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“LUCANIA FELIX”, CADONO ALTRE ACCUSE: ANCORA DELLE ASSOLUZIONI

Alle condanne di gennaio per complessivi 69 anni e mezzo di carcere se ne aggiungono 2 collegate alla droga

Inchiesta “Lucania Felix” e fascicoli d’indagine sugli affari del gruppo criminale per la Procura del capoluogo capeggiato dal duo Stefanutti-Martorano, da quelli collegati alle attività illecite del traffico di stupefacenti alle proiezioni del clan nel tessuto produttivo e nel mondo commerciale-imprenditoriale, anche attraverso condotte estorsive, tese, per l’accusa, ad imporre un rapporto di forza sul territorio: riti ordinari ed abbreviati, altre assoluzioni. Esclusi dall’associazione, con la formula «perché non hanno commesso il fatto», Aldo Severino Fanizzi, Maurizio Finzi, Gioele Santangelo, Giuseppe Maroscia, Pio Albano (assolto anche da altri due capi di imputazione con la formula «perché il fatto non sussiste», Franco Mancino, Massimo Di Giuseppe, Nicola Sarli e Ettore Todaro. Escluso uno dei capi d’imputazione, «perché il fatto non sussiste», per Renato Martorano, Donato Lorusso, Giovanni Tancredi, Riccardo Lama e Massimo Elifani. Per Dorino Rocco Stefanutti, sia «perché il fatto non sussiste», sia «perché non ha commesso il fatto», cadute 4 accuse. Per un capo d’imputazione, il Gup Salvatore Pignata, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Michele Scavone e Gioele Santangelo, «perché non hanno commesso il fatto». Per Carmelo Alberto Gallicano, coinvolto in episodi risalenti al 2012, dichiarata l’intervenuta prescrizione, e in relazione ad un episodio del dicembre 2016, assoluzione perché il fatto non sussiste. Intervenuta prescrizione dichiarata anche per Mario Cossidente. Prosciolti, «perché il fatto non sussiste», Rocco Della Luna, Giovanni Tancredi e Michela Cerroni. Per due capi d’accusa, prosciolti Donato Lorusso e Ionut Eftimie Luchian: «il fatto non sussiste». Donato Lorusso, insieme a Vincenzo Di Muro e Nicola D’Adamo assolto anche da un’altra accusa. Caduta per Maurizio Finzi, Antonio D’Andrea, Francesco Forte, Lorys Calabrone, Mario Di Giuseppe e Gianluca Di Giuseppe, l’accusa che, a vario titolo, li vedeva coinvolti «perché non hanno commesso il fatto». Stessa formula usata per l’assoluzione nei confronti di Antonio Dandrea e Gioele Santangelo, ed anche per Domenico Pace. Assoluzione per Andrea Tortorelli, Donato Pica, Miriam Tomasicchio. Così come dichiarato il non doversi procedere, per due capi d’accusa, nei confronti di Giuseppe Pelosi e Jodi Panebianco: «perché il fatto non è punibile». Cadute le 2 accuse per Francesco Bonelli, assolto «perché il fatto non sussiste» e «perché non ha commesso il fatto». Assolto anche Ernesto Grandi Aracri, «perché non ha commesso il fatto». In relazione a reati relativi alle sostanze stupefacenti, condannati rispettivamente a 9 e 4 mesi di reclusione, Lorenzo Bruzzese e Saul Amati a cui il Gup Pignata ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. Lo scorso gennaio, le condanne, invece, hanno interessato Carlo Troia, indicato dal figlio di Dorino Stefanutti tra gli «affiliati a totale disposizione», (12 anni e 8 mesi di carcere), Antonio Masotti (6 anni e 8 mesi), Rocco Basta (8 anni), Luigi Cancellara ( 9 anni) e Lodovico Pangrazio (9 an- ni), per i quali è stata riconosciuta anche l’aggravante del metodo mafioso. Cancellara, Basta e Pangrazio sono accumunati dalla stessa accusa: quella di aver partecipato, a vario titolo e come esterni all’associazione, al gesto intimidatorio consumato ai danni dell’imprenditore Alfredo Cruoglio in relazione alla contesa giudiziaria relativa ad un credito per complessivi 900mila euro. Nella spedizione punitiva, secondo la ricostruzione degli inquirenti che si sono avvalsi anche dell’acquisizione delle immagini registrate dalle telecamere installate presso la sede di una società poco distante dal luogo, Renato Martorano esplose, «di suo pugno», quattro colpi di arma da fuoco all’indirizzo dell’abitazione di Cruoglio. Avrebbe agevolato il clan Martorano-Stefanutti anche Nicola Sarli (12 anni) che da «affiliato con riti e cariche riconosciute dalla ‘ndrangheta calabrese, nonchè autore egli stesso di “battesimi” in favore di soggetti lucani», per l’accusa, si occupava principalmente del traffico e spaccio delle sostanze stupefacenti. Gli altri condannati sono, il «barista» Umberto Lo Piano (5 anni a 11 mesi) e Michele Sarli (6 anni e 3 mesi), per i quali è stata prevista un’equivalenza tra attenuanti generiche e un’aggravante prevista dal testo unico sugli stupefacenti. In totale, inflitte pene per 69 anni e mezzo di carcere. A tutti i condannati sono state applicate le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale durante l’esecuzione della pena.

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