ADDIO A LELLO MECCA, LA SUA POTENZA PIANGE UN UOMO DI CULTURA ED IMPEGNO SOCIALE
La camera ardente è stata allestita nella Cappella adiacente l’obitorio dell’Ospedale “San Carlo” di Potenza
È GIUSTO INFORMARE
#ciaolello LELLO MECCA
Prof. Raffaello Mecca Professore Preside Sindaco ed amico di TUTTI
Ave atque vale, sit tibi terra levis
IL COMUNICATO DI PEPPINO MOLINARI :
C’é una bruttissima e tristissima notizia. È andato in cielo dove , per la vita trascorsa in terra, troverá posto tra i giusti l’amico Lello Mecca. Ora è l’ora del pianto poi ricorderemo il suo impegno religioso, sociale, professionale e politico. Buon viaggio Lello. Condoglianze alla moglie, al fratello, alla famiglia.
Aveva 82 anni
Si è spento nella sua città di cui è stato Sindaco e amministratore a vari livelli.
Stimato professore di Storia e Filosofia è stato Preside del Liceo classico “Quinto Orazio Flacco” per 19 anni.
Lutto nel mondo della cultura e della politica lucane
Si è spento a 82 anni Lello Mecca, per 19 anni preside del Liceo Classico “Quinto Orazio Flacco” di Potenza, professore di filosofia e storico.
Una lunga carriera votata anche all’impegno pubblico.
Fu Sindaco democristiano di Potenza dal 1975 al 1980.
Era stato precedentemente assessore alla pubblica istruzione.
Negli anni ’80: Amministratore della asl 2 del potentino e presidente del consiglio scolastico provinciale e dell’irrsae.
Presidente del consiglio comunale dal 1998 al 1999.
Fu anche candidato alla carica di presidente della regione Basilicata nel 2000, e candidato alla Camera dei deputati.
Sempre attivo nel Laicato cattolico cittadino. .
È stato maestro esemplare e punto di riferimento per tante generazioni di giovani.
👉🏾 La camera ardente è stata allestita nella Cappella adiacente l’obitorio dell’Ospedale “San Carlo” di Potenza
“Addio, che la terra sia per te leggera.”
IL RICORDO DI VALENTINA TRAMUTOLA
Il Preside Mecca (detto solo Il Preside per un numero indefinito di anni) è stato un personaggio mitologico della mia adolescenza, metà uomo, metà Rocci e metà Bucoliche di Virgilio recitate a memoria.
Al primo sciopero ventilato davanti scuola, a ottobre del mio quarto ginnasio, ebbi la chiara sensazione uditiva di un tamburo battente nelle gole di Moria a vederlo scendere A PIEDI e senza cappotto lungo la discesa di quello che allora era il Liceo Classico Quinto Orazio Flacco.
Era preside dei professori che spesso sostituiva da supplente, facendo indifferentemente tradurre a crudo dal latino o dal greco chi si trovava per sotto.
Ovviamente, cose mai viste in qualsiasi letteratura presente in classe, che poi tu maledivi il tuo legittimo prof non tanto per essersi assentato ma per non averti mai fatto studiare quel mannaggiasanda di pezzo.
Era preside dei genitori, a cui non riconosceva l’istituto giuridico della patria potestà, perché fregava assai a lui se il bus faceva tardi o avevi il matrimonio di tuo zio a Sapri: in orario scolastico non si usciva e non si entrava in anticipo o in ritardo. Te ne venivi il giorno dopo, se proprio.
Manco se andavi a fare l’esame della patente un 6 dicembre a caso e volevi rientrare alla terza ora per fare il test di Fisica. Niente. Ti fai interrogare con tutti i crismi.
Era preside dei collaboratori scolastici, quando lo sentivi lungo i corridoi riverire la decana dei bidelli con un sonoro “Titina, t’ l’anna renn Dio”.
Ed era preside dei ragazzi, gli unici in tutta la Basilicata ad avere la lista dei libri dell’anno successivo a giugno, l’orario definitivo il primo giorno di scuola e il modulo controfirmato per la richiesta dell’abbonamento all’autobus il giorno appresso.
L’ho sempre detto che al liceo io ho imparato tutto quello che so sul metodo di lavoro, la capacità di concentrarmi e la necessità di approfondire, senza cedere alla semplificazione.
Ma è pure il posto dove ho imparato a non perdere la fede se le cose andavano storte, a “non strapparmi le vesti” insomma.
D’altra parte, lo aveva detto lui stesso a mia madre a ricevimento (perché, sí, lui in persona faceva le udienze di tutte le classi e sapeva 800 schede dei voti a memoria) a proposito del mio 4 cronicizzato in matematica: “signora, non mi strapperei le vesti”.
Chi ero io per contraddire questo assunto di inclusività?
Ciao, Preside Mecca. Non è compito mio avere pensieri sul tipo di uomo che sei stato, ma per la mia adolescenza bellissima e profonda – quello sí – ti dedico un pensiero di Sole.
LA TESTIMONIANZA DI ANDREINA AMICO
Sono tante le voci che si stanno innalzando per dedicarle l’ultimo saluto.
Sin dal primo ingresso a scuola ci ha accompagnato con il suo sguardo quotidiano.
Attendeva, come si fa nella propria dimora, ciascuno di noi per augurarci una buona giornata e per accoglierci in quella che per lui era casa.
Ho frequentato il Liceo Classico di Potenza e la mia scelta è stata veicolata dalle voci che circolavano sul suo conto.
Avevo l’impressione che in realtà non stessi scegliendo un percorso scolastico, una scuola, ma stessi più che altro scegliendo di frequentare l’Istituto di Lello Mecca… già, perché questo è quanto si sussurrava tra gli studenti.
Lello Mecca non è stato solo il Preside di un Liceo, lui era il Liceo Classico Q.O. Flacco, lui era la Scuola e ho compreso la ragione di ciò ancora prima di conoscerlo e, precisamente, dalle voci che di lui ne facevano la residenza di ogni conoscenza umana.
Alle ore 7,30 Lello Mecca era già all’ingresso ad attenderci.
Raggiunti i miei compagni, ci appressavamo ad entrare e non è passato giorno del mio quarto ginnasio che io non abbia ricevuto il suo “Buongiorno”. E quando ciò non accadeva vi era una sola ragione : essere in tremendo ritardo!
Avevo già intuito la grandezza di quell’uomo quando, durante la giornata di orientamento scolastico che si tenne in vista del passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado, a presentarci il liceo fu proprio lui.
Ricordo un suo discorso profondissimo, altissimo, a tratti troppo complesso e non facilmente intellegibile in età adolescenziale.
Della sua immensa dissertazione tenuta in Aula Magna, una frase mi colpì al punto da risuonare( financo nell’intonazione vibrante ) nella mia testa ancora ora e che determinò la mia convinzione, oltre ogni altra ragione, di iscrivermi al liceo classico: ”in questa scuola non addestriamo scimmie ma educhiamo al pensiero” . Messa così non suona un granché bene ma il suo discorso si inseriva in un periodo storico in cui già si avvertiva l’esigenza di adeguare tutto l’insegnamento al mero ed unico fine del superamento dei test di ingresso universitari, a versioni della scuola e del sapere tutte imperniate sullo snellimento scolastico, sulla soppressione di alcune materie reputate inutili, da sostituire con quelle che ci avrebbero permesso di superare i fantomatici “test” .
Quel giorno Lello Mecca dichiarò, per primo, guerra a questa concezione di scuola facile, di scuola che doveva rispondere all’utile momentaneo, alla scuola usa e getta avente quale unico obiettivo quello di sfornare ragazzi ricchi di nozioni ma privi di qualsivoglia capacità critica, che mirava a risolvere quello che saremmo stati senza interrogarsi su ciò che fossimo in quel momento.
Con quel “educhiamo al pensiero” Lello Mecca mi diede la più importante delle lezioni e mi consegnò la mia più grande convinzione.
Si badi bene che al nostro futuro lui teneva eccome, tanto che poteva contare su una classe docente (che lui pareva essersi selezionato su misura ) oltremodo preparata anche a farci affrontare i test di accesso universitario. Egli riteneva, tuttavia, che ogni insegnamento dovesse trovare necessariamente originare nei classici, antidoto propedeutico alla piena comprensione della vita.
Ricordo con quanta attenzione si dedicava a noi. Era rigoroso nell’approccio ma in una maniera al contempo così umana che è difficile trovarne di simili: era lui infatti che partecipava alle nostre riunioni conoscendo a menadito tutto sul nostro conto (voti, assenze, inclinazioni, vite).
Ci allevava in una scuola pubblica dal sapore privato, quasi fosse il precettore di ciascuno di noi, in una scuola che sembrava così antica ma che era, allo stesso tempo, tremendamente moderna.
Non solo voleva accrescerci nella conoscenza e nelle competenze ma voleva farci crescere insieme, in un affetto fraterno… voleva fossimo davvero una grande famiglia ed è così che l’ho sempre percepita anche io la mia scuola, come una grande famiglia. A tale scopo aveva addirittura pensato e attuato il “mescolamento” delle classi al passaggio dal ginnasio al liceo. In quei momenti aleggiava un velo di tristezza tra noi alunni al pensiero di abbandonare la classe del ginnasio per ritrovarci con nuovi compagni nel triennio. Successivamente ne comprendevamo le ragioni: voleva far in modo che ci conoscessimo e confrontassimo tutti, non voleva che ci chiudessimo in gruppi chiusi e inaccessibili, in cerchie di amici ristretti e autoreferenziali ma voleva farci crescere, insieme, senza esclusione alcuna. Ha insomma messo in atto tutto quanto oggi si sente ripetere con frasi a tratti precostituite e ben poco attuate: l’importanza delle relazioni sociali, del fare network etc.
Lui già conosceva tutto ciò e, se ne parlava, al più , lo faceva in latino (di cui poteva essere definito, senza timore di smentite, “madrelingua”).
Ci considerava la sua famiglia, non solo tra le strette mura scolastiche: alla festa del suo pensionamento – io ebbi la fortuna di essere tra gli invitati -decise di invitare tutti noi, pensate, tutti gli studenti di un intero Istituto dal quarto ginnasio (con tutte le sue sezioni) fino al terzo liceo (con tutte le sue sezioni) in aggiunta agli insegnanti e al personale scolastico.
Fu una festa memorabile: tutta la scuola a celebrare una sola persona, suo Padre.