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PROPAGANDA, GRASSO IN SVENDITA

Regionali e politica lucana, sui temi chiave oggi come ieri revisionismi e slogan dimenticando i fatti

“Fischia il vento, infuria la bufera, penne grasse eppur si deve andare, a conquistare la rossa primavera, dove sorge il sole del passato”. Ogni contrada della Basilicata, è scossa del vento della restaurazione, al meno così sembra a leggere alcune penne che ritornano dall’archivio della memoria e che esercitano la nobile arte della nostalgia. Sia chiaro, la nostalgia è una cosa bella. Viene da nostos, che in Greco classico significa ritorno e che ha dato il nome a tutto un genere letterario che racconta degli eroi che tornano dalla guerra di Itaca, più famoso fu quello di Odisseo dal multiforme ingegno, più drammatico quello di Agamennone ucciso dalla sposa per gelosia e rabbia. La nostalgia, però, è un sentimento che offusca la ragione, fa cancellare la logica, elimina la lucidità. Non si è mai veramente nostalgici di un tempo come valore assoluto ma del tempo in cui si era giovane. Si ricordano meno caldi le estati semplicemente perché si amava di più il sole.

UN TEMPO LA BASILICATA ERA IL CUORE DELL’INDUSTRIA MONDIALE

A leggere le grasse penne del vento andato sembrerebbe che la Basilicata prima di Bardi fosse il cuore dell’industria mondiale. Una sorte di Silicon Valley ante litteram, quando c’erano loro le industrie aprivano in orario e si potevano lasciare le fabbriche aperte. Erano gli anni del boom economico. L’unica cosa globale che esisteva e interessava gli italiani era il mondiale e ogni tanto le olimpiadi. E anche il mondiale di calcio era un gioco per due continenti, anzi per quattro nazioni: Italia, Germania, Brasile e Argentina con una sola capatina dell’Inghilterra. Era il tempo in cui l’Italia era la 4 o 5 potenza industriale. In quel tempo la Fiat era italiana. Anzi, come ebbe modo di dire il Presidente Cossiga, era degli italiani. Vigeva il tacito accordo tra la politica e la famiglia agnelli grazie al quale la prima avrebbe realizzato ogni desiderata della Fiat e i secondi avrebbero risposto al bisogno occupazione che la politica gli avrebbe segnalato. In quel tempo si riuscì ad aprire uno stabilimento Fiat a Melfi. Questo è tutto. Era semplice da fare, l’impresa ubbidiva alla politica, ci dialogava, si sentiva legata da un comune destino di difesa dell’occupazione e dell’economia. In quel tempo era la cosa più semplice da fare. Nello stesso tempo, dall’altra parte d’Italia esisteva il Veneto. Se prendeste un manuale di geografia degli anni ’60 scoprireste che due regioni erano le più povere d’Italia: la Basilicata e il Veneto. Se non volete credere ai manuali di geografia, vi basti leggere “Canale Mussolini” per scoprire che le famose bonifiche che tanto piacciono ai nostalgici di quell’altro bel tempo andato, furono fatte per dare un pezzo di terra ai poveri veneti. Latina, quando si chiamava ancora Littoria, scelse come suo patrono proprio San Marco Evangelista perché i suoi abitanti erano veneti emigrati verso Sud. Negli anni in cui c’era il boom economico, la politica governava l’economia il Veneto sfruttava la contingenza per diventare la potenza economica che conosciamo, la nostra classe politica del bel tempo andato, si limitava ad aprire lo stabilimento Fiat. Certo, oggi la Fiat si chiama Stellantis, è una multinazionale straniera, ha già fatto capire alla politica che non si interessa delle sue mediazioni e che pensa solo al business. Sicuramente le condizioni in cui ha operato l’assessore Galella non sono le stesse in cui operarono quelli che aprirono qui lo stabilimento come mancetta elettorale negli anni in cui il resto d’Italia diventava ricco con imprese proprie.

QUANDO LA DIGA E L’ACQUA ERA TUTTA DEI LUCANI

“Quando c’erano loro l’acqua era tutta dei lucani”. Una bugia ripetuta diventa verità. È una vecchia tattica staliniana che, però, con noi non attacca. “Acque del Sud SpA” farà esattamente le stesse cose che faceva l’Eipli, non una in più non una in meno. L’Eipli era dello Stato e controllata dal Governo, esattamente come lo sarà “Acque del Sud SpA”. Non eravamo prima proprietari degli invasi, non lo siamo adesso. Sulla scrivania conserviamo un grande articolo del “Roma” scritto da quel grande cronista che fu Saro Zappacosta che descrive un dibattito sulla costruzione della Diga di Senise. Prima di celebrare il passato converrebbe conoscerlo anche per ricordare favorevoli e contrari di quella stagione dei grandi invasi.

LA SANITÀ DISTRUTTA DALLA DESTRA AL GOVERNO

Certo quando c’erano loro l’emigrazione sanitaria non c’era. Quando c’erano loro arrivavano in orario i malati da ogni regione per curarsi in Basilicata. Ad onor del vero è anche successo. È successo per cardiochirurgia nella mirabile stagione di Tesler. È stato un decennio, non di più. Non serve scomodare le statistiche ma basta cerca- re nelle nostre famiglie almeno un caso di qualcuno che è andato a curarsi fuori. Eppure erano gli anni d’oro della spesa pubblica, era il tempo in cui non si badava a spese che noi abbiamo sprecato per aprire ospedali in ogni paesino, per assicurare la clientela del singolo politicante e non per creare dei punti di eccellenza reali. I problemi della sanità esistono. Il centrodestra non ha saputo affrontarli con il piglio necessario. Non abbiamo fatto sconti e non ne faremo. Non raccontateci, però, che prima la sanità lucana era il fiore all’occhiello della Nazione. Non è vero. La menzogna anche ripetuta resta una menzogna. Diciamo che la sanità lucana è rimasta esattamente quella che era prima. Il centrodestra ha lasciato tutto immutato. Questa è una sua colpa che non giustifica, però, una narrazione che esageri nella lode del passato.

LA NUOVA CLASSE DIRIGENTE E I VECCHI SOLONI

I nostalgici del vento che fu, però, sottovalutano che è nata una nuova classe dirigente che non è soltanto politicamente ma anche antropologicamente diversa da loro. Una classe dirigente che dei loro moralistici insegnamenti non sa che farne. Una classe dirigente figlia del tempo in cui frequentare una curva è più importante che mummificarsi in un salotto per bene. Una classe dirigente in cui le parole ovattate non trovano più spazio perché non ci sono più luoghi dove pietrificarsi nel parlarsi addosso tra amici e consorterie varie. Una classe dirigente che, per citare le parole di Alessandro Galella, non ha alcuna nostalgia del tempo in cui si scriveva “a seconda dell’interesse dei signorotto di turno di cui tutelare l’interesse” perché è arrivato il tempo in cui “la maggior parte dei lucani non ha più l’anello al naso come allora” quando qualcuno navigava nell’oro e “chi non si allineava al sistema veniva perseguitato per intimorire tutti”. Una classe dirigente che è al passo con i tempi del reale e non con quelli del- la nostalgia. “Fischia il vento, infuria la bufera, vecchie penne grasse eppur si deve andare, a conquistare la rossa primavera, dove sorge il sole del passato”.

Di Massimo Dellapenna

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