“LE LEGGI SCELBA E MANCINO” SONO ANCORA IN VIGORE
La legge Mancino ha funzione sussidiaria rispetto alla Legge Scelba.
Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la Legge Mancino trova applicazione solo quando la Legge Scelba non sia applicabile per insussistenza, nel caso concreto, di elementi specializzanti rispetto a quelli previsti dalla norma sussidiaria
È GIUSTO INFORMARE
NICOLA MANCINO
BUONA LETTURA DI RIFLESSIONE CONDIVISA
La legge 25 giugno 1993, n. 205 è un atto legislativo della Repubblica Italiana che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.
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Legge n. 205/93 (legge Mancino)
“Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”
Pubblicato nella Gazz. Uff. 27 aprile 1993, n. 97 e convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205 (Gazz. Uff. 26 giugno 1993, n. 148).
Si ritiene opportuno riportare anche la premessa del presente decreto-legge.
Per il regolamento, vedi il D.M. 4 agosto 1994, n. 569.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di apportare integrazioni e modifiche alla normativa vigente in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, allo scopo di apprestare più efficaci strumenti di prevenzione e repressione dei fenomeni di intolleranza e di violenza di matrice xenofoba o antisemita;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 23 aprile 1993;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri dell’interno e di grazia e giustizia;
Emana il seguente decreto-legge:
Art. 1. Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
1. (1).
1-bis. Con la sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, o per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, il tribunale può altresì disporre una o più delle seguenti sanzioni accessorie:
a) obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità, secondo le modalità stabilite ai sensi del comma1-ter;
b) obbligo di rientrare nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora entro un’ora determinata e di non uscirne prima di altra ora prefissata, per un periodo non superiore ad un anno; c) sospensione della patente di guida, del passaporto e di documenti di identificazione validi per l’espatrio per un periodo non superiore ad un anno, nonché divieto di detenzione di armi proprie di ogni genere;
d) divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna, e comunque per un periodo non inferiore a tre anni (2).
1-ter. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro di grazia e giustizia determina, con proprio decreto, le modalità di svolgimento dell’attività non retribuita a favore della collettività di cui al comma 1-bis, lettera a) (2).
1-quater. L’attività non retribuita a favore della collettività, da svolgersi al termine dell’espiazione della pena detentiva per un periodo massimo di dodici settimane, deve essere determinata dal giudice con modalità tali da non pregiudicare le esigenze lavorative, di studio o di reinserimento sociale del condannato (2).
1-quinquies. Possono costituire oggetto dell’attività non retribuita a favore della collettività: la prestazione di attività lavorativa per opere di bonifica e restauro degli edifici danneggiati con scritte, emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui al comma 3 dell’art.3, L. 13 ottobre 1975, n. 654; lo svolgimento di lavoro a favore di organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, quali quelle operanti nei confronti delle persone handicappate, dei tossicodipendenti, degli anziani o degli extracomunitari; la prestazione di lavoro per finalità di protezione civile, di tutela del patrimonio ambientale e culturale, e per altre finalità pubbliche individuate con il decreto di cui al comma 1-ter (2).
1-sexies. L’attività può essere svolta nell’ambito e a favore di strutture pubbliche o di enti ed organizzazioni privati (2).
Note:
(1) L’articolo che si omette, modificato dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205, sostituisce l’art. 3, L. 13 ottobre 1975, n. 654.
(2) Comma aggiunto dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205.
Art. 2. Disposizioni di prevenzione.
1. Chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, è punito con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa da lire duecentomila a lire cinquecentomila (3).
2. È vietato l’accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che vi si recano con emblemi o simboli di cui al comma 1. Il contravventore è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno (3).
3. Nel caso di persone denunciate o condannate per uno dei reati previsti dall’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, o per un reato aggravato ai sensi dell’articolo 3 del presente decreto, nonché di persone sottoposte a misure di prevenzione perché ritenute dedite alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica, ovvero per i motivi di cui all’articolo 18, primo comma, n. 2- bis) (3/a), della legge 22 maggio 1975, n. 152 si applica la disposizione di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e il divieto di accesso conserva efficacia per un periodo di cinque anni, salvo che venga emesso provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento o provvedimento di revoca della misura di prevenzione, ovvero se è concessa la riabilitazione ai sensi dell’articolo 178 del codice penale o dell’articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327 (4).
Note
(3) Comma così sostituito dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205.
(3/a) L’art. 18, primo comma, n. 2-bis), di detta legge (numero introdotto dal comma 1 del presente articolo nella formulazione originaria) estendeva le disposizioni della L. 31 maggio 1965, n. 575, anche a coloro che avessero compiuto atti obiettivamente rilevanti in ragione dei quali dovesse ritenersi che facessero parte delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui al comma 3 dell’art.3 della L. 13 ottobre 1975, n. 654, ovvero, in pubbliche riunioni, avessero compiuto manifestazioni esteriori od ostentato emblemi o simboli propri o usuali delle medesime organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi. In conseguenza della sostituzione del comma 1 del presente articolo con un nuovo testo, operata dalla legge di conversione, nel quale non è più presente il n. 2-bis dianzi citato, il richiamo a detto numero deve ritenersi privo di valore giuridico. (4) Comma così modificato dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205.
Art. 3. Circostanza aggravante.
1. Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà (4).
2. Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98 del codice penale, concorrenti con l’aggravante di cui al comma 1, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante.
Note:
(4) Comma così modificato dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205.
Art. 4. Modifiche a disposizioni vigenti.
– 1. (5).
Note:
(5) Sostituisce il secondo comma dell’art. 4, L. 20 giugno 1952, n. 645.
Art. 5. Perquisizioni e sequestri.
1. Quando si procede per un reato aggravato ai sensi dell’articolo 3 o per uno dei reati previsti dall’articolo 3, commi 1, lettera b), e 3, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, l’autorità giudiziaria dispone la perquisizione dell’immobile rispetto al quale sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che l’autore se ne sia avvalso come luogo di riunione, di deposito o di rifugio o per altre attività comunque connesse al reato. Gli ufficiali di polizia giudiziaria, quando ricorrano motivi di particolare necessità ed urgenza che non consentano di richiedere l’autorizzazione telefonica del magistrato competente, possono altresì procedere a perquisizioni dandone notizia, senza ritardo e comunque entro quarantotto ore, al procuratore della Repubblica, il quale, se ne ricorrono i presupposti, le convalida entro le successive quarantotto ore.
2. È sempre disposto il sequestro dell’immobile di cui al comma 1 quando in esso siano rinvenuti armi, munizioni, esplosivi od ordigni esplosivi o incendiari, ovvero taluni degli oggetti indicati nell’articolo 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110.
É sempre disposto, altresì, il sequestro degli oggetti e degli altri materiali sopra indicati nonché degli emblemi, simboli o materiali di propaganda propri o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui alle leggi 9 ottobre 1967, n. 962, e 13 ottobre 1975, n. 654, rinvenuti nell’immobile. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 324 e 355 del codice di procedura penale. Qualora l’immobile sia in proprietà, in godimento o in uso esclusivo a persona estranea al reato, il sequestro non può protrarsi per oltre trenta giorni.
3. Con la sentenza di condanna o con la sentenza di cui all’articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice, nei casi di particolare gravità, dispone la confisca dell’immobile di cui al comma 2 del presente articolo, salvo che lo stesso appartenga a persona estranea al reato.
É sempre disposta la confisca degli oggetti e degli altri materiali indicati nel medesimo comma 2.
Art. 6. Disposizioni processuali.
1. Per i reati aggravati dalla circostanza di cui all’articolo 3, comma 1, si procede in ogni caso d’ufficio.
2. Nei casi di flagranza, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di procedere all’arresto per uno dei reati previsti dai commi quarto e quinto dell’articolo 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110, nonché, quando ricorre la circostanza di cui all’articolo 3, comma 1, del presente decreto, per uno dei reati previsti dai commi primo e secondo del medesimo articolo 4 della legge n. 110 del 1975 (6).
2-bis. All’articolo 380, comma 2, lettera l), del codice di procedura penale, sono aggiunte, in fine, le parole: “, delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 13 ottobre 1975, n. 654” (7).
3. Per i reati aggravati dalla circostanza di cui all’articolo 3, comma 1, che non appartengono alla competenza della corte di assise è competente il tribunale.
4. Il tribunale è altresì competente per i delitti previsti dall’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654.
5. Per i reati indicati all’articolo 5, comma 1, il pubblico ministero procede al giudizio direttissimo anche fuori dei casi previsti dall’articolo 449 del codice di procedura penale, salvo che siano necessarie speciali indagini. (6) (8).
Note:
(6) Seguiva un periodo soppresso dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205. (7) Comma così inserito dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205.
(8) Comma soppresso dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205.
Art. 7. Sospensione cautelativa e scioglimento.
1. Quando si procede per un reato aggravato ai sensi dell’articolo 3 o per uno dei reati previsti dall’articolo 3, commi 1, lettera b), e 3, della legge 13 ottobre 1975, n. 654 o per uno dei reati previsti dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che l’attività di organizzazioni, di associazioni, movimenti o gruppi favorisca la commissione dei medesimi reati, può essere disposta cautelativamente, ai sensi dell’articolo 3 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, la sospensione di ogni attività associativa. La richiesta è presentata al giudice competente per il giudizio in ordine ai predetti reati. Avverso il provvedimento è ammesso ricorso ai sensi del quinto comma del medesimo articolo 3 della legge n. 17 del 1982 (4).
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengono meno i presupposti indicati al medesimo comma. 3. Quando con sentenza irrevocabile sia accertato che l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi abbia favorito la commissione di taluno dei reati indicati nell’articolo 5, comma 1, il Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, ordina con decreto lo scioglimento dell’organizzazione, associazione, movimento o gruppo e dispone la confisca dei beni. Il provvedimento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (9).
Note:
(4) Comma così modificato dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205. (9) Comma così modificato dalla legge di conversione 25 giugno 1993, n. 205.
Art. 8. Disposizioni finali.
1. Il settimo comma dell’articolo 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110, è abrogato.
2. Le disposizioni dei commi da 1 a 5 dell’articolo 6 si applicano solo per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 9. Entrata in vigore.
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
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Legge Mancino: cos’è, cosa tutela e perché alcuni chiedono di abolirla
{di Salvatore Frequente
LA NORMA 3 agosto 2018 – 14:39
su Corriere della Sera}
Il suo nome è legato all’allora ministro dell’Interno democristiano che la propose ma la legge Mancino è frutto di un lungo dibattito che ha coinvolto diversi movimenti e partiti italiani.
🔺Le finalità
Il decreto emanato il 26 aprile 1993 (e convertito in legge con modifiche due mesi dopo) nasce con la finalità di essere il principale strumento di legge contro i crimini d’odio. La norma, infatti, prevede misure urgenti (sanzioni, condanne e circostanze aggravanti) per contrastare la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, l’incitazione alla violenza o la violenza stessa per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
🔺Sanziona anche la nascita di organizzazioni
Vieta la costituzione e la partecipazione a ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo che ha tra i propri scopi ha l’incitamento alla discriminazione o alla violenza sempre per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La legge punisce anche l’utilizzo di simbologie legate a quel mondo. Una norma, la legge Mancino, che segue la dodicesima Disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana (e la conseguente legge 645 del 1952 conosciuta come legge Scelba) che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».
🔺Chi ne chiede l’abolizione
L’ultimo, in ordine di tempo, a chiedere l’abolizione delle legge Mancino è il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, che in un post su Facebook ha definito il razzismo «un’arma ideologica». Ma sull’eliminazione della norma se ne discute da tempo. La Lega propose un referendum per abrogarla già nel 2014.
Sulla stessa linea i movimenti e i partiti dell’estrema destra italiana
I critici definiscono questa norma in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero.
Ma la Corte Costituzionale su una circostanza simile (era chiamata ad esprimersi sulla legittimità della precedente legge del 1952) ha, in più occasioni, dichiarato infondato il contrasto normativo.
Scioglimento di gruppi fascisti: le leggi in vigore
Quali strumenti esistono per sciogliere una formazione neofascista?
Dopo i fatti di Roma di domenica 10 ottobre, e la richiesta del Partito democratico di sciogliere il Partito Forza nuova, tornano di attualità le leggi che vietano la riorganizzazione del partito fascista e che ne consentono lo scioglimento:
la legge Scelba e la legge Mancino
Quali sono i presupposti applicativi di ciascuna? Quali strumenti esistono per sciogliere una formazione neofascista? Occorre una sentenza o è sufficiente una decisione del Governo?
Il fondamento costituzionale
Il divieto di riorganizzazione del partito fascista, sotto qualsiasi forma è sancito dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
Secondo i consolidati principi della giurisprudenza amministrativa, la disposizione costituzionale:
- mette un limite al diritto di associarsi ad un partito politico (art. 49 Cost.) ed al diritto di accesso alle cariche elettive (art. 51 Cost), quando il partito, la lista o il movimento politico favorisce la ricostituzione del partito fascista
- fissa un’impossibilità giuridica assoluta ed incondizionata vietando ad un movimento politico con tali connotati di partecipare in qualunque modo alla vita politica, e condizionare le “libere e democratiche dinamiche”
- la sua attuazione non può essere limitata solo alla repressione di condotte a rilevanza penale, “ma deve essere estesa ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista” (T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, Sent. 25/01/2018, n. 105, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II – 22/5/2017 n. 1366, Consiglio di Stato, sez. V – 6/3/2013 n. 1354)
- esclude ogni diritto di associazione di tale carattere ed è quindi ritenuta norma speciale rispetto all’art. 18 della Costituzione.A riguardo, il Consiglio di Stato, escludendo “ l’esistenza di un diritto soggettivo di associazione in vista della ricostituzione di detto partito” ha stabilito che le controversie contro il provvedimento di scioglimento del movimento politico (nel caso esaminato si trattava del movimento “Ordine nuovo”), rientrano nella propria giurisdizione. (Cons. Stato, Sez. IV, 21/06/1974, n. 452).
La Legge Scelba
La legge “Scelba” (L. 645 del 1952) emanata durante il Governo De Gasperi durante anni segnati da grandi tensioni sociali, e poi modificata nel 1975, è stata volutamente denominata dal legislatore dell’epoca come legge attuativa della XII disposizione della Costituzione, per eliminare ogni dubbio sull’intenzione di costruire una legge speciale contro gli allora partiti di estrema destra . La legge:
- vieta la ricostituzione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista (artt. 1 e 2),
- punisce anche condotte individuali, quali l’apologia del fascismo (art. 4)
- punisce il compimento di manifestazioni fasciste (art. 5).
Quali sono i casi di “riorganizzazione del partito fascista”?
L’articolo 1 della predetta legge contiene la definizione di “riorganizzazione del disciolto partito fascista”.
Il presupposto soggettivo di applicazione della norma è l’esistenza di un’associazione, di un movimento o comunque di un gruppo di persone non inferiore a 5.
La condotta vietata è quella di perseguire “finalità antidemocratiche proprie del partito fascista” secondo precise modalità fra loro alternative, ed in particolare:
- esaltando, minacciando o usando violenza quale metodo di lotta politica
- propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione
- denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza,
- svolgendo propaganda razzista,
- compiendoattività di esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del partito fascista
- compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista.
Quali sono le modalità di scioglimento del partito neofascista?
L’articolo 3 dela Legge Scelba prevede due modalità per lo scioglimento dei gruppi di ricostituzione del partito fascista:
- a seguito di sentenza da cui risulti accertata la ricostituzione del partito fascista, lo scioglimento avviene con ordine del Ministero dell’Interno, sentito il Consiglio dei Ministri;
- nei casi straordinari di necessità e urgenza, lo scioglimento può avvenire con decreto legge del Governo.
Lo scioglimento a seguito di sentenza
La prima modalità di scioglimento, prevista dall’art. 3 comma 1 Legge Scelba, ha come presupposto indispensabile l’esistenza di una sentenza di accertamento della ricostituzione del partito fascista. A seguito dell’accertamento da parte della magistratura, il potere di eseguire la sentenza e ordinare lo sciogliemmo del movimento neo fascista, spetta all’esecutivo, con ordine emanato dal Ministero dell’interno, sentito il Consiglio dei Ministri.
Si tratta dell’unica modalità utilizzata fino ad oggi nella storia della Repubblica. È quanto è avvenuto per lo scioglimento di Ordine Nuovo, movimento nato nel 1969 e sciolto dal Ministro dell’interno Taviani in seguito alla sentenza di accertamento della ricostituzione del partito fascista, nel processo in cui era pubblico ministero Vittorio Occorsio, poi ucciso in un attentato rivendicato proprio da Ordine Nuovo.
In relazione al caso di Ordine Nuovo il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire un principio importante, che emerge anche dal dibattito dei lavori preparatori della Legge Scelba. Afferma il Supremo Collegio, che l’applicazione dell’art. 3 della Legge Scelba non richiede necessariamente una sentenza penale di condanna, ma è sufficiente una qualunque sentenza da cui risulti l’accertamento della fattispecie prevista dalla richiamata norma (Cons. Stato, Sez. IV, 21/06/1974, n. 452).
Scioglimento con decreto legge: le obiezioni dei deputati durante i lavori parlamentari di approvazione della legge
La seconda modalità, contenuta nel secondo comma dell’art. 3 è stata oggetto di forte scontro all’interno dell’assemblea parlamentare al momento dell’approvazione della Legge. Le perplessità espresse in modo trasversale dai partiti politici dell’epoca, si appuntavano soprattutto sul pericolo di violazione del principio di separazione dei poteri dello Stato e sull’attribuzione al Governo di un potere di fatto arbitrario e fuori controllo.
Mentre il primo comma infatti demanda al potere giudiziario l’accertamento dei presupposti applicativi per lo scioglimento del partito, questo secondo comma attribuisce al potere esecutivo la funzione di stabilire e giudicare la presenza dei requisiti richiesti dal legislatore e poi sulla base del proprio giudizio, ordinare lo scioglimento mediante un atto legislativo. In parole povere, la preoccupazione di molti, fra i quali l’on. Giorgio Almirante esponente del M.s.i, ma anche l’on. Audisio del gruppo comunisti, era che la norma attribuisse al Governo il potere così cancellare d’imperio un partito, senza alcun controllo da parte degli organi giudiziari. I sostenitori della norma poi approvata, rassicuravano invece del fatto che il decreto legge deve in ogni caso passare alla ratifica del Parlamento, dove un eventuale decisione del Governo non sostenuta da ragioni condivisibili,, avrebbe pagato il prezzo politico della mancata ratifica della legge da parte dell’Assemblea parlamentare, con conseguente indebolimento politico del Governo stesso.
Gli oppositori della norma, avanzavano però ulteriori dubbi, rimasti per la verità privi di chiarimento nel corso del dibattito parlamentare. Un forte elemento di perplessità era rappresentato proprio dalla scelta dello strumento del decreto legge , che essendo espressione del potere legislativo deve sempre avere i requisiti di “astrattezza, generalità e novità”; al contrario un decreto legge di scioglimento di un partito neofascista avrebbe la duplice natura di atto giudiziario nella parte in cui stabilisce che un determinato gruppo rientra nei casi di ricostituzione del partito fascista, e di atto amministrativo nella parte in cui dà esecuzione alla decisione assunta. Ulteriore anomalia della formulazione dell’art. 3 comma 2 della Legge Scelba, veniva riscontrata nell’attribuzione al Governo di una delega “permanente” in questa materia, sottratta alle competenze del Parlamento.
La legge Mancino
Nel 1993 sotto il governo Amato, viene varato il decreto Legge n.122 contenente “misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” poi convertito nella legge 205/93 e , oggi conosciuta come Legge Mancino, dal nome del senatore suo presentatore.
La legge Mancino costituisce ancora oggi il principale strumento legislativo contro i crimini d’odio, mirando a sanzionare e a prevenire le condotte di discriminazione razziale, etnica e religiosa, attraverso il divieto di ogni organizzazione movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Scioglimento dei movimenti d’odio secondo la Legge Mancino
L’art. 7 comma 3 del legge Mancino consente lo scioglimento di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che abbiano favorito la commissione dei reati elencati dall’art. 5 della medesima Legge (oggi descritti all’art. 604 ter del codice penale). Si tratta di tutti quei reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità.
Lo scioglimento del gruppo o della organizzazione c.d. “d’odio”, in base alla legge Mancino, presuppone l’ avvenuto accertamento del reato con sentenza irrevocabile. A seguito della sentenza il potere di scioglimento è esercitato con decreto dal Ministro dell’interno previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Rapporti di sussidiarietà fra le due leggi
La legge Mancino ha funzione sussidiaria rispetto alla Legge Scelba.
Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la Legge Mancino trova applicazione solo quando la Legge Scelba non sia applicabile per insussistenza, nel caso concreto, di elementi specializzanti rispetto a quelli previsti dalla norma sussidiaria. È il caso ad esempio in cui il giudice ritenga che la propaganda razzista non costituisca di per sé ricostituzione del disciolto partito fascista, (Cass. pen., Sez. I, 07/05/1999, n. 01475) oppure ancora di quei casi in cui “la condotta abbia una valenza meramente individuale, a prescindere dunque da una diffusione di sentimenti nostalgici del ventennio in grado di agire sulla coscienza di altri soggetti che possa creare il concreto pericolo della ricostituzione di un’organizzazione fascista – ove entra in questione anche il bene giuridico della personalità dello stato”.
Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione sono punite secondo la Legge Mancino le condotte individuali come quella di fare il saluto romano all’esterno dello stadio
(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25184 del 04/03/2009), o di sventolare durante l’evento calcistico un drappo tricolore recante nella parte bianca l’emblema del fascio littorio,(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37390 del 10/07/2007.
Anche recentemente la Corte di Cassazione penale si è pronunciata sul delitto c.d. di “esibizionismo razzista” (art. 2 comma 1 D.l. 122/93 convertito in L. 205/93 c.d. Legge Mancino), che punisce chiunque in pubbliche riunioni compie manifestazioni esteriori od ostenta emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni ‘razziste’ (di cui all’ art. 3 comma 2 L. 654/75 oggi art. 604 bis co 2 c.p.), cioè di quelle “organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (tra cui non vi è dubbio rientrino tutti i simboli del disciolto partito fascista o riferibili al nazismo ed al fascismo)” (Cass. pen 23 marzo 2019 n. 21409)
Il confine tra libertà di espressione e reati d’odio
Il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità in materia, ha stabilito che il principio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21Cost. “non ha valore assoluto, ma deve essere coordinato con altri valori costituzionali di pari rango” fra cui:
- il principio di cui all’art. 3 Cost., che consacra la pari dignità e la eguaglianza di tutte le persone senza discriminazioni di razza e in tal modo legittima ogni legge ordinaria che vieti e sanzioni anche penalmente, nel rispetto dei principi di tipicità e di offensività, la diffusione e la propaganda di teorie antirazziste, basate sulla superiorità di una razza e giustificatrici dell’odio e della discriminazione razziale.
- gli obblighi internazionali, di cui all’art. 117Cost. fra cui la Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale firmata aNew York il 7.3.1966, in forza della quale tutti gli Stati contraenti si impegnano a condannare ogni propaganda e ogni organizzazione che si ispiri a teorie basate sulla superiorità di una razza o di una etnia, o che giustifichino o incoraggino ogni forma di odio e di discriminazione razziale e devono dichiarare punibili dalla legge ogni diffusione e ogni organizzazione basate su siffatte teorie, tenendo conto, a tale scopo, dei principi formulati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 4 della Convenzione) (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37581 del 07/05/2008).
La sentenza che approva la chiusura dei profili Facebook del gruppo Forza Nuova
Una recentissima pronuncia del Tribunale di Roma, del 23 febbraio 2020, si è occupata del movimento politico Forza Nuova, dichiarando legittima la condotta del social network Facebook che aveva chiuso il profilo e le pagine di appartenenti a tale movimento politico perchè responsabili di incitare all’odio e alla discriminazione.
La decisione del Tribunale capitolino ricostruisce i principi internazionali, europei e nazionali in materia, e arriva a concludere che , in ottemperanza alle Condizioni generali e agli Standard della community, nonché al Codice di Condotta europeo ed alla normativa nazionale e sovranazionale in materia di limiti alla manifestazione del pensiero in ragione del divieto di discriminazione, Facebook avevanon solo il diritto ma addirittura il dovere di chiudere i predetti account. La sentenza romana, dopo aver compiuto l’esame del programma politico del partito, dei contenuti dei post pubblicati sui social, e dello statuto, arriva ad affermare che Forza Nuova sarebbe pienamente qualificabile come “organizzazione d’odio”, protagonista di iniziative discriminatorie in danno di rom, migranti e omosessuali e veri e propri “discorsi d’odio”. “Nel nostro sistema ordinamentale” si legge nella motivazione, “nessuna forza politica, pena la sua immediata chiusura e responsabilità penale, può esplicitamente rifarsi all’ideologia fascista, nazista al razzismo, alla xenofobia o, in generale, proclamare idee apertamente discriminatorie. Non a caso tra i punti programmatici enunciati nello Statuto di Forza Nuova, figura, espressamente al punto 7 la proposta di abrogazione della legge Scelba e della legge Mancino definite come “leggi liberticide” “espressioni normative di una cultura dominante che tirannicamente impedisce pensiero ed azione, volti alla difesa della nostra storia nonché del patrimonio culturale e religioso del nostro Paese”.