IL MICIOPARDO IN STILE LUCANO
L’appuntamento con le tematiche sociali che attanagliano il nostro tempo
Le ragioni storiche del nostro ritardo forse ci sono rivelate dalle parole del Principe Salina di Donnafugata. La bellezza di questa terra, la sua materna dolcezza che non tradisce mai le aspettative di un suo figlio: financo l’ultimo tra gli ultimi qui trova ristoro e pace; il suo calore, dai calanchi e dalle pianeggianti, fertili valli scalda i cuori di uomini e donne, imprigiona nei suoi giorni dorati la memoria dei giovani lucani a cui sempre bramano il ritorno. E allora anche una politica senza programmi, senza promesse, persino senza prospettive lascia indifferente questo popolo che ama il riso, le cose semplici, la buona tavola e la compagnia. Non è una questione sociologica bensì antropologico-climatica-ambienta- le. Nessun buon politico può aggiungere una sola oncia di gioia laddove il sacco è ricolmo sino all’orlo. Le elezioni non sono che un rotocalco pieno zeppo di nomi diretto con una maestria hitchcockkiana, un cinodromo che sarebbe opportuno collegare al botteghino, tanto per guadagnare un pochino di brio. Santa e cara la terra che ci rese vivi, e misericordiosa verso tutte le miserie che i suoi figli ignari vi hanno riversato. Mancano i programmi per la crescita economica della regione; quelli che riguardano il riordino della sanità; le proposte per uno sviluppo sostenibile; proposte per fare il punto sulla sicurezza ambientale; programmi diretti a contrastare lo spopolamento con politiche di sviluppo e occupazione a medio e lungo termine. Voci sempre più insistenti dicono che dai pozzi di Viggiano si estrae sempre meno e che le spese di estrazione quest’anno abbiano superato i guadagni: prospettiva questa che, se fosse vera, preluderebbe ad una chiusura degli impianti in un futuro non molto lontano. Continuerà ad esserci lavoro per la dismissione? E se questo non avvenisse? L’Eni è Stato. Si farà causa allo Stato? E quanto durerebbe? E nel frattempo ai lavoratori e alle lavoratrici del polo estrattivo e dell’indotto cosa riserverebbe il futuro? Presto balleranno le fanciulle intorno ai falò appiccati in onore del Santo Giuseppe. Mancano le autostrade. Piccoli fuochi bastano a riempire grandi spazi vuoti della terra, dell’anima, della vita priva di aspettative. Mancano le garanzie nei confronti della salute dei cittadini. Il cambiamento, il miglioramento sono esigenze della mente che solo i fatui intellettuali reclamano con svolazzi di parole…orpelli! Noiosissimi arzigogoli. La vita continua. I figli, ci sono i figli: questa idea morbosa e malsana che pare aver sostituito ogni altro aspetto dell’idea di società. Nessuno si chiede mai quale eredità morale lasceremo a questi milanesi del futuro. Quale bagaglio di valori? Quale memoria storica? Robottini infallibili nella loro mansione in mezzo ad una società automizzata. Il ricordo di un posto ove ogni giorno è uguale al precedente. I dadi vengono lanciati in aria tra le risa dei tanti soddisfatti, la gioia di molti stolti, il pianto di qualche madre. Sotto le foglie vi sono funghi o veleni? E il registro dei tumori? Forse svolazza anch’esso nel vento come le proteste dei poeti? Nessuno lo sa! Nessuno ne parla. E quelle acque chiare ove i pesci venivano all’amo per la gioia della tavola dei montanari? Anche quelle un lontano ricordo; ora sono torbide, scure, nauseabonde come l’indifferenza di tanta gente. Ricordano i vecchi del paese il suono penetrante del fischio a vapore che riempiva i boschi selvaggi, accompagnato dallo sferragliare delle rotaie. Non c’è più nulla tranne una ingenua, appagante, immotivata gioia che non ha bisogno di guardare altrove prima che suoni la campana. Adesso è il crepuscolo; domani una gioia nuova spazzerà via la vecchia uggia dei pensatori perditempo e così tutti saliremo sulla giostra credendo di fare un piccolo passo in avanti, sperando ancora una volta nel tempo buono, nella fortuna, nella benevolenza di quella buona sorte che nessuno ha ancora capito se ci sorride o se è fuggita lontano insieme ai nostri sogni e intanto tutto rimane immoto, scolpito nel tempo di una storia che sembra non avere futuro.
Di Antonio Salerno