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IMPRESENTABILI, LA GOGNA PUBBLICA

Persone non condannate, in alcuni casi neanche imputati, messe all’indice: Stato di diritto cercasi. Dal Prefetto altre interdittive antimafia. A Potenza è record, più che in province di mafia

«L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Questa non è un’opinione, questo è un fatto. Anzi è il principio cardine di tutto il sistema normativo italiano, è il fondamento della Repubblica. Questo è l’art. 27 della Costituzione della Repubblica Italiana. «La Costituzione – disse Calamandrei – non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità». E, noi, proprio rifacendoci a quella norma fondamentale, richiamando la vitalità necessaria da dare alla Carta Costituzionale che non ce la facciamo più a leggere di “impresentabili”, valutati tali dalla Commissione antimafia. Una persona o è condannata o è innocente. Fino a quando è sotto processo è da considerarsi innocente. Se è innocente non può essere “impresentabile”. Esistono norme che sanciscono le incandidabilità, le ineleggibilità, la sospensione dai pubblici uffici etc…Ma tutte sono legate a condanne. Non condividiamo neanche la moda introdotta dal becero populismo moralista dei grillini che sanziona anche sentenze non definitive (che poi potrebbero essere ribaltata dai successivi gradi di giudizio) ma, almeno in quel caso, esiste una sentenza almeno provvisoria. Il giudizio da stato moralista che bolla come “impresentabile” chi non è stato raggiunto da nessuna condanna, è francamente intollerabile. Non si può sopportare.

TRATTAMENTI CONTRARI AL SENSO DI UMANITÀ

Il concetto di impresentabilità introduce nel nostro ordinamento una vera e propria gogna pubblica, non più fatta con le mani legate in un cippo di legno ma con un marchio di infamia non suffragato da nulla che non sia la più becera e meschina politica del sospetto. Con quale difficoltà i candidati al Consiglio regionale dovranno spiegare ai propri elettori che quel giudizio di “Impresentabilità” non è dettato da una condanna ma soltanto da una valutazione moralistica? Un giudizio non suffragato da fatti ma da sospetti, da valutazioni discrezionali e non da sentenze né provvisorie né definitive. Il condannato non può avere trattamenti contrari al senso di umanità ma, secondo le logiche di chi ancora continua a diffondere queste valutazioni, il candidato innocente può essere sottoposto al linciaggio morale che, oltre ad essere contrario ad ogni regola dello Stato di Diritto, è contrario anche al senso stesso di umanità. Anche lasciando perdere il vulnus alla democrazia che con queste valutazioni viene commesso, resta da dire che, dietro ogni candidato e dietro ogni candidata, c’è la vita privata di un padre di famiglia, di una madre, di un lavoratore, di una lavoratrice che dovrà difendersi da una accusa pubblica senza nessuna possibilità di contraddittorio, che dovrà spiegare ai propri figli, ai propri amici, alla propria famiglia che lui non ha nessuna condanna ma che qualcuno ha deciso di mettergli la lettera scarlatta della “Impresentabilità” senza che ci fosse alcuna condanna. Livio Valvano ha dovuto fare un video per spiegare che il suo casellario giudiziario è pulito e che si tratta dei postumi di un procedimento archiviato. Francesco Piro ha dovuto esibire al pubblico il suo casellario giudiziario. In una Nazione seria, in uno Stato di Diritto, in una Democrazia moderna è chi accusa che deve dimostrare la fondatezza delle accuse e ha il dovere di farlo in contraddittorio con l’accusato. Non è assolutamente normale che un innocente debba provare la sua innocenza per sfuggire alle forche caudine del moralismo d’accatto. Ora basta. A noi questo modo di procedere disgusta, lo troviamo intollerabile.

L’ENNESIMA INTERDITTIVA ANTIMAFIA

Intanto la Basilicata vive l’ennesimo comunicato stampa della Prefettura di Potenza con la quale viene fatto sapere urbi ed orbi che c’è stata una nuova interdittiva antimafia. Una continua ed incessante azione che è contraria ad ogni logica anche giuridica. Le sentenze della Corte di Cassazione continuano ad assolvere gli imputati di mafia smontando i vecchi teoremi della Procura e la Prefettura continua a raccontare di una Basilicata le cui imprese sono infiltrate a piene mani dalla mafia. Gli ultimi dati statistici forniti dal Ministero dell’interno ci dicono che in provincia di Potenza (nel 2022) ci sono state 28 interdittive antimafia. Per capire il parossismo di questo dato basti pensare che, contemporaneamente nello stesso periodo, in provincia di Napoli ce ne sono state 42, in provincia di Caserta 41, in provincia di Catanzaro 27, in provincia di Reggio Calabria 41, in provincia di Vibo Valentia 15, in provincia di Palermo 41, in provincia di Catania 40 e in provincia di Messina 18. In pratica, stando all’attività della Prefettura di Potenza, la provincia di Potenza è infiltrata quasi quanto Napoli, Caserta, Reggio, Palermo e Catania, più di Messina, Catanzaro e Vibo Valentia. Un dato che non coincide con la realtà che, se si confronta anche con il numero di abitanti e con il numero di imprese, rende ancora più paradossale questo dato.

“PIÙ PROBABILE CHE NON”

La parola “interdittiva antimafia” fa paura, suona come un campanello mediaticamente di allarme. I non addetti ai lavori non sanno che per poter avere un’interdittiva antimafia non è necessaria una condanna e che, per poterla togliere, non è sufficiente una assoluzione. Puoi essere assolto con formula piena “perché il fatto non sussiste”, si può dimostrare che non hai mai avuto nessun tipo di rapporto con una organizzazione malavitosa, si può addirittura dimostrare che l’organizzazione malavitosa non esiste e puoi comunque avere un’interdittiva antimafia che non sarà annullata da nessun TAR perché si fonda sulla discrezionalità del Prefetto. Un’interdittiva antimafia che rappresenta la morte e la fine di un’impresa che da quel momento non può contrarre con la Pubblica Amministrazione viene, infatti, emessa sulla base dell’antigiuridico principio del “più probabile che non”, nel quale viene discrezionalmente usata una valutazione probabilistica di potenziale pericolo.

IN DIFESA DELLO STATO DI DIRITTO

Noi pretendiamo e chiediamo la difesa dello Stato di Diritto che si fonda sul principio di non colpevolezza, sulla possibilità per l’accusato di difendersi, che è scevro da ogni valutazione moralistica e che, soprattutto, non tiene conto del sospetto e non obbliga nessuno a doversi difendere sui social da accuse non sostanziate da sentenze. Se nessuno ha il coraggio di dire questo il coraggio ce lo mettiamo noi. Di questa caccia alle streghe siamo stanchi.

Di Massimo Dellapenna

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