AttualitàBasilicataBlog

SFILATA DEI TURCHI: FESTA E STRUTTURA

La riflessione di Dino Quaratino

Non so chi dipinse sulla tela del ricordo! Ma chiunque sia stato l’ignoto artista che ha dato vita alla “Sfilata dei Turchi”, qualunque cosa egli abbia voluto riprodurre, ciò che egli ha fatto non è che una successione di quadri. Con questo non intendo dire che egli con il suo pennello non abbia eseguito copie fedeli di quanto gli accadesse intorno: a seconda del suo gusto, ha disegnato alcune cose, altre ha trascurato, molte cose grandi ha reso piccole e altre cose piccole ha ingrandito; non ha avuto nessuno scrupolo a lasciare nell’ombra ciò che era in piena luce e di raccontare prima ciò che veniva dopo: egli ha dipinto un quadro fiaba, non ha scritto una storia! È passata dinanzi ai suoi occhi la serie infinita degli avvenimenti della vita potentina che fu, che nella sua anima si sono trasformate in immagini, che somigliano, corrispondono, ma non sono proprio la realtà . Perchè quest’infaticabile artista ha dipinto? E quando ha fatto i suoi quadri? A quale pinacoteca li ha destinati? Chi può dirlo?

IL RE DEL TEMPO

“En toute chose il faut considérer la fin” sentenziava La Fontaine, certamente guardando all’impianto moraleggiante, didattico, aristocratico dei suoi racconti. Del lieto fine, dello scopo, invece, nulla è più inebriante per l’altro versante del raccontare storie, quello popolare della fiaba che si conserva per stratificazioni e innesti attraverso le età. Ciò che conta, sia se si crede la fiaba “pensiero di un popolo bambino”, sia se si pensa al mescolarsi di culture più antiche, pagane e indoeuropee, col medioevo cavalleresco e il misticismo bizantino ciò che conta è l ‘attesa rassicurante del ritornello noto che gioca con la paura dell’incantesimo che il ritornello svanisca. Siamo di nuovo prossimi al 29 maggio. E questa data, per la città di Potenza, significa il ripetersi per le strade cittadine di una fiaba che è: la Sfilata dei Turchi. Samuel Reuss considerava le fiabe alla stregua di documenti storici, specchi di avvenimenti reali del passato. Dobsinskj, invece, affermava che le fiabe altro non sono che pensieri: già la formula iniziale (c’era una volta… accadde nel novantesimo paese) introduce l’indefinito ed è con questa mancanza di indicazioni del luogo e del tempo reali, nonché con la tipizzazione dei personaggi e quindi con la loro astrattezza, che la fiaba stessa si adopera a togliere “l’orzaiolo della Storia dagli occhi del lettore”. Dunque, le fiabe sono pensieri. Ma pensieri di chi? Come ogni persona anche il popolo ha vissuto la fase della sua infanzia, durante la quale il suo spirito era primo gradino della sua coscienza. E, come ogni bambino, anche il popolo scoprendo il mondo ne fu incuriosito, commosso, ammirato, cercò di stabilire un contatto con esso, si domandò quale fosse la funzione delle cose, la loro origine. Non era, però, ancora in grado di razionalizzare le sue conoscenze e quindi si affidò alle immagini ed alla propria immaginazione. Si esprimeva tramite simboli. Ma cosa rappresenta la fiaba della “Sfilata dei Turchi”? Altro non sarebbe che il primo pensiero del popolo bambino potentino, pensiero che non conosce ancora la distinzione tra lo spirito consapevole di sè e la materia prima di coscienza. Non si può fare a meno di notare che, in qualche modo, i riferiti punti di vista, quello di Dobsinsky e quello di Reuss, sembrano anticipare la contrapposizione oggi corrente tra i due approcci fondamentali adottati dagli studiosi nei confronti dell’universo fiabesco: quello per così dire psicologico, da un lato, e quello etnologico strutturalista, dall’altro lato, i quali, semplificando, sono riconducibili rispettivamente al pensiero di Jung ed a quello di Propp. La fiaba della “Sfilata dei Turchi” può essere letta come una sorta di crescita dell’uomo, crescita individuale in quanto interiore, pensata, premessa ideale di un a successiva crescita universale, storica. Nel momento della nascita l’uomo, sia egli di argine umile o nobile, sarebbe la creatura più “carente” che esista: non si sa chi egli sia per davvero, quale sarà il suo cammino nella vita, cosa diventerà. Egli non è ancora nessuno, manca di un’identità. Per questa ragione è circondato da una specie di disprezzo, che altro non è che la mancanza di considerazione. È a questo tipo di carenza che egli deve ovviare affermandosi, affermando di essere. E, per farlo, deve oltrepassare la soglia di casa, misurarsi con l’esterno: ed ecco l’eroe della fiaba della Sfilata dei Turchi: il contadino, il più povero, il più indifeso, l’abbandonato, l’insoddisfatto, che si stacca dal caldo focolare domestico e s’incammina per “le terre” dove le cose gli sono incontro, dove in mezzo a mille prove da superare misura l’entità del suo cervello e del suo cuore. Più si dà da fare e più i pericoli e le difficoltà aumentano in rapporto direttamente proporzionale: quanto più dure sono le sue battaglie e feroci le forze avverse (siccità – terremoti – alluvioni), tanto più grande è la ricompensa, il riconoscimento finale. La fiaba della Sfilata dei Turchi rassicura, gratifica e contemporaneamente inquieta: dietro a quella ricompensa, a quel riconoscimento, che cosa si cela? La fiaba non è mai ingenua, né tanto meno superficiale. Allora, che cosa dissimula? Nel suo agire, l’eroe della fiaba è sostenuto da molti mezzi; a cominciare dalla natura, reale o antropomorfa, e dagli astri del cielo. Il miracolo: “San Gerardo ferma i Turchi”, rappresenta l’impossibile che s’annida in questa fiaba con estrema naturalezza. Ma vi è in questa fiaba anche una magia segreta, più magica ed ammaliante di tutti i suoi prodigi; ed è che l’eroe – popolo, nel contrasto tra la sua forte determinazione ad agire e il suo non sapere mai che forma assumeranno le sue azioni né come e dove le realizzerà, sembra sospinto da una forza invisibile che lo guida in ogni sua mossa, in ogni scelta, mentre lui non si muove né sceglie, ma agisce, lasciandosi trasportare dagli avvenimenti: ciò che conta per lui non è essere qui o là, essere questo o quello, ciò che conta è l’essere, pienamente, ovunque. Mancano riferimenti storici precisi per permettere di stabilire le origini della Sfilata dei Turchi; una manifestazione popolare che si svolge la sera della vigilia dei festeggiamenti in onore di San Gerardo, Patrono della Città che, nato a Piacenza dalla famiglia Della Porta, fu Vescovo della Diocesi Potentina dal 111 1 al 1119.Secondo alcun i storici la “Sfilata dei Turchi” è da attribuirsi ai festeggiamenti tenuti per ricordare l’ incontro a Potenza tra Ludovico Re di Francia e Ruggero II il Normanno, secondo altri alla battaglia di Lèpanto del 1571, per altri ancora è da riportare alla disfatta dell’esercito Turco nella battaglia di Vienna del 1683.La fiaba della Sfilata dei Turchi ci mostra quel villaggio potentino d’un tempo, con le sue strade che brulicano di gente, cose, animali, ci fa entrare nelle case, assistere ai momenti cruciali della loro vita intrisi di credenze, riti, usanze, maledizioni, esorcismi. Così, foggiando un antico costume popolare, la fiaba della Sfilata dei Turchi arriva fino a noi. Gli anni si susseguono, i personaggi cambiano, cambiano i contenuti, ma la struttura della fiaba della Sfilata dei Turchi resta sempre identica a se stessa, unica: un bellissimo ossessivo ritornello, tutto ancora da decifrare con la Barca, i Contadini, i Turchi ed il Carro di San Gerardo.

Di Dino Quaratino

Presidente associazione “Voglia di teatro”

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com
error: Contentuti protetti