10 ANNI DOPO IL GOVERNO DISERTA LA COMMEMORAZIONE DELLA STRAGE DEI MIGRANTI IN LAMPEDUSA
Essere dove bisogna stare : 10 anni dopo la Strage di Lampedusa
#ègiustoinformare
🔹MEDITERRANEO CIMITERO PIÙ GRANDE D’EUROPA
Migranti, 10 anni fa il naufragio a Lampedusa in cui morirono 368 persone
Lampedusa 10 anni dopo: il governo diserta la commemorazione della strage dei migranti
10 ANNI DOPO IL GOVERNO DISERTA LA COMMEMORAZIONE DELLA STRAGE DEI MIGRANTI IN LAMPEDUSA
L’unica rappresentante istituzionale annunciata è la vicepresidente 5S del Senato Castellone. Nessun nome del centrodestra. L’ex sindaca Nicolini: “Disumanizzano il fenomeno”. E il Miur non rinnova il progetto con le scuole italiane ed europee
Dieci anni fa il naufragio di Lampedusa con le sue 368 vittime, Msf: “Governi immobili, vergogna”
Il 3 ottobre 2013 un peschereccio con a bordo oltre 500 migranti andò in avaria a mezzo miglio da Lampedusa, vicino all’isola dei Conigli. Eppure dopo quella tragedia “è iniziata una conta sempre più numerosa di morti in mare”
LAMPEDUSA – Ci sono duecento studenti arrivati da tutta Europa, i sopravvissuti ad una delle notti più buie che il Mediterraneo ricordi, il mondo delle ong e del soccorso in mare, alti funzionari delle Nazioni Unite. E c’è l’isola di Lampedusa che a dieci anni di distanza ancora piange quei 368 morti davanti alle sue coste. Il governo invece Meloni no. Anzi, a meno di ventiquattro ore dalla strage la premier ribadisce: “Il Governo italiano lavora ogni giorno per fronteggiare questa situazione”
🔺Migranti. Lampedusa, perché in 10 anni nulla è cambiato❓
Erano le 3.15 di notte, il 3 ottobre di dieci anni fa, quando a poche miglia dalla costa dell’Isola dei Conigli un’imbarcazione con 500 persone a bordo prese fuoco e si capovolse, inabissandosi con bambini, donne, uomini, mettendo la parola fine alla traversata nel Mediterraneo e alla loro speranza di una vita migliore. La tragedia più grave della storia del nostro mare contò alla fine 368 vittime. In seguito al naufragio di Lampedusa, il governo italiano, guidato dall’allora presidente del consiglio Enrico Letta, decise di rafforzare il pattugliamento del Canale di Sicilia autorizzando l’Operazione Mare nostrum, una missione militare ed umanitaria la cui finalità è di prestare soccorso alle persone prima che possano ripetersi altri tragici eventi nel Mediterraneo.
L’operazione Mare Nostrum dura però solo un anno. L’allora ex ministro degli Interni, Angelino Alfano, incassa quello che è a suo dire un successo: l’operazione Mare Nostrum cessa di vivere, per lasciare posto a un’operazione europea, Frontex plus a partire da Novembre 2014. Col passare degli anni, però e il cambio al vertice dei governi che affacciano sul Mediterraneo, l’attività di ricerca e soccorso si traduce principalmente in controllo delle frontiere esterne. Non esiste cioè un sistema (alla pari delle navi Ong che operano nel Mediterraneo) uno strumento comune per salvare vite umane. Spetta alla buona volontà della Guardia costiera di turno. E intanto le attività delle navi in capo alle organizzazioni non governative vengono criminalizzate e di volta in volta stoppate. L’Italia e l’Europa tornano a costruire “il grande muro” nel Mediterraneo per respingere i migranti, fino al naufragio di Steccato di Cutro. Dopo dieci anni, il 15 aprile 2023, la seconda altra grande tragedia di Cutro con quasi 100 persone morte.
Le iniziative di commemorazione. Il Centro Astalli: «Le politiche vanno in direzione preoccupante»
«A 10 anni dal tragico naufragio di Lampedusa in cui persero la vita 368 persone, il Centro Astalli in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione si ritrova nel “Giardino della Memoria e dell’Accoglienza”, istituito nel 2018 a Piazza Gian Lorenzo Bernini, nel Rione San Saba, a Roma, per continuare a fare memoria» si legge in una nota dell’associazione. «La giornata del 3 ottobre, istituita dalla legge 45/2016, ha lo scopo di ricordare e commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà». A Roma l’appuntamento è presso il giardino di Piazza Gian Lorenzo Bernini alle ore 11.30. Per l’occasione, che vedrà la partecipazione di scuole del quartiere e cittadinanza, alcuni rifugiati accolti al Centro Astalli si racconteranno attraverso il metodo dei “libri viventi” per l’iniziativa “Ti racconto una storia, ti racconto di me”
Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, spiega le ragioni dell’iniziativa: «In questa giornata facciamo memoria di uomini, donne e bambini costretti alla fuga da guerre, persecuzioni e crisi umanitarie, da carestie, cause ambientali e ingiustizie sociali. Facciamo memoria di chi non ce l’ha fatta a compiere il proprio viaggio che si è interrotto tragicamente, in assenza di vie legali».
E ancora: «Ricordiamo anche chi si impegna ogni giorno a metterli in salvo, chi li accoglie e chi li aiuta in un’azione di solidarietà che mai va criminalizzata. Molte delle politiche messe in atto da quel tragico 3 ottobre ad oggi vanno in una direzione estremamente preoccupante e non di rado in aperta violazione dei diritti umani e delle principali convenzioni in materia di asilo. Ricordare le vittime vuole dire prima di tutto rispettare la dignità e i diritti dei vivi»
La Comunità di Sant’Egidio: «Seguire il modello dei corridoi umanitari»
Le tragedie in mare, con migliaia di morti e dispersi, non sono finite. La Comunità di Sant’Egidio, insieme a tanti migranti e rifugiati, ricorderà le vittime con una veglia di preghiera nella basilica di Santa Maria in Trastevere stasera alle 20. «In questa Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, rilanciamo l’appello all’Europa – sottolinea Sant’Egidio – di sostenere l’Italia nelle operazioni di salvataggio in mare, unico modo per evitare altre tragedie dell’immigrazione, e ricordiamo che esistono alternative ai trafficanti di esseri umani. Sono i corridoi umanitari, realizzati da Sant’Egidio insieme ad altre associazioni in collaborazione dei ministeri dell’Interno e degli Esteri, ma anche in Francia e Belgio: finora hanno permesso l’arrivo in Europa in sicurezza, per chi arriva e per chi accoglie, a più di 6.500 persone. Seguendo questo modello, che favorisce l’integrazione, è urgente sviluppare altre vie legali di ingresso per motivi di lavoro, che risponderebbero alla ormai cronica carenza di lavoratori in diversi settori, a causa del calo demografico»
{FOTO : L’installazione realizzata a Milano, in Darsena, per i 10 anni della strage}
Sono passati 10 anni dalla strage di Lampedusa, tuttora ricordata come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall’inizio del 21esimo secolo. Era il 3 ottobre del 2013 e un peschereccio libico, partito dal porto di Misurata, poco dopo le 6.30 del mattino andò in avaria a circa mezzo miglio dalle coste di Lampedusa, vicino all’isola dei Conigli: i motori si fermarono.
L’imbarcazione era stracolma il peschereccio a un certo punto si rovesciò I superstiti hanno raccontato di un fuoco acceso sulla barca (forse per attirare l’attenzione di altre imbarcazioni) e di molti migranti che si erano gettati in mare. Poi, anche per il panico e il sovraffollamento, la barca si avvitò su ste stessa e colò a picco. Si stimò che a bordo vi fossero 512 migranti, soprattutto eritrei e etiopi. I morti accertati furono 368, fra cui 83 donne e 9 bambini: 194 vennero trovati subito con le prime operazioni di ricerca, altri solo nei giorni successivi quando venne raggiunto il peschereccio finito sul fondo del mare. I superstiti furono 155.
MSF: “28.000 MORTI IN MARE NON BASTANO”
Lo dice in una nota Medici Senza Frontiere
“A dieci anni dalla tragedia di Lampedusa, il susseguirsi di naufragi e stragi in mare e le almeno 28.000 persone morte o disperse nelle acque del Mediterraneo dal 2014 sembrano non essere ancora sufficienti per convincere l’Unione europea e il governo italiano ad un cambio di approccio. Al contrario, il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 ha segnato l’inizio di una conta sempre più numerosa di morti in mare e di una serie di misure inefficaci e disumane a discapito di vite umane”
L’OPERAZIONE MARE NOSTRUM
“Dieci anni fa, 368 persone annegavano al largo di Lampedusa e pochi giorni dopo ne morivano altre 200, cambiando per sempre la storia del nostro mare – prosegue la nota -. Evento che sembrò allora inaccettabile alle autorità italiane che, gridando ad alta voce ‘Mai più‘, avviarono l’operazione di ricerca e soccorso Mare Nostrum, durata poco più di un anno. Un’azione nella giusta direzione ma troppo breve che non è riuscita a scongiurare negli anni successivi un’incredibile sequenza di tragici incidenti. Tra gli altri, il naufragio nel Canale di Sicilia dell’aprile 2015 in cui morirono centinaia di persone, la strage di Cutro nel febbraio 2023, con oltre 90 vittime, e il naufragio di Pylos a giugno 2023 che uccise oltre 500 persone tra uomini, donne e bambini”
Dice Marco Bertotto, direttore dei programmi di Medici senza frontiere in Italia :
“Dopo la fine di Mare Nostrum, le autorità italiane ed europee non hanno più adottato un singolo provvedimento per rafforzare il soccorso in mare e limitare in modo concreto ed efficace il susseguirsi di tragedie nel Mediterraneo”
“È INDISPENSABILE UN’AZIONE DEI PAESI EUROPEI”
“Le decine di migliaia di persone annegate nel nostro mare in meno di 10 anni, di cui almeno 2.356 solo quest’anno, sono la limpida dimostrazione che un’azione di ricerca e soccorso su iniziativa degli Stati membri europei è non solo necessaria ma indispensabile e urgente – prosegue Bertotto -. Almeno fino a quando non saranno messe in atto politiche più coraggiose, mirate a garantire canali di accesso sicuri in Europa e realmente efficaci per smantellare le vie illegali e mortifere incentivate dai trafficanti”.
LA LEGGE ANTI-ONG DEL 2023
Secondo Msf “oltre alla grave mancanza di un sistema di coordinamento europeo per le attività di ricerca e soccorso, la nuova legge italiana in materia di gestione dei flussi migratori (la 15 del 2023) ha contributo ad ostacolare il lavoro delle organizzazioni umanitarie attive nel Mediterraneo, osteggiate e mandate strumentalmente in porti lontani. Tutto ciò – ancora la nota -, nonostante le autorità marittime italiane, sopraffatte dal gran numero di arrivi, continuino a chiedere loro supporto per salvare vite in mare”.
“Le politiche e i provvedimenti sulla migrazione dovrebbero essere in linea e non in contrasto con il diritto dell’Ue e del diritto internazionale in materia di attività di ricerca e salvataggio in mare – afferma Juan Matias Gil, capomissione per la ricerca e il soccorso in mare di Msf -. Chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita deve essere soccorso e considerato una persona prima che ‘un migrante’”.
A dieci anni dal naufragio di Lampedusa, Msf sollecita nuovamente le autorità nazionali ed europee “a garantire l’immediata apertura di canali di ingresso sicuri in Europa, rafforzando al contempo un’azione dedicata di ricerca e soccorso in mare coordinata dagli Stati membri europei”.
Essere dove bisogna stare – 10 anni dopo la Strage di Lampedusa
A 10 anni dalla Strage di Lampedusa, dove 368 persone persero la vita a pochi metri dalle coste italiane, molto è cambiato nel mondo, ma nel Mediterraneo centrale continuano a morire (oltre 2000 solo dall’inizio del 2023) a causa delle politiche securitarie e neocoloniali dell’Occidente e, in particolare, dell’Unione Europea e i suo Stati membri.
L’indignazione, la rabbia e la necessità di non rimanere indifferenti di fronte a ciò che stava accadendo nel Mediterraneo ci hanno spinto, 5 anni dopo quella terribile strage, a mettere in mare la Mare Jonio, partita per la sua prima missione la notte tra il 3 e 4 ottobre dal porto di Augusta.
Da quel molo siciliano, continuiamo ad agire spinti da quei sentimenti e quegli ideali che ci portano ad essere in Ucraina, in Marocco e presto nel Mediterraneo centrale, ma anche nelle piazze italiane ed europee (Milano, Napoli, Bologna, Venezia, Bruxelles) per contestare leggi razziste e disumane, ma anche a costruire percorsi di solidarietà e complicità con l’umanità in cammino.
Da quel giorno, siamo cresciutǝ, siamo di più con tante persone che si sono unite al nostro percorso.
Siamo sempre là dove bisogna stare.
Per ricordare la Strage di Lampedusa, vi proponiamo il testo di padre Mussie Zerai, esponente della diaspora eritrea (luogo da cui provenivano gran parte delle vittime) e tra lǝ fondatorǝ di Alarm Phone.
Lampedusa, 10 anni dopo la strage del 3 ottobre 2013
Dieci anni fa la tragedia di Lampedusa: 368 giovani vite stroncate a poche centinaia di metri dalla spiaggia, quando la libertà e un futuro migliore sembravano a un passo.
Il decimo anniversario di questa tragedia arriva proprio quando il clima politico e la prassi erigono l’ennesima barriera di morte di fronte a migliaia di rifugiati e migranti, come quei ragazzi travolti in quella grigia alba del 3 ottobre 2013.
Non sappiamo se membri di questo governo e di questa maggioranza, o, più in generale, se altri protagonisti della politica degli ultimi anni, intendano promuovere o addirittura partecipare a cerimonie ed eventi in ricordo di quanto accaduto.
Ma se è vero, come è vero, che il modo migliore per onorare i morti è salvare i vivi e rispettare la loro libertà e dignità, allora non avrà senso partecipare a momenti di raccoglimento e riflessione, che la data del 3 ottobre richiama, con chi da anni costruisce muri e distrugge ponti, ignorando il grido di aiuto che si leva da tutto il Sud del mondo.
Se anche loro vogliono “ricordare Lampedusa”, che lo facciano da soli. Che lo facciano da soli. Perché in questi dieci anni hanno cancellato, distrutto o distorto quel grande slancio di solidarietà e di pietà umana suscitato dalla strage nelle coscienze di milioni di persone in tutto il mondo.
Cosa rimane, infatti, dello “spirito” e degli impegni di allora? Nulla. Si è regrediti a un cinismo e a un’indifferenza ancora peggiori del clima politico precedente a quel terribile 3 ottobre. E, addirittura, nonostante le inchieste della magistratura, non si è ancora riusciti a capire come sia stato possibile che 368 persone abbiano trovato la morte a soli 800 metri da Lampedusa, a meno di due chilometri da un porto stipato di unità militari veloci e ben equipaggiate in grado di arrivare sul posto in pochi minuti.
L’enormità della tragedia ha richiamato l’attenzione, a causa dell’enorme impatto di 368 vite perse, su due punti in particolare: la catastrofe umanitaria di milioni di profughi che cercano salvezza attraverso il Mediterraneo; il dramma dell’Eritrea, soggiogata dalla dittatura di Isaias Afewerki, perché tutti quei morti erano eritrei.
Al primo “punto” si è risposto con Mare Nostrum, con il mandato alla Marina Militare italiana di pattugliare il Mediterraneo fino al limite delle acque territoriali libiche, per prestare soccorso alle imbarcazioni di migranti in difficoltà e per prevenire ed evitare altre stragi come quella di Lampedusa. Quell’operazione fu un vanto per la nostra Marina, con migliaia di vite salvate. Dieci anni dopo, non solo non ne è rimasto nulla, ma sembra quasi che gran parte dell’ambiente politico la consideri uno spreco o addirittura un aiuto ai trafficanti.
Resta il fatto che esattamente dodici mesi dopo, nel novembre 2014, Mare Nostrum è stata “cancellata”, moltiplicando – proprio come aveva previsto la Marina Militare – i naufragi e le vittime, tra cui quelle morte nell’immensa tragedia del 15 aprile 2015, con circa 800 vittime, il più alto numero di morti mai registrato in un naufragio nel Mediterraneo. E, al posto di quell’operazione salvifica, sono state via via introdotte norme e restrizioni che nemmeno l’aumento delle vittime è riuscita a fermare, fino al punto di esternalizzare i confini della Fortezza Europa sempre più a sud, verso l’Africa e il Medio Oriente, attraverso tutta una serie di trattati internazionali, per bloccare i profughi in mezzo al Sahara, “lontano dai riflettori“, prima ancora che possano arrivare a imbarcarsi sulla sponda meridionale del Mediterraneo.
È quello che hanno creato e stanno creando accordi come il Processo di Khartoum (fotocopia del precedente Processo di Rabat), gli Accordi di Malta, il trattato con la Turchia, il patto di respingimento con il Sudan, il ricatto all’Afghanistan (costretto a “riprendersi” 80.000 rifugiati), il memorandum firmato con la Libia nel febbraio 2017 e le ultime misure di questo governo.
Per non parlare della criminalizzazione delle ONG, alle quali dobbiamo circa il 40% delle migliaia di vite salvate, ma che sono state costrette a sospendere le loro attività, arrivando persino a fare pressione su Panama per revocare la bandiera di navigazione dell’Aquarius.
Oggi vediamo le navi SAR costrette a navigare per innumerevoli miglia per raggiungere i porti assegnati lontani dai luoghi dei soccorsi.
Il porto più vicino e sicuro previsto dal diritto marittimo internazionale è ormai lettera morta. Le tragedie si sono susseguite negli ultimi dieci anni come niente fosse, il cinismo ha soppiantato l’umanitarismo.
Per quanto riguarda i profughi eritrei, il secondo punto mostra come si sia passati dalla solidarietà alla derisione o addirittura al disprezzo, fino a chiamarli – nelle parole di autorevoli esponenti dell’attuale maggioranza di governo – “profughi in vacanza” o “migranti che fanno la bella vita“, negando la realtà della dittatura di Asmara.
È un processo che è iniziato subito, già all’indomani della tragedia, quando alla cerimonia funebre per le vittime, ad Agrigento, il governo ha invitato a Roma l’ambasciatore eritreo, l’uomo che rappresenta ed è la voce in Italia proprio di quel regime che ha costretto quei 368 giovani a fuggire dal Paese.
Poteva sembrare una “gaffe”.
Invece, si è rivelata l’inizio di un percorso di progressivo avvicinamento e rivalutazione di Isaias Afewerki, il dittatore che ha ridotto in schiavitù il suo popolo, permettendogli di uscire dall’isolamento internazionale, associandolo al Processo di Khartoum e ad altri accordi, inviandogli centinaia di milioni di euro di finanziamenti, eleggendolo di fatto gendarme anti-immigrazione per conto dell’Italia e dell’Europa.
Sia per quanto riguarda i migranti in generale che per quanto riguarda l’Eritrea, a dieci anni dalla tragedia di quel 3 ottobre 2013, rimane il sapore amaro del tradimento.
– Tradita la memoria delle 368 giovani vittime e di tutti i loro familiari e amici.
– Tradite le migliaia di giovani che con il loro stesso viaggio denunciano la feroce e terribile realtà del regime di Asmara, che rimane una dittatura anche dopo la firma della pace con l’Etiopia nella lunghissima guerra di confine iniziata nel 1998.
– Tradito il grido di dolore che dall’Africa e dal Medio Oriente sale verso l’Italia e l’Europa da parte di un intero popolo di migranti costretti a lasciare la propria terra: una fuga per la vita che spesso nasce da situazioni create dalla politica e dagli interessi economici e geostrategici degli stessi Stati del Nord globale che oggi alzano barriere. Tradito, questo grido di dolore, proprio nel momento in cui si finge di non vedere una realtà evidente
Ovunque si voglia ricordare la tragedia di Lampedusa in questi giorni, sull’isola stessa o altrove, non avrà senso farlo se non si vuole trasformare questo triste anniversario in un punto di partenza per cambiare radicalmente la politica condotta negli ultimi cinque anni nei confronti di migranti e rifugiati.
Gli “ultimi della terra”
Il 3 ottobre 2013 un peschereccio si ribaltò a meno di mezzo miglio dalle coste di Cala Croce: i sopravvissuti furono 155, fra cui 41 minori. È una delle peggiori stragi nel Mediterraneo dall’inizio del ventunesimo secolo. Le ricerche dei corpi delle vittime durarono più di una settimana e non mancarono polemiche e contestazioni civili e politiche. Da allora, in questo giorno si celebra la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza
Sono passati 10 anni da quello che rimane uno dei più gravi naufragi nel Mediterraneo dall’inizio del ventunesimo secolo.
Era il 3 ottobre 2013: al largo di Lampedusa un peschereccio carico di migranti si rovesciò, causando 368 morti accertati – di cui 360 eritrei – oltre a circa 20 presunti dispersi. I superstiti furono 155, fra cui 41 minori.
“Non sappiamo più dove mettere i morti e i vivi. È un orrore”
disse quel giorno l’allora sindaco, Giusi Nicolini, tra le lacrime, mentre guardava arrivare e partire le motovedette cariche di cadaveri.
“Provo vergogna e orrore“, dichiarò il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
Da allora, il 3 ottobre è diventato la
Giornata della Memoria e dell’Accoglienza
La dinamica del naufragio
Alle 5 del mattino il peschereccio lungo una ventina di metri, carico di migranti eritrei stipati anche nella sala macchine, si ferma a meno di mezzo miglio dalle coste di Cala Croce. È partito due giorni prima da Misurata, in Libia. Quando la costa dell’isola è già visibile dal mare, i motori del peschereccio si fermano e qualcuno di quelli che sono alla guida dell’imbarcazione decide di dar fuoco a delle coperte: le fiamme, pensano, serviranno a renderli visibili da chi è a terra e dalle altre navi. “Ci fu un guasto e il tizio che era al comando diede fuoco a un panno per cercare di segnalare l’imbarcazione – racconterà un anno dopo un sopravvissuto – ma il fuoco arrivò alla benzina che era lì vicino, e da quel momento è iniziato il dramma”. Le fiamme si propagano subito sul ponte, dove ci sono almeno 300 persone. Molte di loro, proprio perché schiacciate una sull’altra, non vedono neanche l’origine dell’incendio ma solo un gran fumo. Mentre tutti quelli che si trovano nella stiva o nella sala macchine non solo non vedono niente, ma neanche si accorgono di nulla. I migranti presi dal panico cominciano a gettarsi in acqua ma, soprattutto, si spostano tutti insieme sul lato opposto della barca a quello dove ci sono le fiamme. Il barcone si piega fino a quando l’acqua comincia a entrare. In pochi istanti il peschereccio si immerge e tocca il fondale, 45 metri più in basso. Per quelli che sono nella stiva non c’è neanche possibilità di muoversi. Inoltre, centinaia di litri di carburante finiscono in mare e intossicano molti dei naufraghi che stanno cercando di salvarsi.
Il racconto di un sub
Le operazioni di recupero delle vittime durano più di una settimana e coinvolgono sommozzatori e sub, anche volontari.
Fra loro c’è Rocco, che ha un diving center sull’isola, e il giorno del naufragio è il primo a immergersi dopo che il sonar del peschereccio Graziella individua il relitto.
“Vuoi saperlo davvero che c’è là sotto? C’è l’orrore. Ci sono decine di corpi, forse centinaia. Stanno uno sull’altro, ammassati e incastrati. I più fortunati sono quelli che sono morti per primi – dice Rocco il 4 ottobre del 2013 – Gli altri quando hanno capito che stavano morendo, hanno tentato di fuggire e si sono schiacciati uno con l’altro, rimanendo bloccati nella stiva. Si vedono corpi tutti incastrati, uno sull’altro. Sembrano dei massi, ce ne sono sulla coperta e all’ingresso della stiva. È come assistere a una scena di un film dell’orrore”
Il lutto nazionale, i mancati funerali di Stato e le polemiche
Dopo la tragedia, in Italia viene proclamato il lutto nazionale e vengono annunciati funerali di Stato per le vittime che, però, non saranno mai celebrati.
Non è però questa l’unica polemica che scoppia dopo il naufragio.
Vengono criticate diverse leggi in materia di immigrazione come la Turco-Napolitano, il decreto Maroni e la legge Bossi-Fini, sulla base della quale i sopravvissuti vengono indagati per il reato di immigrazione clandestina.
Il 9 ottobre il presidente del Consiglio Enrico Letta viene duramente contestato mentre visita Lampedusa insieme al presidente della Commissione europea José Manuel Barroso.
La tensione sale anche a causa del racconto di alcuni superstiti secondo cui alcune imbarcazioni, pur avendo visto il peschereccio in difficoltà, non si sarebbero fermate a soccorrerlo.
Poi due giorni dopo la tragedia un diportista che con alcuni amici ha salvato 47 migranti dal naufragio dice: “Noi eravamo in otto sulla mia barca e ci siamo sbracciati per cercare di salvare quante più persone potevamo. Ho visto su tutti i siti di Internet il video di uomini della Capitaneria di porto che riprendeva un salvataggio. Mi chiedo perché facevano riprese invece di salvare la gente? Se la prendevano alla leggera, non è così che si agisce mentre la gente bolle in mare. Hanno rifiutato di prendere a bordo qualche persona che avevamo già salvato perché il protocollo, hanno detto, lo vietava”
A stretto giro il comando delle capitanerie di porto, per sgombrare il campo dalle polemiche, afferma che il primo allarme sul naufragio è arrivato alle 7 di mattina – tramite chiamata vhf -, che un quarto d’ora dopo le motovedette della Guardia Costiera erano già in mare e alle 7.20 sono arrivate nel punto della tragedia.
Le condanne
Pochi giorni dopo il naufragio un uomo tunisino, Khaled Bensalem, viene fermato e accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio e omicidio volontario plurimo.
L’1 luglio 2015 viene condannato a 18 anni di reclusione: il giudice, come chiesto dal pm, riqualifica le accuse in naufragio colposo e “morte provocata come conseguenza di un altro reato”, escludendo così il dolo che avrebbe portato a una condanna molto più severa. La pena, inoltre, è ridotta di un terzo per effetto del rito abbreviato. Il 6 settembre 2017 arriva poi la conferma della Cassazione della condanna a 30 anni di reclusione – già inflitta in primo grado e in appello – per Muhidin Elmi Mouhamud, trafficante somalo riconosciuto da alcuni dei migranti sopravvissuti al naufragio come membro dell’organizzazione armata che sequestrò 130 eritrei nel deserto tra Sudan e Libia, sottoponendoli a trattamenti inumani e facendoli imbarcare sulla nave poi affondata. A suo carico non solo l’accusa di tratta di esseri umani e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma anche la violenza sessuale nei confronti di venti donne eritree. I sopravvissuti hanno raccontato di essere stati sequestrati nel deserto e tenuti prigionieri in una casa fino a quando si sono fatti mandare dai familiari 3.000 dollari da pagare ai sequestratori.
Poi sarebbero stati necessari altri 1.600 dollari per salire su motoscafi con i quali avrebbero raggiunto il barcone destinato a naufragare.
Il processo al peschereccio Aristeus
Nel 2017 la Procura di Agrigento indaga sette persone per non aver prestato soccorso all’imbarcazione naufragata quattro anni prima vicino a Lampedusa e per non aver avvisato le autorità dopo averla individuata: si tratta del comandante e di sei membri dell’equipaggio di un peschereccio.
L’anno successivo i sette vengono rinviati a giudizio per omissione di soccorso e nel 2020 arriva la condanna di primo grado dal Tribunale di Agrigento: sei anni di reclusione per il capitano, quattro anni per gli altri.
Gli imputati, durante il processo, scelgono di non fare dichiarazioni.
Secondo quanto riferito da L’Espresso, “i tracciati del loro Ais, il sistema di identificazione automatica a bordo del peschereccio, dimostrano che per cinquantasette minuti si sono fermati e hanno girato intorno all’imbarcazione stracarica di profughi che, con il motore fermo, prima di affondare gridavano e chiedevano loro aiuto”.
La strage dei bambini
Nel 2013 quella del 3 ottobre non fu l’unica tragedia al largo di Lampedusa. Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, un altro barcone naufraga in quello che venne definito “il naufragio dei bambini”. Muoiono 268 persone, fra cui 60 bambini. La prima richiesta di soccorso arriva alle 12.26: il barcone imbarca acqua dopo essere stato colpito da raffiche di mitra sparate da una motovedetta libica, si trova più vicino a Lampedusa che a Malta, ma l’area di responsabilità per la ricerca e il soccorso è quella maltese. La Valletta assume il coordinamento, ma poi decide di non intervenire e chiede l’impiego della nave Libra della Marina Militare. Alle 17.07 il barcone si capovolge e si consuma la seconda tragedia in pochi giorni. Il 2 dicembre 2022 si è chiuso il processo nei confronti di Leopoldo Manna e Luca Licciardi, rispettivamente all’epoca dei fatti responsabile della sala operativa della Guardia Costiera e comandante della sala operativa della squadra navale della Marina: la seconda sezione penale del tribunale di Roma ha dichiarato estinti i reati per intervenuta prescrizione nei confronti dei due ufficiali, nei confronti dei quali la procura aveva comunque chiesto l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”. Le accuse nei confronti di Manna e Licciardi erano di omicidio colposo e rifiuto d’atti d’ufficio e l’indagine fu avviata in relazione a presunti ritardi nei soccorsi: nel 2017 la procura aveva chiesto la sua archiviazione ma il gip si era opposto. I due ufficiali erano accusati di aver ritardato l’intervento della nave militare italiana Libra, che si trovava a poca distanza dalla zona in cui si verificò il naufragio. Si parlò di un “buco” di 45 minuti nella decisione di intervento delle autorità italiane. I superstiti raccontarono di aver chiamato diverse volte la Guarda Costiera ma che “le autorità italiane erano convinte che la competenza fosse maltese”. Secondo la ricostruzione dei magistrati di Piazzale Clodio, la segnalazione da parte delle autorità di Malta agli omologhi italiani era arrivata alle 16.22. E alle 17.07 l’imbarcazione si capovolse. Così la procura di Roma, lo scorso 4 ottobre, aveva chiesto l’assoluzione per Manna e Licciardi. Per i pm non c’era stata “la volontà degli imputati di volere la morte dei migranti”. Da parte dei due ufficiali, hanno affermato i pm nella requisitoria, non c’è stato “alcun dolo. Le procedure, seppur farraginose dell’epoca, sono state rispettate” e “i due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all’epoca”
Migranti, dieci anni fa la strage di Lampedusa: il ricordo del terribile naufragio del 3 ottobre
Quel giorno morirono 368 persone
Dal 2013 sono giunti in Italia oltre un milione di migranti. In dieci anni oltre 1.100 bambini sono morti tentando la traversata del Mediterraneo
Sono passati dieci anni dal terribile naufragio di Lampedusa. Non il primo e non l’ultimo, ma sicuramente una delle stragi del Mediterraneo che colpì di più l’opinione pubblica, portando alla ribalta la tragedia umanitaria di migliaia di persone che rischiano tutto per fuggire in Europa.
Il 3 ottobre 2013 morirono 368 persone a Lampedusa, a pochi passi dall’Isola dei Conigli, ricordato tramite l’istituzione della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza.
Il naufragio del 3 ottobre
La notte del 3 ottobre di dieci anni fa i naufraghi, somali ed eritrei, erano quasi arrivati a Lampedusa. Erano partiti dalla Libia, a bordo di un peschereccio. Di fronte all’Isola dei Conigli, per segnalare la loro posizione, incendiarono una coperta.
Le fiamme si propagarono subito: 368 i migranti morti; 155, fra cui sei donne e due bambini, i salvati.
“Viene la parola vergogna: è una vergogna! Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie”, disse quel giorno stesso Papa Francesco.
Le iniziative Dieci anni dopo, Lampedusa e l’intero Mediterraneo continuano a contare le vittime dei flussi migratori con cadenza quasi quotidiana.
Gli studenti dell’isola incontrano i sopravvissuti dei naufragi del 3 e del 10 ottobre 2013. Come da tradizione, nella notte fra lunedì e martedì, alle 3:15 (orario del naufragio), in piazza Piave si è osservato un momento di raccoglimento.
Presente anche Vito Fiorino, 74enne di Sesto San Giovanni, che ogni anno ritorna sull’isola per ricordare i 47 profughi che, assieme a sette amici, riuscì a soccorrere con la sua barca.
La commemorazione
Alle 8 l’incontro in piazza Castello e poi la marcia fino a Porta d’Europa.
Presenti anche il vice presidente del Senato, Maria Domenica Castellone, l’arcivescovo di Agrigento monsignor Alessandro Damiano, il prefetto Filippo Romano e l’imam di Catania, nonché presidente della comunità islamica siciliana, Kheit Abdelhafid.
Il momento più toccante delle commemorazioni scocca, come sempre, alle 10:30: la deposizione della corona di fiori in mare. Ad organizzare è il “Comitato 3 ottobre”, di cui Tareke Bhrane è presidente.
Oltre 28mila morti nel Mediterraneo dal 2014 Sono oltre 28mila i migranti morti nel Mediterraneo dal 2104 ad oggi, stando ai dati di Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità).
Tra le vittime, 1.143 erano minori. Nell’ultimo decennio, gli eventi fatali avvenuti durante la traversata del Mediterraneo Centrale verso l’Italia rappresentano mediamente il 76% del totale eventi accaduti su tutte le rotte, con proporzioni particolarmente elevate negli anni 2014 (95%), e negli anni 2016 e 2017 (90%). Anche il 2023, non ancora concluso, registra quasi il 90% degli eventi fatali nel Mediterraneo Centrale.
Oltre un milione di migranti in Italia dal 2013 Sono oltre un milione, precisamente 1.040.938, i migranti arrivati in Italia dal 2013 fino al 28 settembre 2023. E’ quanto emerge incrociando i dati forniti dal ministero dell’Interno nel corso degli anni.
Nel 2023 i minori morti rappresentano il 4% del totale, mentre nel 2014 erano meno dell’1%.
Secondo Save the Children, dal 2014 sono arrivati via mare, in Italia, più di 112mila minori non accompagnati. Quest’anno, dal primo gennaio, sono oltre 11.600 i minori giunti sulle nostre coste senza figure adulte di riferimento.
Nel 2016 si registrò un record di arrivi: 181.436, molti dei quali provenienti dalla Nigeria.
Strage di Lampedusa, la distesa di bare senza nome nell’hangar dell’aeroporto
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