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REGIONE E CONTRATTI FINANZIARI DERIVATI: ASSOLUZIONE CONFERMATA IN APPELLO

Chiesta la condanna dell’ex presidente De Filippo e dell’allora Giunta ad un risarcimento milionario: l’operazione, però, è stata legittima

Confermata anche in Appello, l’assoluzione già stabilita in primo grado dalla Corte dei Conti di Basilicata per il caso derivati lucani. La Procura contabile, chiamò in giudizio le società Ubs Europe S.E. e Dexia Crediop S.p.A., ora Dexia Credit Local S.A., Vito De Filippo Vito, in qualità di presidente della Regione Basilicata), e in qualità di componenti dell’allora Giunta regionale, Gaetano Fierro, Carlo Chiurazzi, Rocco Colangelo, Francesco Mollica e Giovanni Giovanni, nella qualità di componenti della Giunta regionale, nonché, in qualità di Dirigente generale del Dipartimento della Giunta e ed in qualità di dirigente competente per materia, rispettivamente Maria Teresa Lavieri e Maria Grazia Delleani. La richiesta della magistratura contabile, il risarcimento in favore della Regione Basilicata della somma complessiva di euro 48milioni e 777mila euro. Questa la somma individuata come corrispondente, secondo l’accusa, al danno cagionato alla Regione per via della sottoscrizione di contratti derivati della tipologia “Interest Rate Swap, avvenuta nell’anno 2006 e la cui esecuzione si era protratta fino al 2019. In sintesi, per il teorema accusatorio, i contratti erano «irrazionali ed inutili». Venne evidenziato anche il presunto ruolo determinante delle due società che, «muovendo dalla posizione di consulenti della Regione ed ingerendosi nell’esercizio di funzioni pubblicistiche», avevano pressoché integralmente sostituito l’apparato amministrativo regionale nella fase dell’istruttoria, «orientando in modo decisivo e preponderante la formazione del compendio di dati ed elementi di valutazione rispetto al quale si era poi formata la volontà dell’Ente, indirizzando quest’ultima verso l’adesione allo schema negoziale predisposto dalle stesse banche». A De Filippo ed ex assessori regionali, invece, la contestazione di «essersi completamente disinteressati di acquisire un minimale quadro informativo», facendosi meri prestatori di consensi, «in tutto fuorviati dalla prospettazione delle controparti-consulenti». Nel 2022, come accennato, la Corte dei Con- ti di Basilicata, dichiarando la carenza di giurisdizione nei confronti delle società, ha prosciolto tutti da ogni addebito. Anche per i giudici d’Appello, diversamente dal quadro delineato dalla Pro- cura che ha impugnato l’assoluzione, non c’è traccia del fatto che le due banche si siano sostituite alla Regione nell’attività di gestione del debito e nemmeno che ne abbiano orientato in modo determinante le decisioni, operando come suoi agenti. Stando agli atti formali sottoscritti dalle parti, l’Amministrazione regionale «risulta aver sempre mantenuto il potere di va- lutare autonomamente le proposte ricevute dai due advisors e di accettarle o meno»: il dettaglio, di conseguenza, porta ad escludere la sussistenza del rapporto di servizio. Esclusa l’ingerenza nella struttura organizzativa della Regione, con sostituzione all’Ente nelle scelte in questione. In relazione alla irrazionalità ed antigiuridicità dei contratti, in Appello confermato che ex ante non risultavano né irrazionali né anti-economici. Nel ripercorrere il contesto generale nel quale si è poi sviluppata la vicenda lucana, il Collegio giudicante ha ricordato come non è stato il sistema finanziario ad introdurre gli Enti locali e territoriali al mercato dei derivati, bensì il legislatore, il quale ha ritenuto opportuno prevedere espresse disposizioni normative che consentissero a detti enti di ricorrere a tali strumenti, «ritenendoli evidentemente, quanto meno per quella che era la situazione di mercato del tempo, un utile strumento per la gestione dell’indebitamento: e, nel farlo, il legislatore non ha previsto alcuna limitazione legata alla durata dello strumento finanziario». Non «stramba», inoltre, come definita dalla Procura, lo sdoppiamento dei nozionali nella copertura dell’operazione che prevedeva due diversi importi nozionali: uno su cui venivano parametrati i pagamenti a tasso variabile delle Banche ed un altro su cui venivano, invece, parametrati i pagamenti a tasso fisso della Regione. Gli obiettivi della Regione, però, non miravano a coprire l’Ente solo dal rischio tasso, ma anche da «quello derivante dall’erosione del capitale da destinare alla ricostruzione del terremoto, che si prospettava insufficiente sulla base della spesa già programmata». Operazione ex ante razionale poiché consentiva di sostituire un debito a tasso variabile di entità incerta e con ragionevoli prospettive di ulteriore crescita, con un debito a tasso fisso che «permetteva un’adeguata programmazione in bilancio del debito, ed inoltre assicurava alla Regione attraverso lo “swap di capitale” – di modesta entità, pari al 1,85% dell’importo complessivo, un extrafinanziamento necessario a completare gli interventi per il sisma già programmati». Stabilendo un tasso di interesse fisso, in luogo del tasso di interesse variabile originario, l’investitore, nel caso la Regione, sterilizza il rischio che il tasso superi una certa soglia di sostenibilità e può programmare i propri impegni di spesa con la certezza che la spesa per interessi non potrà mai oltrepassare la soglia prefissata. L’operazione lucana aveva una finalità composita, «consistente sia nella protezione contro il rischio del tasso di interesse e sia nell’assicurazione che la Regione disponesse della provvista necessaria per finanziare le opere di ricostruzione del terremoto». Alla luce della combinazione di tali due profili, la razionalità complessiva dell’operazione. Da una ulteriore comparazione, emerso anche che il tasso di interesse previsto dai contratti derivati risultava sostanzialmente allineato ai tassi di interesse di mercato esistenti alla data di stipula del contratto. Per questi ed altri motivi, il ricorso della Procura contabile contro la sentenza di assoluzione emessa nel 2022 dalla Corte dei Conti di Basilicata, dichiarato infondato e respinto.

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