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AOR SAN CARLO, PRESENTE E FUTURO

L’intervista il direttore generale: «la scommessa dei prossimi anni è una scommessa vincente». Spera sulle attività ‘21-’22 e sugli investimenti tecnologici e umani

Per la rubrica “Cronache Da – Speciale Sanità” abbiamo incontrato il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza per fare il punto del “Rapporto sull’attività ospedaliera nel biennio 2021-2022” e del difficilissimo periodo pandemico che ha visto uno stravolgimento della “normale” organizzazione e del lavoro di tutti gli operatori sanitari, che impegnati nella sfida col Covid, hanno comunque garantito le prestazioni e le cure di tutte le altre patologie

È stato presentato a tutto il personale dell’Azienda, alla presenza del Presidente Bardi e dell’Assessore Fanelli, il Rapporto sull’attività dell’Aor nel biennio 2021- 2022. Come mai ha sentito la necessità di questa iniziativa?

«L’iniziativa nasce da una considerazione: questa è un’Azienda molto grande fatta di quasi 3000 lavoratori che vengono fuori da 2 anni difficilissimi, eppure in questi 2 anni hanno saputo rialzarsi e reagire, continuare a svolgere l’attività ordinaria accanto all’attività eccezionale rappresentata dal Covid. Mi è sembrato giusto dare a tutti uno strumento, a loro in primis ma anche alla collettività, che sottolineasse questa forza e capacità che hanno dimostrato quotidianamente. Era più un dover dar merito a loro che dover dar merito a questa Direzione»

L’incipit del rapporto è una nota frase del filosofo Laozi. Cosa rappresenta “l’albero che cade e la foresta che cresce”?

«È una frase molto abusata ma molto vera: ci rendiamo conto che noi mettiamo in campo tante attività, in questo periodo ne abbiamo implementate molte, una per esempio è l’attivazione dei DH oncologici ematologici su un presidio di Villa D’Agri, sul presidio di Lagonegro. L’abbiamo fatto per evitare ai pazienti con una terapia così pesante e con una patologia così dura, di doversi anche spostare, viaggiare, di arrivare al San Carlo o al Crob, per fare una terapia che in poco tempo potrebbero fare a casa senza sopportare anche un viaggio lungo. Ebbene questa cosa purtroppo non ha avuto assolutamente risalto: abbiamo il riconoscimento da parte dei cittadini ma certamente non nell’opinione. Ritengo che ciò sia “la foresta che sta crescendo”. Assieme a questa attività ne abbiamo implementate tante altre, ma ciò che “fa rumore” è invece la sedia rotta che viene fotografata da qualche parte e messa sui social o fatta circolare sulla stampa. Lascia un po’ di amarezza questa cosa, però io sono più contento di riuscire a far crescere una foresta insieme a tutti i lavoratori di questa Azienda, che ad evitare che cada un albero»

La pandemia da SARS-CoV-2 sembra finalmente alle spalle. Cosa ha significato per l’Aor e per il Servizio Sanitario Nazionale e cosa rimane di questo evento?

«Per il Servizio Sanitario Nazionale e mondiale ha rappresentato un evento incredibile, un evento che mai aveva dovuto sopportare sin dalla sua nascita. Un terremoto che ha messo a dura prova il nostro servizio sanitario mondiale, nazionale e anche regionale e ogni singola azienda. In questi due anni, e approfitto del rapporto per avere numeri certi, abbiamo avuto nel 2021- 2022 circa 50.000 giornate di ricovero per pazienti Covid e questi ricoveri si conciliavano con le altre patologie, che non sono miracolosamente scomparse, ma hanno continuato a essere presenti e quindi abbiamo dovuto creare un ospedale nell’ospedale: creare percorsi separati, creare anche in una notte un reparto intero che fosse con tutta la dignità che è dovuta ai pazienti e che fosse altrettanto sicuro. Non abbiamo visto ricoverati nei corridoi, oppure nelle cappelle come pure purtroppo è stato segnalato in più parti d’Italia, siamo riusciti a gestire questa pandemia accanto a tutte le altre patologie che giungevano al San Carlo richiedendo una risposta. Questa è stata una prova importante, molto stancante, defaticante per i nostri lavoratori, ma anche una prova che in tanti casi ha fatto fare squadra, ha fatto capire che le professionalità le abbiamo e le possiamo mettere a disposizione dei bisogni del cittadino. Ha velocizzato anche una serie di strumenti che magari fino a quel momento non erano adeguatamente impiegati, pensiamo per esempio alla telemedicina: abbiamo implementato delle agende di telemedicina che stanno diventando sempre più numerose, e dovranno diventare sempre più numerose, ed è uno strumento sicuramente validissimo di fronte a una pandemia, ma altrettanto e anche più valido, quanto la pandemia non c’è, per evitare disagio ai cittadini. Questo ci farà pensare anche agli ospedali in un’ottica un po’ più flessibile, capace di adattarsi strutturalmente, come tecnologie ma anche come spazi, alle esigenze più diverse come quelle di una Pandemia».

Abbiamo letto il rapporto. Ci spiega come il San Carlo ha saputo rialzarsi, come dice lei «meglio di molte analoghe realtà» del panorama sanitario?

«Come dicevo prima ha saputo rialzarsi perché non ha pensato soltanto alla Pandemia: in tante realtà italiane alcune attività sanitarie ospedaliere sono state demandate al privato e le strutture pubbliche si sono concentrate e ripiegate sul Covid. Noi questo non l’abbiamo fatto e non l’abbiamo potuto fare perché non c’erano altre realtà ospedaliere che potessero, per esempio, ospitare la Neurochirurgia o la Cardiochirurgia. Abbiamo detto “questo è il momento nel quale dobbiamo fare quadrato e dobbiamo portare avanti le cose” e questo si è visto. Si è visto nei dati, e potrei citare le varie fonti, ma per esempio il Piano Nazionale Esiti ha dimostrato che i ricoveri programmati che noi abbiamo fatto nel 2021 sono stati superiori alla media nazionale, ma anche in termini di attività ambulatoriale la ripresa è stata numericamente maggiore rispetto alla media nazionale. In questo senso ha saputo rialzarsi, non leccarsi soltanto le ferite, che pure ci sono state, ma pensare al futuro e al ruolo svolto all’interno del nostro Servizio Sanitario e rimanere fedeli a quel ruolo. Ci sono tanti indicatori del rap- porto, sono dati e sono numeri in- confutabili, si possono mettere più o meno in ridicolo, ma sono numeri e sui numeri non si può discutere»

Viene anche illustrato un programma importante di investimento sulle risorse strutturali, tecnologiche ed umane. Può sintetizzarci i principali elementi?

«Abbiamo avviato e stiamo portando avanti un forte piano di rinnovamento. Qui fuori c’è un cantiere, anche questo ridicolizzato, come se la risposta al cittadino non fosse resa possibile da strutture nuove, a livello degli standard che sono sempre più sofisticati e pretenziosi, quindi una grande campagna di ristrutturazione o di nuove costruzioni in termini spazi. Una grande campagna di rinnovamento anche tecnologico: abbiamo rinnovato tutte le diagnostiche che abbiamo nei 5 ospedali, non solo al San Carlo, ne stiamo acquistando delle altre; Stiamo riacquistando attrezzature che ormai erano fatiscenti, e penso al Robot da Vinci, penso anche agli angiografi per la Neuroradiologia interventistica, per la Cardiologia interventistica, tutte le TAC, le risonanze magnetiche, i telecomandati dei pronto soccorso, gli ecografi, tutte le tecnologie che sono elemento essenziale ormai per dare una sanità di qualità e anche tecnologie che non erano mai state presenti, come per esempio la “Sala ibrida” che abbiamo acquisito e stiamo per realizzare per la Cardiochirurgia che è una delle poche presenti nel Sud Italia e potrà dare risposte ancora più veloci e precise all’utenza».

Le iniziative sono quindi sui vari Presidi dell’Azienda. Cosa rappresentano per il Servizio nazionale lucano?

«I Presidi sono stati trasferiti all’azienda con una legge nel 2017 e hanno subito negli anni un discorso di aggregazione, di fusione con quello che era l’ospedale San Carlo che noi abbiamo cercato di portare avanti e di rendere sempre più forte. Dico sempre che i nostri 5 Presidi sono come le dita di una mano: se noi avessimo un dito in meno sicuramente la presa non sarebbe così forte, quindi contano tutti, quelli più grandi e quelli più piccoli e ognuno di essi ha un ruolo. Ci sono ospedali che rappresentano porte per il servizio sanitario regionale verso le altre regioni, ci sono ospedali che sono fortemente caratterizzati per alcune particolarità, pensiamo alla Riabilitazione di Pescopagano o l’Ortopedia di Melfi, pensiamo al ruolo nella Val D’Agri che è una zona con un tasso anche giovanile maggiore rispetto a quella delle altre zone, ha poi il petrolio, quindi che cosa rappresenta per l’emergenza, pensiamo all’ospedale di Lagonegro che si trova a cavallo di due regioni, la Campania e la Calabria, che storicamente hanno rappresentato delle criticità in materia sanitaria. Sono quindi ospedali essenziali e devo dire che in questo momento è sempre più condiviso questo concetto dai nostri medici e dal nostro personale, che sempre più spesso si scambia informazioni, procedure e anche collaborazione nell’ottica della migliore risposta al paziente»

Come spiega dunque la migrazione sanitaria che sembra essere aumentata?

«Ma anche questa è l’occasione per chiarire sulla base di dati certi, diciamo subito che il dato della migrazione che è stato addebitato è relativo alle annualità 2020/21, non le annualità appena trascorse. Vado a chiarire: quella che è aumentata è la differenza tra la mobilità passiva, cioè i nostri cittadini che vanno verso l’esterno, e la mobilità attiva che è quella di chi viene, ma questo aumento è legato soprattutto a un elemento, cioè al fatto che in questi anni la migrazione passiva della Calabria, quindi il debito della Calabria che è in piano di rientro verso le altre regioni è stato congelato ed è stato rinviato come pagamento agli anni dal 2026 a seguire. Quindi la regione Basilicata che ha una migrazione attiva importante da questa regione, perché la nostra migrazione sostanzialmente è legata alle regioni limitrofe, Campania, Calabria e Puglia, chiaramente è venuta a mancare un pezzo di migrazione attiva che ha, per una regione piccola come la Basilicata, ha fatto squilibrare il rapporto tra migrazione attiva e migrazione passiva. Noi oggi abbiamo una migrazione attiva, quindi una capacità attrattiva che è esattamente sovrapponibile a quella che era nel pre-Covid e intendo ovviamente con tutte le iniziative che si stanno ponendo in campo, ritengo che nel futuro potrà essere aumentata anche di più»

Questi anni sono stati caratterizzati da riconoscimenti diretti ed indiretti al lavoro fatto dal San Carlo e dalla sanità lucana. Sono medaglie che contano?

«Secondo alcuni sono medaglie di cartone, ma per me contano moltissimo perché sono il simbolo di quell’attività che raccontavo prima. Quando per la prima volta si entra nella graduatoria dei migliori ospedali del mondo, e non ci si era mai stati, per me è un elemento importante. Quando la quando si la AGENAS ci mette in graduatoria assieme ad ospedali blasonati italiani, e invece nelle fasce inferiori ci sono anche aziende universitarie rinomate, beh questa è una cosa di cui vado fiero. Quando chiamano per dare un premio in Economia Sanitaria per l’Innovazione all’Azienda Ospedaliera San Carlo, è una cosa che fa davvero felice ma non perché io ritiro quel premio, ma perché quel premio che si ritira, quel riconoscimento è il simbolo di tanto lavoro compiuto dalla mattina alla sera, ogni giorno per questa azienda e per i cittadini. Un plauso va a tutti coloro che si sono impegnati quotidianamente»

Quali sono le prospettive dei prossimi anni, come vede il futuro dell’Azienda?

«A mio parere è un futuro roseo: ci sono tantissime cose che si possono portare avanti, prima di tutto il percorso con l’Università della Basilicata. Non abbiamo mai avuto un Corso di laurea in Medicina e per me questo è stato un elemento critico per la nostra regione, perché ha privato i nostri ragazzi di una struttura nella quale realizzare il loro sogno di diventare medici e quando si va fuori per laurearsi e specializzarsi, si va via da ragazzi e si diventa uomini. Allora diventa difficile rientrare nella propria regione, perché si sono messe radici, si sono creati una cerchia di colleghi, di amici, magari si è creata una famiglia, ed è difficile tornare. Il Corso di Laurea in Medicina però lo eviterà, renderà da un lato possibile realizzare il proprio sogno in regione, dall’altro lato permetterà anche di sviluppare ulteriormente quella ricerca che l’Azienda porta avanti da tempo, renderà possibile anche avere un respiro nella ricerca scientifica e nell’applicazione di metodologie nuove, di applicazioni di cura nuove, che credo questa Azienda meriti. Quindi per me la scommessa dei prossimi anni è una scommessa vincente: se noi sapremo utilizzare le risorse di questo Ospedale, che possono dare tanto al Corso di Laurea in Medicina, e il Corso di Laurea in Medicina che può dare tanto a questa Azienda ospedaliera».

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