CONTROLLO DELLA FAUNA SELVATICA CONFIDENTE PRESENTE IN AREA URBANA
Il controllo delle specie di fauna selvatica, una competenza propria delle Regioni e delle Province Autonome, acquisisce nuove finalità di tutela che non erano contemplate dalla Legge 157/1992
È GIUSTO INFORMARE
Perché gli animali selvatici nelle città possono essere un problema?
Che cosa si intende per fauna selvatica?
Dal punto di vista sanitario per fauna selvatica si intendono tutte le “popolazioni animali a vita libera”, con particolare riferimento a mammiferi e uccelli
Chi paga i danni della fauna selvatica?
CONTROLLO DELLA FAUNA SELVATICA CONFIDENTE PRESENTE IN AREA URBANA
È di tutti i giorni apprendere notizie dai mass media della presenza importante di animali selvatici in area urbana, sia nei piccoli centri che nelle grandi città.
Ciò desta paura nella stragrande parte della popolazione che si vede costretta a non uscire di casa oppure a subire in maniera passiva la presenza di branchi di cinghiali che scorrazzano lungo le vie cittadine e/o nei giardini privati alla ricerca di cibo.
In realtà i selvatici ed in particolare i cinghiali sono dotati di grande intelligenza e hanno un’ottima cognizione dello spazio e dei luoghi dove possono procacciare il cibo e sentirsi in zona di non paura
Altro elemento importante è la loro dieta che varia in quanto trattasi di specie onnivora per cui non disdegna di gironzolare sui cassonetti dell’immondizia e, di reperire facili spazi per i il rifugio in quanto in molte aree urbane si trovano ampi spazi verdi lasciati all’incuria più totale, dove specie arbustive forestali invasive hanno praticamente occupato intere superfici
Lo Stato centrale è intervenuto nella materia, con la L.N. n. 197 del 29/1272022, modificando alcuni articoli della legge quadro in materia e più precisamente l’art. 19 della L.N.157/1992 e s.m.i.;
Lo stesso Ministero in itinere ha diramato una circolare esplicativa la n.1 /2023 interpretativa delle modifiche introdotte dall’art. 1 c. 447 della legge 29 dicembre 2022 n. 197 agli art. 19 e 19 ter della legge 157/1992 recante Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio che chiarisce in maniera semplice le finalità della modifica intervenuta, individuando i relativi compiti dei vari soggetti istituzionali richiamati.
L’art. 19, comma 3, come novellato dalla legge di bilancio, assegna agli agenti della polizia regionale e provinciale un ruolo centrale nell’attuazione dei piani regionali.
La conclusione deriva dalla lettera della norma (e in particolare, dal secondo periodo del comma 3, ove è detto che
“Le autorità di coordinamento dei piani possono avvalersi dei proprietari o dei conduttori dei fondi”
lasciando intendere che, qualora non si avvalgano di altri soggetti, gli agenti procedano direttamente all’attuazione dei piani) nonché , dalla ratio stessa dell’intervento normativo, di ampliare i soggetti chiamati ad operare a tutela/controllo della fauna selvatica:
non sarebbe in linea con la logica dell’intervento normativo limitare ad una attività di coordinamento il ruolo della polizia provinciale e regionale
Qualora, né gli uni né gli altri siano stati istituiti, potranno essere chiamati a svolgere l’attività di coordinamento operativo delle attività di controllo e vigilanza i carabinieri del Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari (CUFAA), attraverso i propri reparti territoriali.
Questi ultimi, peraltro, potranno svolgere le azioni di coordinamento anche in sostituzione degli agenti provinciali e regionali nelle province ove vi si riscontra carenza degli uni e degli altri, utilmente interfacciandosi con i servizi regionali – provinciali ai quali spetta la gestione pianificatoria delle attività di controllo.
Da questa base normativa i comuni piccoli e grandi non dovrebbero fare altro che pretendere l’applicazione della norma e chiedere ai soggetti istituzionalmente deputati ad intervenire per risolvere le varie criticità e mettere il libero cittadino nelle condizioni di vivere la propria comunità nella massima sicurezza, sapendo che ognuno in particolare quando si rivestono ruoli pubblici, di essere al servizio di una comunità e non trovare facili escamotage in forme di pura burocrazia, pur di non fare nulla scaricando ad altri le competenze
CAFFARO Sandrino
Controllo e contenimento della fauna selvatica
Il controllo e il contenimento della fauna selvatica trovano il proprio riferimento normativo nella L. n. 157 del 1992, e successive modifiche
La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale (articolo 1, comma 1).
L’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole (articolo 1, comma 2). Fanno parte della fauna selvatica da tutelare le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale (articolo 2, comma 1).
Esistono differenti gradi di protezione della fauna selvatica: in alcuni casi come il lupo (canis lupus) e l’orso (ursus arctos) l’art. 2, domma 1, lett.a) fa riferimento a specie animali “particolarmente protette” – che ricevono una tutela anche a livello sovranazionale – vietandone la cattura, e assoggettando l’eventuale abbattimento o detenzione a sanzioni penali. In altre ipotesi la tutela della specie selvatica è limitata: è il caso dell’art. 18 che individua le specie “cacciabili” in determinati periodi: in tale categoria rientra il cinghiale (sus scrofa). Nelle residue ipotesi si tratta di specie animali non cacciabili ma che non godono di una particolare protezione sul piano giuridico.
Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentito il parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica o, se istituiti, degli istituti regionali, possono, sulla base di adeguati piani di abbattimento selettivi, distinti per sesso e classi di età, possono regolamentare il prelievo di selezione degli ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al di fuori dei periodi e degli orari di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157.(articolo 11-quaterdecies, comma 5, D.L. n.203/2005).
Le recenti modifiche
Tra le più recenti modificazioni si segnalano quelle apportate dalla legge di bilancio 2023 (articolo 1, commi 447-449, L. n. 197/2022), che ha interamente sostituito l’articolo 19 (Controllo della fauna selvatica) e che ha aggiunto l’articolo 19-ter (Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica).
Inoltre, ultriori modifiche hanno riguardato:
l’articolo 18 in materia di specie cacciabili e periodi di attività venatoria (articolo 11-bis, D.L. n. 104/2023);
l’articolo 31 in materia di sanzioni amministrative: chiunque, nell’esercizio dell’attività di tiro, nel tempo e nel percorso necessario a recarvisi o a rientrare dopo aver svolto tale attività, detiene munizioni contenenti una concentrazione di piombo, espressa in metallo, uguale o superiore all’1 per cento in peso, all’interno di una zona umida o entro 100 metri dalla stessa, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20 a euro 300 (articolo 11-ter, D.L. n. 104/2023).
Infine è stato previsto anche che:
i Corpi forestali della regione Friuli Venezia Giulia e delle province autonome di Trento e di Bolzano possono dotare il proprio personale di nebulizzatori a base di capsaicina. Tali strumenti possono essere portati senza licenza durante il servizio e non possono essere impiegati sull’uomo (articolo 17-bis, comma 2, D.L. 44/2023);
con riguardo alla tutela dell’orso marsicano, chi li abbatte, cattura o detiene è sottoposto ad una sanzione penale (articolo 6-bis, D.L. n. 105/2023).
Le procedure di infrazione in materia di caccia e prevenzione delle catture accessorie di specie e uccelli marini – A cura del Servizio RUE
Il 7 febbraio la Commissione europea ha inviato all’Italia due lettere di costituzione in mora avviando altrettante procedure di infrazione relative ad alcune disposizioni italiane in materia di caccia e all’attuazione della normativa europea volta a limitare le catture accessorie di uccelli e specie marine.
Con la prima procedura d’infrazione (2023_2187) la Commissione europea contesta il mancato rispetto della direttiva Uccelli e del regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche(cosiddetto regolamento REACH), modificato.
La direttiva Uccelli è volta a proteggere tutte le specie di uccelli selvatici naturalmente presenti nell’UE e i loro habitat. Il regolamento REACH vieta l’uso di munizioni contenenti piombo (in una concentrazione superiore all’1% di peso) all’interno o in prossimità di zone umide al fine di proteggere gli uccelli acquatici, l’ambiente e la salute umana.
Ad avviso della Commissione europea alcuni atti legislativi italiani non sono conformi a tale normativa dell’UE. In particolare, contrasterebbe con la direttiva Uccelli il conferimento alle regioni, da parte della legislazione italiana, del potere di autorizzare l’uccisione o la cattura di specie di fauna selvatica anche in aree in cui la caccia è vietata, come le aree protette, e in periodi dell’anno in cui la caccia è vietata.
La Commissione europea ritiene inoltre la legislazione italiana non conforme alle disposizioni del regolamento REACH modificato ed in particolare al divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide.
L’Italia dispone di 2 mesi dall’invio della lettera di costituzione in mora per rispondere alla Commissione che, se non dovesse ritenere soddisfacente tale risposta, potrà decidere di emettere un parere motivato.
Con la seconda procedura d’infrazione (2023_2181) la Commissione contesta la mancata attuazione delle misure della direttiva Habitat volte a monitorare e ad evitare le catture accessorie di cetacei, tartarughe e uccelli marini da parte dei pescherecci. Oltre alla richiamata direttiva, la tutela della biodiversità è inclusa tra i principali obiettivi ambientali dal Green Deal europeo e dalla strategia sulla biodiversità per il 2030.
Secondo la Commissione europea l’Italia non avrebbe istituito un sistema di monitoraggio delle catture e uccisioni accidentali di specie protette; non avrebbe svolto ricerche né adottato misure di conservazione per evitare un impatto negativo significativo sulla popolazione delle specie protette delle catture e uccisioni accidentali, né misure per evitare perturbazioni di diverse specie marine e di uccelli marini nei siti Natura 2000 designati per la loro conservazione. Infine, l’Italia non avrebbe monitorato lo stato di conservazione di diverse specie protette.
Anche in questo caso l’Italia dispone di 2 mesi per rispondere alla Commissione che, se non soddisfatta da tale risposta, potrà decidere di emettere un parere motivato.
Il Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale
Il Comitato (CTFVN) è composto da tre rappresentanti nominati dal Ministro dell’agricoltura e delle foreste (ora MASAF), da tre rappresentanti nominati dal Ministro dell’ambiente(ora Ambiente ed Energia), da tre rappresentanti delle regioni nominati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da tre rappresentanti delle province nominati dall’Unione delle province d’Italia, dal direttore dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, da un rappresentante per ogni associazione venatoria nazionale riconosciuta, da tre rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, da quattro rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l’ambiente, da un rappresentante dell’Unione zoologica italiana, da un rappresentante dell’Ente nazionale per la cinofilia italiana, da un rappresentante del Consiglio internazionale della caccia e della conservazione della selvaggina, da un rappresentante dell’Ente nazionale per la protezione degli animali, da un rappresentante del Club alpino italiano (articolo 8).
In risposta all’interogazione 5-00475, in merito all’istituzione del Comitato tecnico faunistico venatorio nazionale il Governo ha risposto che è in corso di adozione il decreto con il quale si procederà alla ricostituzione.
IL CINGHIALE (SUS SCROFA)
Esercizio venatorio
Come sopra premesso l’esercizio dell’attività venatoria è sottoposto a limiti di natura temporale, territoriale, di specie cacciabile e di mezzi da utilizzare.
Con riferimento alla specie sus scrofa (cinghiale), ai fini dell’esercizio venatorio ne è consentito l’abbattimento nel periodo compreso tra il 1° ottobre e il 31 dicembre o dal 1° novembre al 31 gennaio [articolo 18, comma 1, lettera d)].
Il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce zona faunistica a sè stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni (articolo 10, comma 3).
Le regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali (articolo 14, comma 1).
L’attività venatoria è consentita con l’uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40. I caricatori dei fucili ad anima rigata a ripetizione semiautomatica non possono contenere più di due cartucce durante l’esercizio dell’attività venatoria e possono contenere fino a cinque cartucce limitatamente all’esercizio della caccia al cinghiale (articolo 13, comma 1).
Piani di controllo
Per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali e per altre motivazioni (biodiversità, gestione del patrimonio zootecnico, tutela del suolo, motivi sanitari, selezione biologica, tutela del patrimonio storico-artistico, tutela pubblica incolumità e sicurezza stradale) il cinghiale (Sus scrofa) può essere sottoposto a piani di controllo predisposti dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano. Tale controllo può intervenire anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. Qualora tali misure si rilevano inefficaci le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono autorizzare, sentito l’ISPRA, piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura. Tali attività non costituiscono attività venatoria (articolo 19, comma 2).
Si segnala che le novità introdotte dal nuovo comma 2 dell’articolo 19 in estrema sintesi sono che anche le province autonome di Trento e Bolzano predispongono i piani di controllo e che il controllo della fauna selvatica è ammesso anche:
per la tutela della biodiversita, della pubblica incolumita’ e della sicurezza stradale;
nelle aree protette e in quelle urbane;
nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto.
Il personale autorizzato all’abbattimento
Gli attuatori del piano sono:
cacciatori iscritti negli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini delle aree interessate, previa frequenza di corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti a livello regionale o della provincia autonoma e sono coordinati dagli agenti dei corpi di polizia regionale o provinciale;
proprietari o conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio e previa frequenza dei corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti;
guardie venatorie, agenti dei corpi di polizia locale, con l’eventuale supporto, in termini tecnici e di coordinamento, del personale del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma dei carabinieri (articolo 19, comma 3).
Con riferimento ai soggetti abilitati a partecipare ai piani di contenimento della fauna selvatica la Corte Costituzionale è più volte intervenuta. Di recente, con la sentenza n. 21 del 2021, la stessa Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dal TAR Toscana in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. – di una disposizione contenuta nella legge reg. Toscana n. 3 del 1994, secondo cui per interventi di tutela della produzione agricola e zootecnica, compresi i piani di abbattimento, la Regione può affiancare al proprio personale anche soggetti che abbiano frequentato appositi corsi di preparazione organizzati dalla Regione stessa sulla base di programmi concordati con l’ISPRA. La norma censurata integrando l’elenco di cui all’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ha quindi incrementato lo standard di tutela ambientale fissato dalla disposizione statale.
Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica
La legge di bilancio 2023 ha aggiunto l’articolo 19-ter in materia di Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica. Esso costituisce lo strumento programmatico, di coordinamento e di attuazione dell’attività di gestione e contenimento numerico della presenza della fauna selvatica nel territorio nazionale mediante abbattimento e cattura ed è di durata quinquennale.
La sua adozione avviene entro 120 giorni dalla entrata in vigore della legge di bilancio 2023 con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, sentito, per quanto di competenza, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. L’attuazione del piano è demandato alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano. Tale Piano è stato approvato con decreto 13 giugno 2023.
Tra il personale autorizzato all’abbattimento sono ricompresi:
cacciatori iscritti negli ambiti venatori di caccia o nei comprensori alpini;
guardie venatorie;
agenti dei corpi di polizia locale e provinciale muniti di licenza per l’esercizio venatorio;
proprietari o conduttori dei fondi nei quali il piano trova attuazione, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio.
Per l’esercizio di questa attività è previsto l’eventuale supporto tecnico del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma dei carabinieri.
Risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria
Il Piano faunistico-venatorio, redatto dalle province e di durata quinquennale (articolo 10, comma 7), stabilisce i criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi vincolati per gli scopi di cui alle lettere a), b) e c) (oasi di protezione, zone di ripopolamento e cattura, centri pubblici di riproduzione).
Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività venatoria, è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi derivanti dalle tasse di concessione regionale di cui all’art. 23 (articolo 26, comma 1).
In materia di risarcimento dei danni provocati dai cinghiali la Corte di Cassazione con una recente ordinanza n. 27931 del 2022, conformemente ad altre prcedenti pronuncie, ha riconosciuto che i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A ai sensi dell’art. 2052 c.c. sulla base del principio che le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema. Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica.
Con riferimento ai danni provocati dai cinghiali all’agricoltura, si ricorda una recente sentenza del Tar Liguria del 16 agosto 2022 che ha accolto il ricorso di un agricoltore avverso il diniego della struttura regionale preposta alla pianificazione degli indirizzi gestionali per lo svolgimento dell’attività venatorie (Ambito territoriale di caccia) della regione Liguria riconoscendo sostanzialmente che un agricoltore possa legittimamente difendere le proprie coltivazioni esercitando l’attività venatoria laddove sussitano situazioni di estrema gravità tali da porre in pericolo l’attività agricola e condizioni di urgenza tali da non consentire dilazioni temporali.
Misure per il contenimento della peste suina africana (PSA)
A partire dal 7 gennaio 2022 in Italia è stata accertata la presenza della (PSA) nelle popolazioni di cinghiali nei territori delle regioni Piemonte e Liguria, quindi al fine della salvaguardia della sanità animale, della tutela del patrimonio suino nazionale e dell’Unione europea e, non da ultimo, delle esportazioni e quindi del sistema produttivo nazionale e della relativa filiera sono state approvate alcune misure urgenti finalizzate all’eradicazione dalla malattia nei cinghiali e per prevenirne l’introduzione nei suini da allevamento (D.L. n. 9/2022). Per ulteriori approfondimenti si veda il relativo focus.
IL LUPO (CANIS LUPUS)
Il lupo (o più propriamente canis lupus) è una specie animale che riceve una particolare protezione da parte Convenzioni internazionali, dalla normativa europea, nonché dalle disposizioni di rango nazionale. Per inquadrare le dimensioni del fenomeno, giova ricordare che l’Italia, secondo quanto riportato da uno studio recentemente aggiornato “Sull’attuale stato di conservazione del lupo in Europa e in Italia” svolto dalla Commissione Species Survival dello IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura), ospita una considerevole popolazione di canis lupus stimabile (dato del 2021) in circa 3.300 esemplari.
L’ambito internazionale
A livello internazionale, il canis lupus e’ protetto anzitutto dalla Convenzione di Berna “Convenzione sulla conservazione della fauna selvatica e degli habitat naturali europei” siglata nel 1979 alla quale aderiscono 49 Paesi e, dal 2011, anche l’Unione Europea e ratificata dall’Italia con legge. n. 503/1981. Essa ha come obiettivi la conservazione della flora e della fauna selvatica e degli habitat naturali nonchè la promozione della cooperazione tra gli Stati. La Convenzione si compone di IV Allegati: l’Allegato I include le “specie vegetali strettamente protette”, l’Allegato II riguarda le “specie animali strettamente protette” (tra queste si annovera il lupo e si prevede a sua tutela una speciale protezione per questa specie animale proibendosi, in particolare, la cattura, l’uccisione, la detenzione e il commercio), l’Allegato III riguarda le “specie animali protette”, mentre l’Allegato IV si riferisce agli “strumenti e ai metodi di uccisione cattura o altro tipo di sfruttamento vietati”.
Si ricorda, in proposito, che il Comitato permanente della Convenzione di Berna, riunitosi lo scorso 22 dicembre a Strasburgo, ha respinto a maggioranza la proposta – avanzata dal Dipartimento federale dell’Ambiente della Svizzera – di declassare il canis lupus da “specie strettamente protetta” a “specie protetta”. Il suddetto declassamento, se accolto, avrebbe comportato lo spostamento di tale specie dall’Allegato II all’Allegato III e ad un conseguente allentamento della sua protezione.
A livello internazionale, rileva anche la Convenzione di Washington sul “Commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione”(CITES) siglata nel 1973 da diversi Stati e ratificata in Italia con la legge n. 874 del 1975. Il canis lupus è inserito nell’Appendice II della richiamata Convenzione che vieta l’acquisto, l’offerta di acquisto, l’esposizione a fini commerciali, l’uso a scopo di lucro, l’alienazione, nonché la detenzione, l’offerta o il trasporto di esemplari della specie. Il Regolamento CEE di applicazione della CITES (Reg. 338/1997 del 9 dicembre 1996) include il canis lupus nell’Allegato A, che vieta il commercio e la detenzione delle specie inserite.
L’ambito eurounitario
Nell’ambito eurounitario è di particolare interesse la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (Direttiva habitat) che, oltre a imporre la conservazione di determinati ambienti ed ecosistemi, reca un elenco di specie particolarmente protette. Il canis lupus è ricompreso sia nell’Allegato II (tra le specie prioritarie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione) sia nell’Allegato IV (tra le specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa).
In relazione alle specie di cui all’Allegato IV, gli Stati membri, ai sensi dell’art. 12 della richiamata Direttiva sono tenuti ad adottare i provvedimenti necessari ad istituire un regime di “rigorosa tutela” nella propria area di ripartizione naturale che comprende, tra l’altro, anche il divieto di qualsiasi forma di cattura o uccisione. Al suddetto regime di tutela sono previste le deroghe descritte dall’art. 16 della stessa Direttiva che operano soltanto nelle ipotesi in cui non ci sia altra soluzione valida e sempre che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno “stato di conservazione soddisfacente”, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale e, in ogni caso, al fine di tutelare uno degli interessi elencati.
Lo stato di conservazione di una specie è considerato soddisfacente quando:1) i dati relativi all’andamento delle popolazioni della specie in causa indicano che tale specie continua e può continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene; 2) l’area di ripartizione naturale di tale specie non è in declino; 3) esiste e continuerà ad esistere un habitat sufficiente affinchè le sue popolazioni si mantengano a lungo termine (art. 1, lett. e) Direttiva habitat).
L’interpretazione dei sopra citati art. 12 e 16 della direttiva habitat ed, in particolare, della nozione di stato di conservazione soddisfacente sono stati oggetto della sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. II, del 10 ottobre 2019 che ha riconosciuto il carattere “eccezionale” del potere di abbattimento del canis lupus nell’ambito di una controversia insorta tra la Commissione europea e la Finlandia. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto, in contrasto con la direttiva habitat la prassi amministrativa finlandese di autorizzare, in via preventiva, la possibilità di cacciare alcuni esemplari senza previa verifica dello stato di conservazione della specie e senza fornire precise motivazioni in ordine alla possibilità di adottare soluzione alternative. Più in generale, la Corte ha riconosciuto che affinchè la deroga al regime di massima protezione sia legittima devono essere rispettati i seguenti criteri: analisi puntuale della popolazione faunistica interessata, valutazione delle misure alternative, dimostrazione della necessarietà ed efficacia della soluzione adottata, valutazione preventiva degli effetti della cattura/abbattimento sulla dinamiche della stessa specie faunistica interessata.
Di recente è intervenuta la Comunicazione della Commissione 2021/C 496/01, “Documento di orientamento sulla rigorosa tutela delle specie anim ali di interesse comunitario ai sensi della direttiva Habitat” che oltre a chiarire i vincoli discendenti dalla direttiva, contiene un approfondimento proprio sulla gestione della popolazione dei lupi nei diversi Stati europei.
L’ambito nazionale
Il quadro normativo interno in materia di tutela del canis lupus coerentemente con quello sovranazionale, prevede, un peculiare sistema di protezione del lupo dando priorità alla conservazione della suddetta specie animale come “popolazione” rispetto alla tutela dei singoli individui. Tale sistema di protezione si completa con la previsione di specifiche deroghe che richiedono il coinvolgimento dell’amministrazione statale. Il legislatore italiano riconosce la fauna selvatica come patrimonio faunistico dello Stato e demanda alle Regioni e alle Province autonome una larga parte delle competenze in materia di monitoraggio, gestione e riqualificazione faunistica, repressione degli illeciti, realizzazione di piani di controllo. In proposito, la legge n. 157 del 1992 recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” stabilisce, art. 1 , che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale. L’art. 2 indica il canis lupus tra le specie di mammiferi particolarmente protette anche sotto il profilo sanzionatorio.
Si ricorda in proposito che l’art. 1, comma 447, della legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio 2023) ha modificato la disciplina vigente in materia di controllo e contenimento della fauna selvatica, di cui all’articolo 19 dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157.
Il D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche”, successivamente modificato ed integrato dal D.P.R. n. 120 del 2003, ha dato attuazione alla sopra ricordata direttiva habitat ed ha inserito il canis lupus nell’Allegato D tra le specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa. L’art. 8 del suddetto DPR recante disposizioni in materia di tutela delle specie faunistiche stabilisce specifici divieti a tutela del canis lupus riguardanti: a) la cattura o l’uccisione di tali esemplari di tali specie nell’ambiente naturale; b) il disturbo di tali specie animale, in particolare durante tutte le fasi del ciclo riproduttivo o durante l’ibernazione, lo svernamento e la migrazione; c) il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari prelevati dall’ambiente naturale.
La stessa disposizione, ai successivi commi 4 e 5, attribuisce alle Regioni e alle Province autonome il compito di effettuare un sistema di monitoraggio continuo delle catture o delle uccisioni accidentali del canis lupus e delle altre specie faunistiche elencate nell’allegato D, lettera a), al fine di trasmettere un rapporto annuale al Ministero dell’ambiente. In base alle informazioni raccolte il Ministero dell’ambiente promuove ricerche ed indica le misure di conservazione necessarie per assicurare che le catture o uccisioni accidentali non abbiano un significativo impatto negativo sulle specie in questione.
L’art. 11 del sopra citato DPR n. 357 del 1997 disciplina le deroghe al regime di protezione del canis lupus. Secondo tale disposizione il Ministero dell’ambiente, sentiti il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e l’ISPRA (Istituto nazionale per la fauna selvatica), può autorizzare le deroghe al sistema di protezione sopra indicato “a condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di distribuzione naturale, per le seguenti finalità:
a) per proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali;
b) per prevenire danni gravi, specificatamente alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico, alle acque ed alla proprietà;
c) nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, o tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente;
d) per finalità didattiche e di ricerca, di ripopolamento e di reintroduzione di tali specie e per operazioni necessarie a tal fine, compresa la riproduzione artificiale delle piante
e) per consentire, in condizioni rigorosamente controllate, su base selettiva e in misura limitata, la cattura o la detenzione di un numero limitato di taluni esemplari delle specie di cui all’allegato D.
Il Ministero dell’ambiente, ai sensi del comma 3 dello stesso art. 11, è tenuto a trasmettere alla Commissione europea, ogni due anni, una relazione sulle deroghe concesse, che dovrà indicare le specie alle quali si applicano le deroghe e il motivo della deroga, compresa la natura del rischio, con l’indicazione eventuale delle soluzioni alternative.
Con riferimento a tale disposizione si ricorda che la Corte Costituzionale con sentenza n. 215 del 2019 ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti delle leggi n. 9 del 2018 e n. 11 del 2018 delle Province autonome di Trento e Bolzano che prevedono la possibilità per il Presidente della Provincia, previo parere dell’Ispra, di autorizzare il prelievo, la cattura o l’uccisione di esemplari di lupi ( e orsi) in presenza delle stesse condizioni indicate dall’art. 11 del DPR sopra richiamato ossia l’inesistenza di valida soluzioni alternative e il mantenimento dello stato di conservazione soddisfacente della specie interessata.
L’art. 12 dello stesso D.P.R richiede il rilascio di specifiche autorizzazioni da parte del Ministero dell’Ambiente anche nelle ipotesi di immissioni in natura.
Ulteriori disposizioni in materia di fauna selvatica riguardano la previsione di fondi regionali destinati alla prevenzione e ai risarcimenti dei danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e ai pascolo dalla fauna selvatica (art. 26 della legge sopra citata n. 157 del 1992) lo svolgimento di funzioni di controllo sulla fauna selvatica da parte di Regioni e Province autonome (art. 19 e ss. della legge n. 157 del 1992 sopra citato); l’attribuzione agli Ente Parco nazionali della competenza a provvedere alla conservazione e alla gestione della fauna e, in particolare, ad indennizzare i danni causati dalla fauna del Parco (art. 15, comma 3, della legge 394 del 1991 “Legge quadro sulle aree protette”).
La questione delle deroghe al sistema di protezione del canis lupus e al conflitto tra la sua presenza sul territorio e lo svolgimento di attività antropiche è affrontato nel “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” del 2019 redatto dal Ministero dell’ambiente e della Sicurezza Energetica con la collaborazione delle Regioni, delle Province autonome e dell’ISPRA. Obiettivo del richiamato piano è quello di guidare la gestione e la conservazione del lupo in Italia attraverso il coordinamento delle azioni da intraprendere ai diversi livelli istituzionali (unionale, nazionale e regionale) e di individuare soluzioni e misure volte a minimizzare l’impatto della specie sulle attività umane.
In tale studio si è evidenziato che i danni arrecati del canis lupus hanno essenzialmente ad oggetto le attività zootecniche e che tali danni, monitorati dalle Regioni, sono considerevolmente differenti nelle diverse zone del Paese in relazione a svariati fattori quali la densità e la specie degli animali allevati, i sistemi di custodia del bestiame e la diversità degli stessi sistemi di monitoraggio, che non risultano essere uniformati su scala nazionale. Nel suddetto documento si fa presente anche che nonostante i danni economici causati dal lupo sono, in assoluto, notevolmente inferiori a quelli causati da altre specie selvatiche come il cinghiale, essi tendono a concentrarsi localmente e ad aumentare in assenza di predisposizione di efficaci misure di contrasto, arrecando agli allevatori perdite di bestiame talvolta molto consistenti.
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