MANCINO, CONDANNA DI NUOVO NULLA
Estorsioni con metodo mafioso, l’inchiesta di Basentini per la 2 volta non passa in Cassazione
Cassazione ed eventuali collegamenti con associazioni lucane per delinquere che gli inquirenti inquadrano come di tipo mafioso, ma la cui sussistenza, però, come in più occasioni invece stabilito dagli “ermellini”, è «tutt’altro che acclarata»: è accaduto di nuovo. La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, per la seconda volta, ha annullato con rinvio alla Corte di Appello di Salerno, la condanna inflitta a Franco Mancino, difeso dagli avvocati Massimo Maria Molinari e Basilio Pitasi. L’ordinanza è del 15 febbraio. Il caso, quello delle estorsioni asseritamente commesse ai danni di Marco Cerverizzo, Francesco Del Giglio e Giuliano Bonomo. La vicenda in questione ha avuto un lungo iter processuale. Per la contestata accusa in concorso di estorsione aggravata dal metodo mafioso, il Tribunale di Po- tenza con sentenza del luglio 2015 aveva in un primo momento condannato Mancino, unitamente a Carlo Troia che sta scontando la pena, a 13 anni di reclusione. La condanna è stata successivamente integralmente confermata dalla Corte di Appello del capoluogo. Contro questa sentenza, i difensori avevano proposto ricorso per Cassazione reiterando una eccezione di nullità del giudizio di primo grado già sollevata nei motivi di appello con cui si denunciava il fatto che la sentenza fosse stata pronunciata da un Collegio Giudicante diverso da quello che aveva istruito la causa senza che si fosse proceduto alla rinnovazione formale degli atti. Rinnovazione, a parere della difesa, necessaria nonostante si procedesse per reati aggravati dal metodo mafioso. La Corte di Cassazione ha accolto l’eccezione, annullando senza rinvio sia la sentenza di appello che quella di primo grado, trasmettendo gli atti al Tribunale di Potenza per nuovo giudizio. Mancino, in questo nuovo procedimento, ha richiesto il giudizio nelle forme del rito abbreviato ed è stato condannato dal Giudice dell’Udienza Preliminare alla pena, sensibilmente inferiore rispetto alla prima, di 6 anni di reclusione. Anche contro questa sentenza è stato interposto appello, invocandosi l’assoluzione dell’imputato. La Corte di Appello di Potenza con sentenza del maggio dell’anno scorso ha confermato la condanna. Gli avvocati difensori Basilio Pitasi e Massimo Maria Molinari, non soddisfatti, hanno proposto nuovo ricorso innanzi la Cassazione. Entrambi i difensori hanno severamente censurato la sentenza dei giudici di merito nella parte in cui avevano dato credito alle dichiarazioni delle parti offese nonostante le numerose discrasie contenute nelle loro dichiarazioni e nonostante l’interesse dalla medesime manifestato alla condanna dell’imputato dimostrato dal- la costituzione delle parti civili. L’avvocato Basilio Pitasi ha inoltre dedotto ulteriori due specifici motivi di censura. Il primo concerneva la circostanza che la sentenza aveva motivato solo in ordine ai motivi di appello proposti dall’avvocato Molinari, così omettendo motivazioni in relazione a quelli da lui stesso esposti. Per Pitasi, la circostanza rappresentava un grave vulnus ai principi dell’ordinamento giuridico, poichè previsto che, qualora l’imputato sia difeso da due difensori, il Giudice ha l’obbligo di confrontarsi con le argomentazioni di entrambi i difensori. Il secondo motivo di censura, concerneva la circostanza che del Collegio che aveva pronunciato la sentenza di condanna faceva parte anche il Giudice che aveva composto il collegio che aveva pronunciato la sentenza di condanna del primo procedimento poi annullato dalla Corte di Cassazione. Dettaglio questo, ritenuto in contrasto con i principi del nostro ordinamento e della Corte Europea, che ricordano che requisito essenziale della figura del Giudice è l’imparzialità che può venir meno se questi ha già pronunciato sentenza di condanna. Il ricorso dell’avvocato Massimo Maria Molinari ha puntato ad evidenziare una serie di reputati errori della Corte di Appello nella valutazione degli elementi di prova a disposizione dei Giudici che, a parere della difesa, non giustificavano né la con- danna per i reati contestati, né il trattamento sanzionatorio imposto al proprio assistito, contestando l’accusa di estorsione e la ricorrenza dell’aggravante del metodo mafioso. La Corte di Cassazione, dopo una Camera di Consiglio di qualche ora, ha accolto i rilievi degli avvocati Basilio Pitasi e Massimo Maria Molinari annullando la sentenza con rinvio per nuovo esame alla corte di Appello di Salerno.