VISVALDAS KULBOKAS TRACCIA UNO SCENARIO DEL PAESE DOPO 24 MESI DI CONFLITTO IN UCRAINA
Una guerra così feroce suscita incredulità tra la gente, perché non ci si riesce a capire come si possa iniziare una cosa del genere nel XXI secolo. Sull’aspetto spirituale insistono soprattutto i militari al fronte e i prigionieri di guerra: per loro la preghiera è quasi l’unico lumicino di speranza che hanno
È GIUSTO INFORMARE
#perfortunanonmioccupodipolitica
ma una cosa è certa adesso è necessario precisare che trattasi di guerra assurda di Putin con invasione della Ucraina
Ucraina, il nunzio: da due anni vediamo la morte in faccia ma continuiamo a sperare
Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
La paura continua e la fede cui aggrapparsi. La “grazia” di poter respirare ogni tanto e la stanchezza di stare sempre a maniche rimboccate e in ascolto di chi non “riesce a capire come si possa iniziare una cosa del genere nel XXI secolo”.
Contrasti abissali di due anni di guerra, muovendosi in un mondo crollato e con dentro la fatica, anche da vescovo, di non riuscire quasi a parlare con chi non condivide questo dramma, come vivessimo “in mondi diversi”.
Il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas, mette insieme con i media vaticani il mosaico di sentimenti, bisogni e dolore di un Paese che sopravvive da due anni nonostante lutti e distruzioni, dentro a un tunnel in cui, al momento, la luce della pace è invisibile.
A due anni dall’inizio dell’aggressione russa qual è la situazione reale dell’Ucraina?
Evidentemente, la situazione è di una grande sofferenza. Ci sono alcune migliaia di prigionieri, che vivono, anzi sopravvivono spesso in condizioni disumane, almeno a giudicare dai racconti da chi è tornato in patria. Ogni mattina comincio la mia preghiera in unione con loro e con i bambini separati dai loro genitori oppure dai tutori legali, perché so che stanno vivendo un inferno e, tranne rarissime eccezioni, non c’è alcun modo di aiutarli. C’è chi abita nelle regioni a ridosso della linea del fronte, perlopiù si tratta di gente anziana oppure povera, che non si azzarda oppure non ha la forza fisica di cercare fortuna altrove. In più, loro dipendono completamente dagli aiuti umanitari, compresa l’acqua e il pane. E c’è tutta una rete di sacerdoti, operatori della carità e volontari, che sono impegnati a creare una rete logistica di trasporto, a volte per migliaia di chilometri. Ci sono i milioni di ragazzi e ragazze di tutte le regioni orientali, Kharkiv, Dnipro, Poltava, Zaporizhia, Kherson, che non possono andare a scuola già dall’inizio della pandemia del Covid, cioè da quattro anni possono studiare al massimo online. In alcune città sono in costruzione scuole sotterranee, al riparo dai bombardamenti che sono frequenti. Ci sono poi i collaboratori locali della nostra Nunziatura apostolica a Kyiv, dei quali ogni giorno non posso mai sapere se riusciranno a venire al lavoro oppure meno, perché durante le frequentissime allerte per gli attacchi aerei rimangono bloccati per ore intere dove si trovano. Io stesso noto che faccio fatica a parlare a lungo con le persone che non hanno fatto la stessa esperienza: l’impressione è che viviamo in mondi diversi, dove le priorità sono completamente diverse. Per non parlare poi dei morti e dei mutilati di guerra, dei milioni di sfollati e di rifugiati.
Quali notizie ha di come si vive nelle zone dove infuria il conflitto, a Kyiv e nelle zone più occidentali del Paese?
Chi vive nelle città a ridosso del fronte, come Kherson, e anche Kharkiv, è abituato a guardare direttamente negli occhi alla morte. In questo senso, Kyiv è in una situazione più favorevole, perché gli attacchi di missili e droni non avvengono tutti i giorni e in più ha il “privilegio” di un sistema di protezione antiaerea più robusto. Avere un momento di riposo, anche a giorni alterni, è una grazia. Ma più vicino al fronte, la gente passa il minimo tempo indispensabile per strada, per andare in chiesa, ricevere i viveri e altre esigenze urgenti. A un sacerdote cattolico di Kherson ho chiesto alcuni giorni fa: “Che cosa ti manca di più?”. Mi ha risposto: “Mi manca avere almeno alcune ore di silenzio, per passeggiare con calma e per dormire”.
Che cosa la colpisce di più nei racconti di chi torna dal fronte?
Mi ha colpito più volte quanto alcuni militari mi hanno raccontato sulla vita di preghiera e sulla fede durante i momenti più infuriati sul fronte. Qui bisogna precisare chi sono i militari: militari ormai sono tutti, dal docente universitario allo specialista nelle nuove tecnologie, dall’artista teatrale all’imprenditore. Alcuni di loro dimostrano di avere una fede che sprona anche il sottoscritto. Più di una volta ho sentito una testimonianza di questo tipo: “Per tutto il tempo, sotto i bombardamenti, nella trincea o nelle azioni di contrattacco, stavo pregando continuamente e sentivo Gesù che stava al mio fianco. Pallottole e mine fischiavano ed esplodevano tutto intorno, ma io sono rimasto in vita”. Un’altra categoria di racconti che mi colpisce è quella degli ex-prigionieri, purché siano ancora psicologicamente in grado di comunicare con le persone. Qui mi asterrò dal raccontare le loro testimonianze, perché sono indicibili e perché ritengo sia meglio che le raccontino loro stessi, quando possono farlo.
Lei vede qualche spiraglio per una possibile soluzione diplomatica che ponga fine al conflitto in corso?
Sarei felice di sbagliare, ma oggi come oggi personalmente non intravedo spiragli. Ma con la grazia di Dio tutto può cambiare in un attimo, perciò la nostra fiducia nel Signore misericordioso, quando preghiamo, deve essere la più piena possibile. In ogni caso c’è da evidenziare che i tentativi più insistenti in questo ambito provengono da quella categoria di Paesi e di organizzazioni internazionali che non si identificano pienamente con nessuno degli schieramenti.
Che ruolo hanno svolto e svolgono le Chiese nel sostegno alla popolazione?
Il sostegno delle Chiese è estremamente importante dal punto di vista spirituale.
Una guerra così feroce suscita incredulità tra la gente, perché non ci si riesce a capire come si possa iniziare una cosa del genere nel XXI secolo. Sull’aspetto spirituale insistono soprattutto i militari al fronte e i prigionieri di guerra: per loro la preghiera è quasi l’unico lumicino di speranza che hanno.
C’è la necessità di ascoltare le persone, quando non riescono a capacitarsi come sia possibile che le Chiese e la Santa Sede in particolare non riescano a raggiungere i risultati sperati con le rispettive iniziative.
Molti sono convinti che “basterebbe una parola del Santo Padre” per risolvere le difficoltà. Dialogando con queste persone, si cerca di chiarire che non si possono mai avere certezze che certe iniziative umanitarie porteranno frutto immediato.
Un altro campo di azione delle Chiese evidentemente è quello degli aiuti umanitari e in questo ambito si prodigano sia le istituzioni della Santa Sede con l’elemosiniere pontificio e il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, sia le organizzazioni caritative internazionali, sia le Chiese locali, cattoliche e non cattoliche.
C’è poi l’ambito dell’infanzia: conosco numerose parrocchie che forniscono i propri rifugi antiaerei agli asili. Infine ci sono le Caritas, le Eparchie e le che danno assistenza medica e psicologica a famiglie e giovani.
A volte mi capita vedere alcuni vescovi distribuire aiuti e cibo in prima persona.
Non lo fanno per visibilità, ma semplicemente perché non ci sono braccia sufficienti per tutto.
Fino a quando?
Dopo due anni di guerra in Ucraina, di bombardamenti e sofferenze, ci si domanda cosa deve ancora accadere perché si fermi l’aggressione e ci si metta attorno a un tavolo per negoziare una pace giusta
Andrea Tornielli
Anche se le terribili notizie che in questi ultimi mesi sono arrivate dalla Terra Santa, e ora la morte del dissidente russo Navalny, hanno fatto passare in secondo piano le cronache di guerra dall’Ucraina, noi oggi vogliamo ricordare.
Lo stiamo facendo in questi giorni, dando voce ai testimoni, a chi non si arrende alla logica dell’odio, a chi continua a pregare e continua ad agire per alleviare le sofferenze di una popolazione schiantata da ventiquattro mesi di bombardamenti.
Lo abbiamo fatto facendo parlare i numeri, perché la cruda realtà su quanto sta accadendo, spesso ormai lontano dai riflettori, descrive l’assurda disumanità di questa guerra.
Decine di migliaia di vite umane vengono sacrificate per conquistare pochi chilometri di territorio, decine di migliaia di uomini giovani e meno giovani sono feriti o mutilati, intere città ucraine sono state rase al suolo, milioni di sfollati vivono all’estero, migliaia di mine sono destinate a insidiare la vita futura della popolazione innocente…
Che cosa deve ancora accadere perché si fermi l’aggressione e ci si metta attorno a un tavolo per negoziare una pace giusta?
Gli innumerevoli appelli di Papa Francesco per richiamare l’attenzione sulla “martoriata Ucraina” sono stati lasciati cadere nel vuoto.
La guerra e la violenza sembrano diventate la via per risolvere le contese. La corsa al riarmo in vista di guerre future è ormai un dato di fatto, accettato anche questo come ineluttabile. I soldi che non si trovano mai per costruire asili e scuole, per finanziare una sanità che funzioni, per combattere la fame o per favorire la transizione ecologica avendo a cuore la salvaguardia del nostro pianeta, sono sempre disponibili quando si tratta di armamenti.
La diplomazia appare muta di fronte alle sirene belligeranti.
Parole quali pace, trattativa, tregua, dialogo, sono guardate con sospetto. L’Europa si è sentita ben poco, al di là del solitario protagonismo dei singoli leader.
Mai come in questo momento c’è bisogno di non cedere alla logica della guerra. C’è bisogno di continuare ad invocare da Dio il dono della pace, come instancabilmente continua a fare il Successore di Pietro, sapendo scorgere le braci della speranza che covano sotto la coltre sempre più spessa della cenere dell’odio.
C’è bisogno di nuove leadership profetiche, creative e libere, capaci di osare, di scommettere sulla pace, e di farsi carico del futuro dell’umanità.
C’è bisogno dell’impegno responsabile di tutti nel far sentire con forza e determinazione la voce di chi non si arrende alla logica “cainista” dei “signori della guerra” che rischia di portarci verso l’autodistruzione.
#sapevatelo2024