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GIUSTINO FORTUNATO, A 91 ANNI DALLA MORTE LA BASILICATA NON LO RICORDA COME DOVREBBE

Per Montanelli è stato «il più grande e illuminato studioso del Meridione», ma è poco letto e conosciuto

Il 23 Luglio del 1932 moriva Giustino Fortunato. Ieri, domenica 23 Luglio 2023, e cioè dopo 91 anni dalla sua di- partita avremmo dovuto commemoralo come “Nume tutelare della Basilicata” per tutti gli scritti che ci ha lasciato su questa regione sempre più disabitata e per il suo lavoro certosino e importante presso la Camera e il Senato del Regno d’Italia. Si occupò di Mezzogiorno come nessun altro ha fatto e Montanelli lo definì “il più grande e illuminato studioso del Meridione”. Mio nonno lo conobbe a Napoli quando era iscritto all’Accademia delle Belle Arti e, ogni tanto, parlava orgoglioso di questa sua amicizia antifascista aggiungendo che, anche se aveva problemi alla vista, don Giustino comprendeva prima e meglio degli altri l’animo umano e i fatti della vita. La modernità e l’attualità dei suoi scritti mi porta a sperare che i suoi libri siano letti e studiati in tutte le scuole lucane per comprendere meglio chi siamo: invece è poco letto e conosciuto anche fra gli insegnanti. Per ricordarlo ritengo sia molto qualificante questa sua riflessione sulla politica che sembra rivolta ai politici attuali ma anche a tutti coloro che fuggono dalla politica e non votano più. Provate a riflettere con don Giustino: “Ma chi ha della vita pubblica un concetto altissimo come io ho, un senso di doveroso rispetto, quasi un culto, crede che essa non possa vivere se non per virtù di consentimenti né prosperare se non per efficacia di lotte d’idee, quegli ora più che mai, non può non essere, come io sono, profondamente addolorato di tanta fretta, di tanta impreparazione e, specialmente quaggiù tra noi, di tanta indifferenza. Indifferenti alla politica! E non è forse la politica l’affare di tutti noi, di tutti i nostri giorni, dell’oggi e del domani? Non è essa dentro di noi, ovunque siamo, in casa od in piazza, da soli o nella folla, all’inizio di ogni nostra opera, o nel mezzo, o nel suo compimento?”.

Di Antonella Pellettieri

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