GIUSTIZIA, DA POTENZA STRIGLIATE AL MINISTRO NORDIO
Abuso d’ufficio e “Legge Bavaglio”: le critiche dal presidente vicario della Corte d’Appello Iannuzzi
Tra i disegni di legge inseriti nella Riforma Nordio, così chiamata dal nome del Ministro della Giustizia, «doveroso», come ha sottolineato il presidente vicario della Corte d’Appello di Potenza, Alberto Iannuzzi, nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024, «fare un accenno al disegno di legge che prevede l’abolizione dell’abuso d’ufficio». Nel ricordare che già l’intervento operato nel 2020 aveva ristretto l’ambito di operatività della norma, stabilendo che non fossero più penalmente rilevanti le condotte che costituiscono esercizio di un potere discrezionale, per Iannuzzi «non appaiono fondate le ragioni esplicitate a sostegno dell’abolizione del reato, riconducibili alla cosiddetta “paura della firma”, che tra l’altro, potrebbero essere invocate da tutti i pubblici ufficiali, non solo i sindaci, compresi i magistrati che firmano ogni anno decine di migliaia di sentenze e di provvedimenti amministrativi». «L’abolizione del delitto, oltre a far diventare l’Italia l’unico Paese, tra i 22 stati membri dell’Unione, a non avere tale fattispecie penale – è stato rimarcato -, creerebbe dei vuoti normativi preoccupanti, poiché lascerebbe impunite alcune condotte, per le quali non sussistono i presupposti per configurare altri reati più gravi contro la Pubblica Amministrazione». Contestato inoltre l’argomento volto a sostenere una presunta «inutilità della norma» che persegue penalmente l’abuso d’ufficio, poiché la diminuzione delle iscrizioni relative al reato, «è avvenuta proprio a causa delle modifiche normative che si sono succedute nel tempo ed al restringimento dell’area di incriminazione delle condotte abusive».
Affrontato anche il tema delle pagelle dei magistrati: «La credibilità, l’efficacia della giurisdizione e la professionalità dei giudici non si assicurano con le pagelle, ovvero introducendo misure inutilmente punitive, bensì, ed in primo luogo, mettendo ciascuno in condizione di lavorare serenamente, assumendo carichi di lavoro sostenibili».
Tra gli accenni critici, anche quello ad una iniziativa ministeriale, «nei giorni scorsi si è avuta notizia», finalizzata ad introdurre un nuovo sistema di incentivi per i magistrati che riescono a smaltire gli arretrati, al fine di accelerare i tempi del processo civile e smaltire gli arretrati, ma anche per sostenere gli uffici giudiziari meno efficienti: «Intervento urgente, che nasce dalla consapevolezza dell’impossibilità di rispettare la tabella di marcia concordata con l’Unione Europea, ma che, qualora si concretizzasse, finirebbe per accentuare la deriva produttivistica della giustizia, in particolare quella civile, innescando un meccanismo di premialità che avrebbe quale effetto collaterale quello di penalizzare la qualità dei provvedimenti giudiziari, in una corsa a “sfornare” quante più decisioni possibile, con il rischio di annullamento e di riforma della decisione nel grado successivo, che vanificherebbe la stessa celerità nella definizione dei processi».
Tra le stoccate, anche quella alla cosiddetta “Legge Bavaglio” per vietare la pubblicazione delle Ordinanze cautelari, integrali o per estratto, fino al termine dell’udienza preliminare. Il presidente vicario della Corte d’Appello di Potenza, Alberto Iannuzzi, ha stigmatizzato l’abuso politico «della formula “ce lo chiede l’Europa”», e richiamando il principio del diritto all’informazione consacrato nella Costituzione, ha menzionato le già esistenti specifiche disposizioni normative che «reprimono gli eccessi o gli abusi nelle esternazioni sui processi, tra cui quelle che prevedono l’illecito disciplinare per i magistrati». La “Legge Bavaglio”, in sintesi, «limita in maniera irragionevole il diritto di informare e di essere informati, che costituisce diritto inalienabile quando si tratta di attività giudiziaria, dal momento che essa, come ogni altra attività pubblica, deve assoggettarsi al controllo sociale in punto di correttezza, coerenza e affidabilità». «Se non fosse possibile riferire il contenuto delle ordinanze cautelari – è stato evidenziato nelle conclusioni -, l’alternativa per i giornalisti sarebbe trovare altre fonti, con il rischio di dare spazio a fonti informative che facilmente potranno risultare inquinate e condizionate dalla esigenza non solo di vedere riconosciuti i diritti dell’indagato, ma anche di vedere soddisfatti più agevolmente gli interessi di coloro che hanno maggiori disponibilità economiche, tra i quali certamente non possono essere annoverati i cittadini comuni».