, perché l’indomani sarebbe stata la festa dell’8 dicembre. Il giorno dopo lui, insieme al parroco che sarebbe andato via, ha fatto il giro delle case degli abitanti di Barbiana che in quei tempi erano 120. E la prima cosa che dirà ai nostri genitori è: “Da domani io farò doposcuola ai vostri figli”. Io avevo 8 anni e noi bambini andavamo alla scuola elementare all’inizio delle case del paese, c’era una pluriclasse dove una sola maestrina doveva distribuire il suo tempo ai ragazzi delle cinque classi. E così è stato. Nel pomeriggio del giorno successivo a quella visita, abbiamo cominciato ad andare in canonica e quello che era il salotto della canonica è diventato la scuola di Barbiana. Pur essendo chierichetto, pur essendo una delle poche famiglie vicine al prete, io non ero mai entrato nel salotto perché il rapporto che esisteva allora tra il parroco e il suo popolo era di distanza. E invece don Milani è arrivato, ha tolto il campanello – che non era elettrico perché a Barbiana non c’era l’energia elettrica, non c’era l’acqua in casa, non c’era la strada – e subito ha detto che il prete deve essere sempre, notte e giorno, a disposizione dei suoi fedeli. Successivamente ha proposto ai nostri genitori una scuola professionale, una scuola di avviamento industriale, perché all’inizio eravamo tutti maschi.

Il primo gruppo di 6 ragazzi alla scuola di Barbiana (foto dell’Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

Però più tardi qualche bambina si è unita al gruppo…

Senz’altro, diciamo che la prima generazione era composta da sei ragazzi, e noi ce lo siamo goduto per quattro anni. Il quarto anno è arrivata la seconda generazione di barbianesi che era di sette e lì c’erano metà bambini e metà bambine. Nella terza generazione di barbianesi c’erano dieci bambini, ma già quattro di questi venivano dai paesi vicini. Dopo il 1962 nascevano le prime scuole medie e i ragazzi andavano a scuola e alcuni di loro venivano puntualmente bocciati. Allora, a un certo punto dei genitori si mettono d’accordo, vengono a Barbiana e dicono a don Milani: “Ma lei prenderebbe anche i nostri figli che sono in giro a far nulla e rischiano di non andare più a scuola?” e li abbiamo accettati. Erano in 25. Quello è stato il periodo più duro della scuola di Barbiana. Va ricordato che don Milani, su 13 anni di parroco a Barbiana, sette li ha fatti che era ammalato, prima di infogranuloma e poi di leucemia, quindi noi più grandi lo abbiamo dovuto aiutare a sostenere la scuola che di colpo era cresciuta.

Ecco, qualcuno dice, e forse lei ce lo può confermare, che sul comodino di don Lorenzo Milani c’erano sempre due libri, la Bibbia e la Costituzione. È così?

Non sul comodino di don Milani, ma sul tavolo della scuola, anzi c’era sempre il Vangelo, perchè lui sosteneva che il Vangelo è il libro più importante del mondo. Poi c’era la Costituzione che lui diceva essere il compromesso più alto, fatto da ideologie diverse, per andare avanti nel nostro Paese. E l’altra cosa sempre presente erano i libri di Gandhi che ci ha insegnato come è riuscito con la disobbedienza civile, non con le armi, a liberare il suo popolo, l’India, dagli inglesi. 

Don Lorenzo era prete e uomo schierato con i poveri in tante forme, ma soprattutto nell’insegnamento. Ecco, l’importanza data all’educazione, all’istruzione, che allora doveva suonare rivoluzionaria è oggi quanto mai attuale, perché è cruciale anche nel nostro tempo la questione educativa, di cui anche il Papa parla spesso…

Certo, il Papa poi è venuto a onorarci, perchè questo nostro maestro era malvisto, era messo nell’angolo nella Chiesa e nella società civile. Ma che cosa chiedeva don Milani alla Chiesa, al suo vescovo monsignor Florit? Chiedeva di venire a Barbiana in visita pastorale e dire ai suoi ragazzi e al popolo che don Milani comunque era un prete della diocesi fiorentina, magari lui non condivideva il modo di fare e di pensare di questo suo prete, ma era innegabile che fosse un prete, tra l’altro fedele, della diocesi fiorentina, (n.d.r. cosa che non accadde). E dall’altra parte c’era la società civile che lo ha portato al processo sul discorso dell’obiezione di coscienza e quindi lo ha maltrattato da questo punto di vista. Ecco, il 27 di questo mese torna a rendere omaggio al nostro maestro il presidente della Repubblica, Mattarella. Quindi la riabilitazione religiosa l’abbiamo avuta nella Chiesa dalla visita di Papa Francesco e la riabilitazione civile l’avremo da parte del presidente. Tenga conto che quando don Lorenzo è morto, al suo funerale non era presente nessuna autorità n’è religiosa, n’è civile. C’erano due pretini a dire la Messa e il funerale e basta. Certo, ci è voluto un po’ di tempo, ma oggi sia la Chiesa sia lo Stato gli rendono omaggio e pensiamo che questo sia un grosso risultato. E poi, durante la sua visita Papa Francesco fece un discorso bellissimo, andò sulla tomba e lasciò scritto sul libro che abbiamo al cimitero: “Ringraziamo Dio di averci donato un prete come don Milani”.

Un’immagine della scuola di Barbiana (dall’Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

Perché era così centrale l’istruzione per don Milani, insegnare e fare in modo che i ragazzi sapessero l’italiano, imparassero le lingue, che conoscessero la storia, la geografia ecc…?

Questo va considerato prima di tutto dal punto di vista della sua missione. Lui diceva: come faccio a insegnare la Parola di Dio se le persone a cui devo dare questa Parola non capiscono il significato, non sanno leggere e scrivere? Allora, prima di tutto devo dedicare la mia vita a questo”. La seconda ragione è un problema di giustizia, l’aver sempre capito, prima ancora di farsi prete, che la differenza che c’è tra il ricco e il povero di cultura è la parola, è saper leggere e scrivere per bene l’italiano, perché una volta imparato l’italiano si possano poi imparare anche altre lingue per poter dialogare con tutti i propri simili del mondo, con tutti gli sfruttati del mondo. Tenga conto che a Barbiana si andava avanti al passo dell’ultimo, finché l’ultimo non aveva capito, non si andava avanti. Le racconto una cosa: quando ormai don Lorenzo stava morendo, aprivavamo noi la posta che arrivava e rispondevamo, ovviamente, che il priore era ammalato e quindi non poteva rispondere. Un giorno arriva una lettera da questa ragazza, Nadia di Napoli, una studentessa universitaria che scrive: “Caro don Milani, io sto cercando Dio. Mi dici come faccio a trovarlo?” E allora anche se stava molto male, noi gli abbiamo detto: “Qui devi rispondere tu”. E il priore risponderà con quella bellissima lettera molto significativa in cui diceva: “Cara Nadia, abbandona l’università, vai nei rioni di Napoli, troverai sicuramente dei ragazzi, degli scugnizzi in giro che non vanno più a scuola. Dedica la tua vita per portarli al livello della cultura della terza media. Quando avrai speso la tua vita, così come è successo a me, dietro a poche decine di ragazzi, troverai senz’altro Dio come un premio”. Perchè il segreto della scuola e dell’insegnamento è voler bene ai ragazzi, alle creature che Dio ci ha dato, e nel suo testamento dirà: ho voluto più bene a voi che a Dio. Speriamo che Lui non sia permaloso e che metta tutto sul suo conto.

Certo, essere così nel cuore di don Milani doveva essere una cosa bellissima. Allora le chiedo: c’è un episodio, una frase che don Milani le ha detto, ha detto a lei personalmente, e che lei non ha mai dimenticato?

Come le ho detto, io sono stato con don Milani quasi dieci anni, quindi la mia vita, la mia educazione, tutto quello che ho fatto è dipeso da lui, da quell’incontro, da tutte le cose che vivevo con lui. Pensi che la scuola a Barbiana durava 12 ore, tutti i giorni, compreso il sabato e la domenica. Quindi di cose ce ne ha dette tante. Quando stava per morire gli abbiamo chiesto: “Ma ora come facciamo senza di te?”. E lui ci ha risposto: “Da vivo, io vi ho detto tante cose fino ad annoiarvi, ora che non ci sono più, arrangiatevi. Sono problemi vostri”. Voleva dire che fino a quel momento avevamo avuto la balia, lui ci aveva sempre indicato la via, da qui in avanti sperava che fossimo abbastanza maturi per scegliere da noi la via. Noi eravamo bambini, ma lui ci ha trattato da adulti fin da piccoli. Io non ho fatto quella che si chiama l’adolescenza, non ho mai sciupato il mio tempo, anche se va detto serenamente che noi non eravamo dei santi perché i nostri fratelli, quelli che erano a casa e non venivano a scuola, erano più sacrificati di noi, perché dovevano andare nei campi e stare con gli animali… Lui ci ha dato tutto e noi siamo stati fortunati di averlo incontrato, ma anche lui è stato fortunato di aver trovato ragazzi come noi che non avevano distrazioni.

Don Milani visse a Barbiana dal 1954 al 1967 data della sua morte (foto dell’Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

Il Centenario della nascita di don Lorenzo non vuole solo ricordare, ma mostrare ciò che vive ancora del suo pensiero e del suo esempio. Allora, che cosa può dirci di questa attualità e attualizzazione dell’eredità di don Milani?

Noi della Fondazione che cosa stiamo facendo per questo centenario? Faremo alcuni convegni per approfondire la sua eredità, uno a Catania sulla dispersione scolastica, uno a Roma sulla scuola, oggi, alla luce del pensiero e dei comportamenti di don Milani. Ne faremo un altro a Firenze per riflettere sulla Chiesa a partire da Esperienze pastorali, poi a Bergamo sul lavoro, insomma faremo delle riflessioni su diversi aspetti. Ma, al di là di noi, in giro si sono scatenate decine, centinaia di iniziative. Noi puntiamo a far riflettere sui valori: come Fondazione don Milani in questi ultimi due anni stiamo facendo un lavoro sugli insegnanti per fare con loro dei progetti pratici, concreti, perché il problema dei giovani di oggi è il vuoto e quindi bisogna riempirlo.

Lei può quindi affermare che l’esperienza di don Lorenzo continua a influire e ad essere sviluppata anche oggi in tante forme diverse?

Io dico di sì. Lo sa quante scuole portano il nome di don Milani in Italia? Sono ben 975. Nel Sulcis, in Sardegna, hanno messo insieme 50 scuole in un’associazione e si rifanno ai valori di don Milani, fanno formazione costante e cercano di portare avanti una scuola diversa. Le faccio un altro esempio: mi tovavo a Firenze all’Università e mi si avvicina una professoressa giapponese, la quale mi racconta che in Giappone don Milani è conosciuto e ora che nel suo Paese stanno riformando la scuola, stanno discutendo su come deve essere la scuola, il pensiero di don Milani è al centro. Quindi, il problema è ora di dare una mano ai giovani, perché questi valori se li facciano anche loro e sappiano spendere la loro vita un po’ diversamente. Di Barbiana in giro a noi ce ne sono tantissime. Di recente sono stato a Novara, in un quartiere c’è una scuola dove l’80 per 100 sono stranieri, stranieri della seconda generazione, e le problematiche che lì dobbiamo affrontare sono altre, non è il problema di insegnare la lingua, ma il problema è quale cultura. Dobbiamo imporre la nostra o dobbiamo mediare per trovare i valori di ogni cultura per farli diventare poi tesoro comune?

Insomma, la vita di don Lorenzo è stata breve ma continua a incidere…

Noi ci sentiamo in dovere di farlo. Lui ci ha dato tanto e nel poco tempo che ci resta da vivere noi cerchiamo di restituirgli con gli interessi quello che lui ci ha dato. La cosa bella che sta avvenendo da  dopo il Covid è che siamo invasi da richieste di famiglie che vogliono portare i loro figli a vedere l’esperienza di Barbiana. Questo ci crea alcuni problemi organizzativi, ovviamente, però ci riempie di gioia perché vuol dire che qualche seme comincia a dar frutto.

 

Adriana Masotti – Città del Vaticano

“Don Lorenzo Milani nella sua esperienza di educatore ripeteva quelle parole bellissime, “I care. Mi interessa, mi sta a cuore…”. Lo scrive Papa Francesco nella prefazione al libro della giornalista portoghese Aura Miguel “Un lungo cammino verso Lisbona”che racconta il cammino delle Giornate mondiali della gioventù. Francesco prosegue parlando della pandemia e della guerra in cui il mondo è velocemente precipitato. Si domanda quindi come tutto ciò interroghi i giovani. La risposta è proprio in quell’avere a cuore ciò che accade intorno con tutte le sue sofferenze. I care è la scritta che don Lorenzo Milani aveva voluto campeggiasse a Barbiana, scritta su una parete della scuola, come insegnamento ai suoi ragazzi in contrapposizione a quel “me ne frego” che era stato il motto del fascismo. 

Essenziale anche oggi l’educazione

Lettera a una professoressa, che descrive l’esperienza della scuola di Barbiana, piccola località non distante da Firenze, è probabilmente l’opera di don Milani più conosciuta. Scritta a più mani insieme ai suoi ragazzi, venne pubblicata nel maggio del 1967, un mese prima della sua morte. Del priore quest’anno ricorre il Centenario della nascita, il 27 maggio 1923 e l’anniversario è una buona occasione per ricordare la figura del sacerdote fiorentino, ma, come desidera chi lo ha conosciuto e amato, soprattutto per conoscere di più e riflettere su quell’esperienza e per trarne indicazioni per come parlare e insegnare ai giovani di oggi. Papa Francesco ha ben presente che “le due grandi sfide del nostro tempo: la sfida della fraternità e la sfida della cura della casa comune”, e conclude che “non possono trovare risposta se non attraverso l’educazione”. Parlando del lavoro educativo, Francesco disse una volta che “è un grande dono prima di tutto per chi lo compie: è un lavoro che chiede molto, ma che dà molto! La relazione costante con gli educatori, con i genitori, e specialmente con i ragazzi e i giovani è una fonte sempre viva di umanità, pur con tutte le fatiche e le problematiche che comporta”.

Il problema della scuola sono i ragazzi che perde

In Lettera a una professoressa, don Lorenzo sottolineava con forza il ruolo fondamentale che l’istruzione ha per la piena umanizzazione e per l’emancipazione dalla povertà e dallo sfruttamento. Precisava sempre: “Il mio classismo è sempre un classismo di cultura. Io chiamo proletari quelli che non hanno istruzione. Faccio soltanto questa questione: di chi non sa usare la parola, non sa intender non sa spiegarsi”. Per lui l’allora scuola dell’obbligo era “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”, o ancora, di fronte ai ragazzi abbandonati dalle istituzioni scolastiche ad un destino di marginalità commentava: “Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo…”. D’altra parte non era affatto permissivo con i suoi ragazzi a cui faceva scuola anche il sabato e la domenica, e ai genitori raccomandava: “Non ne hanno voglia? fateli studiare per forza. (…) C’è dei figlioli carogne che non vogliono mangiare e voi li forzate. Altrettanto fate per lo studio”. 

Seriacopi: base dell’educazione è l’amore non la tecnica

Lauro Seriacopi, da qualche anno in pensione, è stato docente di Filosofia e Storia in un liceo di Firenze, è vice presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani e responsabile del Gruppo scuola della Fondazione. Ricorda di aver letto per la prima volta Lettera a una professoressa nel 1958. Quella lettura è stata una rivelazione in grado di influire sulle sue scelte nella professione e nella vita al cui centro hanno sempre trovato posto i più poveri e gli emarginati. Con lui ripercorriamo alcuni aspetti dell’esperienza di don Milani sacerdote e, in virtù di questo, maestro per 13 anni nel piccolo borgo toscano:

Lauro Seriacopi, quando uscì Lettera a una professoressa fece scalpore: era una denuncia forte del sistema scolastico dell’epoca. La società oggi è cambiata, eppure quel testo è ancora attualissimo. Per don Lorenzo la povertà, quella che lo interessava davvero, era la povertà di cultura. È questa che fa soprattutto la differenza. È così?

Sì, questo resta il punto di riferimento. Don Milani aveva delle certezze, certezze, ovviamente, nella sua fede cristiana interpretata come attenzione e accoglienza degli ultimi. Però, ancor prima di fare un’azione di evangelizzazione, bisognava mettere in condizione i giovani, e le persone in generale, di capire l’annuncio dando loro gli strumenti di comprensione della parola. Ecco perché lo strumento principe che don Milani individuò fu fare scuola, scuola, scuola. E’ straordinario pensare come don Milani abbia scandito il suo tempo nell’esistenza umana prevalentemente con il fare scuola. Ma perché? Perché scuola è acquisizione della cultura, una cultura ampia, luogo dove si impara ad imparare ma si affinano anche tutte quelle capacità e competenze che ci aiutano a lavorare insieme agli altri, a comunicare con gli altri. E quindi la scuola della parola, lui diceva: ogni parola che non conosci è una pedata in più che la società ti darà. Allora, se vuoi essere al pari del padrone, se vuoi interloquire con chi è più importante, più in alto di te, devi possedere questo bagaglio della parola. Ora, questo tema è stravolgente perché, ahimè, di grande attualità. Oggi i nostri ragazzi non hanno le parole e quindi non riescono a cogliere in se stessi quei giacimenti culturali che loro posseggono, perché ogni ragazzo, ogni persona, è una miniera inesplorata, solo che di fatto bisogna tirarla fuori. Ecco, la scuola, quella di Socrate, quella di Milani, la scuola maieutica e generativa. Oggi i ragazzi non riescono più a comunicare, tra di loro c’è un senso di solitudine, di povertà comunicativa. Allora bisogna rilanciare questa idea.

La mancanza di parola la si vede oggi, ad esempio, nel modo di rapportarsi di molti sui social, perché mancanza di parola è anche mancanza di conoscenza degli strumenti, per cui poi viene fuori aggressività, incomprensione di quello che dice l’altro, ostilità…

Certo, don Milani percepisce per primo che la mancanza della parola significa anche la mancanza degli strumenti che servono a trasmettere, a esteriorizzare la parola. Lui utilizzò tutti i mezzi di comunicazione, dal cinema, alla musica, all’arte. Don Lorenzo voleva che i ragazzi si aprissero al mondo.

Li mandava all’estero, voleva che imparassero le lingue. È interessante questo quando oggi si tende, a volte, a contrapporre la propria lingua, la propria cultura alle altre. Come si sarebbe posto don Milani di fronte al fenomeno del multiculturalismo attuale?

Io penso che don Milani non avrebbe stigmatizzato le differenze, le avrebbe riconosciute e avrebbe considerato le differenze come culture altre, ma culture di un mondo che è fatto da tante realtà diverse. L’acquisizione di queste culture, di queste lingue, l’acquisizione delle diverse religioni diventa un patrimonio di arricchimento di tutti. Allora le classi dove oggi abbiamo il 70/80 per 100 di ragazzi che provengono da culture diverse, bisogna considerarle non classi a rischio ma come un enorme potenziale esplosivo, positivamente esplosivo, purché ci sappiamo lavorare.

Un laboratorio d’arte alla scuola di Barbiana (dall’Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

C’è una frase che compare su una parete nella scuola di Barbiana “I care” che è un vero programma di vita e Papa Francesco ne parla spesso: mi riguarda, mi interessa…

Lei tocca un tasto per me molto importante, è uno dei simboli più potenti di Barbiana che io collego con un altro simbolo, un oggetto che c’era in quell’aula: l’astrolabio. Era fatto dai ragazzi, così come tutti i sussidi didattici erano prodotti dalle loro mani – perché si pensa anche con le mani oltre che con la mente -, e c’è scritto “Osservatorio astronomico di Barbiana”, posto all’altitudine X e longitudine X. Pensi i ragazzi che senso di autostima avevano… E poi loro colgono che Barbiana è, all’interno di un cosmo infinito, un puntino piccino, piccino, ma c’è. Ogni volta che lo spiego ai ragazzi che visitano Barbiana dico loro: guardate, a me viene in mente il film di Fellini La strada, quando ad un certo punto, Gelsomina prende dei sassolini, se li fa ballare tra le mani e domanda a che cosa servono. Zampanò risponde: “Non lo so, ma so che esistono e se esistono una funzione devono averla”. Ecco, il percepire che noi esistiamo, esistiamo come io, come tu e come noi nel mondo, in un cosmo infinito, significa percepirci esistenti come anelli di una catena. E se un anello è debole, è debole tutta la catena. Da qui l’etica della responsabilità, l’ I care, mi sta a cuore, mi prendo cura, mi faccio carico, perché il mondo in cui sono io e sono gli altri è lo stesso nostro mondo. Ci si salva tutti o non si salva nessuno. Ecco la grande responsabilità che è la responsabilità politica, e questa si impara attraverso quegli ambienti che, secondo i nostri principi costituzionali, sono finalizzati alla scuola. E se io sono responsabile di fronte ai problemi del mondo, io non mi posso girare dall’altra parte. E a questo ci richiama tutti i giorni Papa Francesco: di fronte alle sofferenze degli ultimi, di tutte le Barbiane del mondo che noi conosciamo, spesso l’atteggiamento è quello di girarsi di lato perché soffriamo troppo, perché non vogliamo concepire che queste sofferenze degli altri sono causa anche del nostro benessere.

Un’immagine della scuola di Barbiana (dall’Archivio della Fondazione don Lorenzo Milani)

Tornando alla scuola, a Barbiana nell’insegnamento si andava al passo dell’ultimo ragazzo, ma questa cosa non è facilmente accettata. Si parla spesso di meritocrazia. Lei che ne pensa? Che ne pensava don Milani della meritocrazia?

Quando è uscita la nuova definizione del Ministero dell’Istruzione, noi abbiamo messo sul nostro sito, una riflessione molto pacata, molto serena. Certo, una scuola deve in qualche modo valorizzare i meritevoli, cioè riconoscere l’ampiezza dei talenti di ciascuno. È compito sicuramente della scuola, ma per far questo c’è un passo prima da compiere, cioè mettere tutti nelle stesse condizioni di poter realizzare appieno i propri talenti. Ripeto, si parte da quel principio per cui i ragazzi non sono sacchi vuoti, ma sono giacimenti di talenti. Cosa faccio io per riconoscerli? Quando a don Lorenzo hanno domandato come faceva a tenere i suoi ragazzi a scuola per 12 ore e per 365 giorni l’anno, lui ha risposto che non bisogna domandarsi quale metodo utilizzava, ma come devono essere gli insegnanti. Il che significa riscoperta della loro funzione, che è una funzione maieutica, generativa, che poi è la funzione dell’amore a cui si richiama tutto. Il Papa lo dice nella Laudato si’, nella Fratelli tutti. La dimensione dell’amore è sempre maieutica. Dante diceva che l’amore muove il sole e le altre stelle, insomma la dimensione dell’amore è fondamentale e non dobbiamo vergognarci o sostituire la dimensione dell’amore con la tecnica. Mai confondere la ricerca degli strumenti con la ricerca del fine: ecco il punto radicale della scuola di don Milani.

Oggi ci sono tante scuole, quasi mille in Italia, intitolate a don Milani e ci sono esperienze che si ispirano a lui. Che cosa può dirci a questo proposito?

Guardi, noi in questi anni – il trend iniziò ancor prima che Papa Francesco con quel momento di grazia che è stata la sua visita a Barbiana, segnasse il punto culminante del riscatto e delle sofferenze di questo prete -, in questi anni, dicevo, le scolaresche vengono numerose a Barbiana. Pensi che in questo mese abbiamo avuto oltre un migliaio di ragazzi, perché c’è un richiamo forte di Barbiana sulle scolaresche, sui giovani e anche sulle associazioni sindacali e politiche. Noi poniamo un solo vincolo molto forte e cioè che chi viene a Barbiana, non viene per fare una scampagnata, ma deve venire per meditare, per riflettere e in un atteggiamento di silenzio per ascoltare ciò che dice don Milani. L’abbiamo detto anche nel Comitato nazionale per il Centenario che vogliamo che quest’anno a parlare sia don Milani. E poi le devo dire che dalla prima volta nel ’68, tutte le volte che rileggo Lettera una professoressa o Esperienze pastorali ecc… non finisco mai di imparare. Più si legge negli anni, più questo sacerdote lascia a chi legge un segno profondo, indelebile, che ci permette di dare tante risposte anche alle nostre sofferenze quotidiane.

Don Lorenzo ha fatto appena in tempo a vedere la pubblicazione di Lettera a una professoressa, ma non ha assistito a tutto ciò che è seguito. E impressionante questa cosa…

Verissimo. E io a volte penso che don Milani le cose che oggi stiamo facendo per ricordarlo, lui non le avrebbe accettate. Tutto quello che don Milani ha fatto a Barbiana, lo ha fatto solo per amore dei ragazzi. Ora stanno trasmettendo in Rai, Barbiana ‘65, rimasto a lungo un film nascosto. Ma lui non lo voleva fare, lo fece solo per dare un ricordo ai ragazzi di che cos’era quella scuola lì. Chi avrebbe accettato ieri quelle famiglie che coi loro ragazzi hanno capito che potevano imparare da don Lorenzo, oggi salverebbe anche tante pratiche educative e accetterebbe sicuramente tutti coloro che hanno il coraggio non solo di ammirare don Milani, ma di sporcarsi le mani per gli ultimi come lui ha sempre fatto.

Quindi il suo è un invito all’impegno più che semplicemente al ricordare?

Ad un impegno fattivo! Don Milani bisogna conoscerlo, approfondirlo, ma soprattutto bisogna imitarlo, per quanto ci è possibile, perché noi siamo nani che siamo portati sulle spalle di giganti come don Milani.

LETTERA A UNA PROFESSORESSA DI DON LORENZO MILANI

Lettera a una professoressa di Don Milani: riassunto dell’opera sui principi educativi su cui si fonda la scuola di Barbiana

Lettera a una professoressa è stato scritto da LORENZO MILANI con i suoi studenti ed è basato su una polemica all’istruzione italiana che, a quel tempo, privilegiava istruire i bambini provenienti dalle classi sociali agiate, i cosiddetti pierini, ossia “i figli del dottore”.

Proprio loro infatti criticavano la scuola tradizionale che, oltre a preferire i ricchi, si rifiutava totalmente di aiutare quelli che avevano maggiori difficoltà economiche.

Lettera a una professoressa è stato scritto da LORENZO MILANI con i suoi studenti ed è basato su una polemica all’istruzione italiana che, a quel tempo, privilegiava istruire i bambini provenienti dalle classi sociali agiate, i cosiddetti pierini, ossia “i figli del dottore”.

Proprio loro infatti criticavano la scuola tradizionale che, oltre a preferire i ricchi, si rifiutava totalmente di aiutare quelli che avevano maggiori difficoltà economiche.

Nel libro si trovano anche le esperienze scolastiche dei ragazzi, oltre ai principi su cui si fondava la scuola di Barbiana: ne è un esempio il motto I care, ossia “io mi prendo cura”  che riassume gli scopi della scuola orientata a formare i “cittadini sovrani”. Si evitano le bocciature, dal momento che un povero, trovandosi in una condizione svantaggiata, se viene bocciato sarà obbligato a frequentare talmente tante ripetizioni che alla fine si arrenderà e ripeterà lo stesso mestiere del padre senza aver avuto l’opportunità di migliorare la sua vita. Così vale anche per i voti e le promozioni.

Un altro principio che emerge nel testo è relativo al momento di fare scuola: dopo il lavoro nei campi, tutto il giorno, sette giorni su sette.

LA SCUOLA DI BARBIANA

La sua è una scuola aperta, impegnativa, seria ma anche punitiva: Don Milani non ha mai negato l’utilizzo delle punizioni corporali.

Si utilizza il metodo della scrittura collettiva e si condivide il programma con gli studenti. Vengono insegnate poi ben quattro lingue, ossia quelle che verranno utili a coloro che andranno a compiere un lavoro all’estero, insieme alla matematica, alla grammatica, ma anche allo sport: si nuota, si scia e si legge e commenta insieme il giornale quotidiano.

La materia che però Don Milani predilige è la lingua italiana, il mezzo principale per inserirsi all’interno della società: aiuta ad essere capiti ed allo stesso tempo a capire e soprattutto ti pone alla pari del linguaggio elaborato degli studenti ricchi provenienti da scuole privilegiate.

Chi, a quel tempo, se non don Milani che si trovava in perenne contatto con studenti, si è reso conto del bisogno di creare una scuola diversa? Molti sostengono che la scuola serva solo per formare l’individuo al lavoro, ma la scuola di Don Milani non serve solamente a questo. Quella scuola serve per aiutare i ragazzi che si trovano in difficoltà soltanto perché non possono frequentare la stessa scuola che frequentano i “pierini”, serve per far valere il loro diritto allo studio e strapparli da un destino segnato.

Con questo libro Don Milani non dice che la scuola deve essere facile e che l’istruzione sia uguale al diploma, ma che tutti, a prescindere dalle opportunità e dalle capacità, devono provare a migliorare la loro condizione, considerando la scuola come una missione.

Matteo Maria Zuppi Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
CARD. MATTEO MARIA  ZUPPI (CEI): “SUA LEZIONE PER CREDENTI E NON CREDENTI”
SERGIO MATTARELLA RICORDA DON LORENZO MILANI A BARBIANA NEL CENTENARIO DELLA NASCITA

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto alla cerimonia in occasione del centenario della nascita di don Lorenzo Milani che si è svolta a Barbiana.

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA SERGIO MATTARELLA:

“UN MAESTRO, TESTIMONE COERENTE E SCOMODO”
“COMBATTÉ IL PRIVILEGIO E L’EMARGINAZIONE”
“LA SUA ERA LA PEDAGOGIA DELLA LIBERTÀ”

IL DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA 

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SERGIO MATTARELLA IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA PER IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI DON LORENZO MILANI

Barbiana, 27/05/2023 (II mandato)

Rivolgo un saluto a tutti i presenti, che vorrei poter salutare singolarmente, come posso fare con il Presidente della Conferenza Episcopale, Cardinale Zuppi, con il Cardinal Betori, con il Presidente della Regione, con il Sindaco, ringraziandolo per le parole iniziali di ricordo di quanto avvenuto in Romagna nei giorni scorsi, e per il ricordo del regalo che quei territori hanno fatto alla cultura e all’arte con Giotto e il Beato Angelico.

Poc’anzi, vedendo la piccola chiesa qui accanto, vedendo le vetrate realizzate dei ragazzi di don Milani a suo tempo, ho visto che quella creatività artistica non si è esaurita.

Vorrei salutare e ringraziare la Presidente della Corte di Cassazione e il Sindaco di Firenze; ringraziare molto per l’invito la Presidente Bindi e il Presidente Burberi. Grazie per questo invito ad essere qui.

E vorrei ringraziare anche Yasmine per quanto ha detto sull’esperienza che sta continuando a svolgere.

È stato un bel modo, così, di ricordare oggi, nel centenario della nascita, don Lorenzo Milani.

Ricordiamo oggi, nel centenario della nascita, don Lorenzo Milani.

È stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi.

Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana.

Essere stato un segno di contraddizione, anche urticante, significa che non è passato invano tra di noi ma che, al contrario, ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: far crescere le persone, far crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia.

Don Lorenzo avrebbe sorriso di fronte a una rappresentazione come antimoderno, se non medievale, della sua attività. O, all’opposto, di una sua raffigurazione come antesignano di successive contestazioni dirette allo smantellamento di un modello scolastico ritenuto autoritario.

Nella sua inimitabile azione di educatore – e lo possono testimoniare i suoi “ragazzi” – pensava, piuttosto, alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale.

Una concezione piena di modernità, di gran lunga più avanti di quanti si attardavano in modelli difformi dal dettato costituzionale.

Era stato mandato qui a Barbiana, come sappiamo, in questo borgo tra i boschi del Mugello – con la chiesa, la canonica e poche case intorno – perché i suoi canoni, nella loro radicalità, spiazzavano l’inerzia.

La sua fede esigente e rocciosa, il suo parlare poco curiale, i suoi modi, a volte impetuosi, lontani da quelli consueti, destavano apprensione in qualche autorità ecclesiastica.

In tempi lontani dalla globalizzazione e da internet, da qui, da Barbiana – allora senza luce elettrica e senza strade asfaltate – il messaggio di don Milani si è propagato con forza fino a raggiungere ogni angolo d’Italia; e non soltanto dell’Italia.

Don Milani aveva una acuta sensibilità circa il rapporto – che si pretendeva gerarchico – tra centri e periferie.

Come uscire da una condizione di emarginazione? Come sollecitare la curiosità, propulsore di maturità? Come contribuire, da cittadini, al progresso della Repubblica?

Il motore primo delle sue idee di giustizia e di uguaglianza era appunto la scuola. La scuola come leva per contrastare le povertà. Anzi, le povertà.

Non a caso oggi si usa l’espressione “povertà educativa” per affermare i rischi derivanti da una scuola che non riuscisse a essere veicolo di formazione del cittadino.

La scuola per conoscere.

Per imparare, anzitutto, la lingua, per poter usare la parola.

“Il mondo – diceva don Milani – si divide in due categorie: non è che uno sia più intelligente e l’altro meno intelligente, uno ricco e l’altro meno ricco. Un uomo ha mille parole e un uomo ha cento parole”.

Si parte con patrimoni diversi. Da questa ansia si coglie il suo grande rispetto per la cultura.

La povertà nel linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni.

La scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine.

“Lettera a una professoressa”, scritta con i suoi ragazzi mentre avanzava la malattia – che lo avrebbe portato via a soli 44 anni – è un atto d’accusa, impietoso, di tutto questo.

“Lettera a una professoressa” ha rappresentato una lezione impartita a fronte delle pigrizie del sistema educativo e ha spinto a cambiare, ha contribuito a migliorare la scuola nel mezzo di una profonda trasformazione sociale del Paese.

Ha aiutato a comprendere meglio i doveri delle istituzioni e ha sollecitato a considerare i doveri verso la comunità.

Sempre più gli insegnanti hanno lavorato con passione per attuare i nuovi principi costituzionali. Perché a questo occorre guardare.

La scuola è di tutti. La scuola deve essere per tutti.

Spiegava don Milani, avendo davanti a sé figli di contadini che sembravano inesorabilmente destinati a essere estranei alla vita scolastica: “Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”.

Impossibile non cogliere la saggezza di questi pensieri. Era la sua pedagogia della libertà.

Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito.

Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito.

I suoi ragazzi non possedevano le parole. Per questo venivano esclusi. E se non le avessero conquistate, sarebbero rimasti esclusi per sempre.

Guadagnare le parole voleva dire incamminarsi su una strada di liberazione. Ma chiamava anche a far crescere la propria coscienza di cittadino; a sentirsi, allo stesso tempo, titolare di diritti e responsabile della comunità in cui si vive.

Aveva – come si vede – un senso fortissimo della politica don Lorenzo Milani. 

Se il Vangelo era il fuoco che lo spingeva ad amare, la Costituzione era – mi permettano i Cardinali presenti – il suo vangelo laico. “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.

Difficile trovare parole più efficaci.

Difficile non riscontrare lo stretto legame del suo insegnamento con la fede che professava: prima di ogni altra cosa, il rispetto e la dignità di ogni persona. Qui si intrecciano il don Milani prete, l’educatore, l’esortatore all’impegno.

L’impegno – educativo, e di crescita – richiede sempre, per essere autentico, coerenza. Spesso sacrificio. Al pari di tanti curati di montagna che hanno badato alle comunità loro affidate, Don Milani non si è sottratto. Era giovane. Chiedeva ai suoi ragazzi di non farsi vincere dalla tentazione della rinuncia, dell’indifferenza.

La scuola di Barbiana durava tutto il giorno.

Cercava di infondere la voglia di imparare, la disponibilità a lavorare insieme agli altri. Cercava di instaurare l’abitudine a osservare le cose del mondo con spirito critico.

Senza sottrarsi mai al confronto, senza pretendere di mettere qualcuno a tacere, tanto meno – vorrei aggiungere -un libro o la sua presentazione.

Insomma, invitava a saper discernere.

Quel primato della coscienza responsabile, che spinse don Milani a rivolgere una lettera ai cappellani militari, alla quale venne dato il titolo “l’obbedienza non è più una virtù” e che contribuì ad aprire la strada a una lettura del testo costituzionale in materia di difesa della Patria per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza.

Padre David Maria Turoldo, amico di don Milani, disse di lui che “diventando disobbediente” (in realtà non lo è mai stato) in realtà obbediva a principi e regole ancora più profonde e vincolanti. Non certo a un capriccio o a una convenienza.

Non c’era integralismo nelle sue parole, piuttosto radicalità evangelica. Ma, come poc’anzi ricordava il Cardinale Zuppi, andrebbe detto autenticità evangelica.

Sapeva di avere in mano un testimone. Un testimone che doveva passare di mano, a cui poi i suoi ragazzi “aggiungessero” qualcosa.

Un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva.

Il suo “I care” è divenuto un motto universale

Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza.

A quella espressione se ne aggiungeva un’altra, meno conosciuta.

Diceva: “Finché c’è fatica, c’è speranza”

La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora.
Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire.

E don Lorenzo ha percorso un vero cammino di costruzione. E gli siamo riconoscenti.

 

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