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BARE E AMORE, «MAZZATE» DI CARTIER

Affaire pompe funebri, il «“dominus”» intercettato nel carcere di Bari: per l’antimafia anche da lì continuava a comandare. Quaratino sui beni a rischio confisca: «Bisogna farli “sparire” o vendere, ci dobbiamo prendere tutto o fuoco»

A me non me fotte un cazzo di quello che fate, basta che mi fate i funerali… tu ti vuoi fare la lapide, la cremazione, non me ne fotte niente»: così, come riferito da Marilena Quaratino al padre Giovanni, l’avvocato Gianluca Molinari, in qualità di amministratore giudiziario della società cooperativa di onoranze funebri “Padre Pio”, rassicurava la figlia del «“dominus”» in merito alla questione delle fatture inferiori agli introiti percepiti per i servizi funebri e che non avrebbe effettuato alcuna verifica-comunicazione all’Autorità giudiziaria. Per l’Antimafia di Potenza nel periodo che va dal giugno del 2019 al settembre del 2022, «risultano essere stati effettuati ben 25 servizi funebri senza emissione di alcuna fattura con conseguente potenziale distrazione illecita di altre somme dalle casse sociali quantificate dal Consulente tecnico d’ufficio in almeno in 75 mila euro». Come poi reso noto dalla Squadra Mobile della Questura di Potenza che, col Sisco, ha svolto le indagini, la somma stimata degli guadagni sottratti all’amministrazione giudiziaria è di 531 mila e 518 euro. Dal Gip del capoluogo Lucio Setola, disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta della somma complessiva di 79 mila e 542 euro, nonchè, in prima applicazione di misure cautelari, la restrizione in carcere per Giovanni e Marilena Quaratino ed i domiciliari per Molinari. I 3 citati, la loro posizione è tuttora al vaglio dell’Autorità Giudiziaria e gli stessi non possono essere considerati colpevoli sino all’eventuale pronunzia della sentenza definitiva di condanna, sono gravemente indiziati, a vario titolo, del delitto di peculato n relazione alla gestione dell’Agenzia di onoranze funebri “Padre Pio Società Cooperativa” di Potenza già sottoposta a sequestro in quanto già ritenuta nella disponibilità di fatto della famiglia Quaratino. Per l’accusa era lui il reale «“dominus”», tanto che, come emerso dalle indagini, oltre al fatto che l’allora Amministratore giudiziario Molinari non esitava, come da intercettazioni, a riconoscergli quel ruolo specifico in seno alla società, lo stesso Giovanni Quaratino, già condannato nel 2023 dal Tribunale di Potenza alla pena di 8 anni di reclusione, poiché ritenuto colpevole del delitto di associazione mafiosa in qualità di partecipe all’associazione a delinquere di stampo mafioso denominata clan “Martorano-Stefanutti”, benché, per un periodo dell’inchiesta dell’Antimafia, detenuto nel carcere di Bari, comunque «continuava a incidere sulla gestione “di fatto” la società cooperativa», at- traverso disposizioni date durante i colloqui con i familiari. Agli inquirenti, risultato non logico che a seguito dell’arresto di Quaratino nel novembre del 2021, nell’ambito dell’inchiesta “Lucania Felix” , l’Amministratore giudiziario, piuttosto che recidere i rapporti con i prossimi congiunti di Giovanni Quaratino, ha ampliato la natura del rapporto di lavoro con la figlia Marilena, da part time a full time, e «addirittura assumeva il nipote del destinatario della misura cautelare, addirittura celando la circostanza all’autorità giudiziaria».

LA VICENDA SMERALDO

Tra l’avvocato Gianluca Molinari e Giovanni Quaratino, per l’Antimafia di Potenza, c’era una «commistione dei ruoli» e una «condivisione di attività commerciali quanto meno “anomale”, come la vendita di diamanti», indicativa della «collusione e della condivisione di interessi creatasi tra l’Amministratore giudiziario ed il soggetto i cui beni sono stati sequestrati». In un’intercettazione, la vicenda dello «smeraldo», dell’«amico carabiniere» e delle «mazzate». Vicenda per gli inquirenti coordinati dal Procuratore distrettuale Francesco Curcio sintomatica della collaborazione e della confidenza tra Molinari e Quaratino. Oggetto della conversazione intercettata, la consegna del certificato per lo smeraldo che Giovanni Quaratino gli assicurava di vendere.

MOLINARI: «Ti devo fare quella cosa sulla certificazione di quell’anello là così domani»

QUARATINO: «Vedi che mi serve, ho il cliente, non ti dimenticare, me lo dai e due o tre giorni lo facciamo vedere, lo porto anche a Roma, ma se lo tieni vero, scusa»

MOLINARI: «Si e te l’ho detto, l’ho preso per fare un regalo poi non (…)»

QUARATINO: «Ma che cazzo devi regalare? Gli devi regalare il caz.. a queste put…. omissis»

MOLINARI: «Solo il caz omissis gli devo dare e basta! »

QUARATINO: «Diceva un amico mio, caz (omissis) e mazzate!»

MOLINARI: «Bravo così vedi che tutto funziona»

QUARATINO: «A me Margherita un giorno mi regalò una cinta Cartier, allora mi fece incazzare, eravamo in albergo a Roma. wagliò la presi e la feci nera con la cinta, ma nera nera nera»

MOLINARI: «Per questo eri innamorato»

QUARATINO: «Eh si ero innamorato, le sono rimasti i segni addosso per parecchio tempo». Di nero, non solo i profitti.

INTERCETTAZIONE DEI TESTIMONI

Da un certo momento in poi, tramite Marilena, i Quaratino più che al corrente delle escussioni testimoniali in corso da parte della Squadra Mobile: «L’hanno chiamato per chiedere se realmente ave- va pagato 1.500 euro». Tematica escussi, oggetto di conversazione tra padre e figlia, è proprio dai conti riconducibili a Marilena che gli inquirenti hanno messo in ordine le presunte anomalie finanziarie, anche quando Giovanni Quaratino era ristretto presso il carcere di Bari. A conoscenza dell’inchiesta dell’Antimafia, gli indagati si sono attivati sia verso le persone che sarebbero state escusse, con Marilena Quaratino che veniva prima informata sulle domande che venivano loro poste, e che, una volta compreso il filone investigativo, «si attivava per istruire su cosa riferire le persone che probabilmente sarebbero state convocate dalla Polizia giudiziaria, che verso la documentazione societaria, con Molinari «che contatta il commercialista al fine di far predisporre ora per allora la documentazione societarie e fi- scale mai redatta prima». In un’altra intercettazione, quando la figlia chiese «con il labiale» al padre se delle attività investigative in atto avesse dovuto avvisare qualcuno, Giovanni Quaratino risponde no, aggiungendo «di lasciarli fare ovvero di lasciar lavorare le Forze dell’Ordine».

«FUOCO, DEVE SPARIRE TUTTO»

Più che le indagini in corso, Quaratino preoccupato dal dopo. Per esempio, da un colloquio a mezzo video chiamata tra il detenuto Giovanni e i famigliari, «nonostante i soggetti coinvolti fossero convinti di essere intercettati», come realmente era, i monitorati «pianificavano di mettere in “sicurezza” altri beni in possesso e non immediatamente riconducibili all’attività lavorativa nel settore funerario», così da evitarne il sequestro confisca. I veicoli, per citare uno stralcio d’intercettazione, secondo Giovanni Quaratino «bisogna farli “sparire” o “vendere”». In vista, in riferimento a precedente sequestro, della confisca definitiva, di «particolare allarme», per gli inquirenti, quanto, nel 2022, sottolineato da Quaratino. I beni oggetto di sequestro-confisca «non dovevano essere assolutamente “ceduti” allo Stato, sino a dargli “fuoco”: Sennò là deve sparire tutto! Ci dobbiamo prendere tutto! Dobbiamo rompere pure le porte, dobbiamo rompere ( … ) fuoco!». Allarmanti propositi di dare fuoco agli arredi ed al locale, «quale ultimo sfregio nei confronti dello Stato». In sintesi, il comando era «prendere tutto quello che si poteva prendere e tornare utile», il re- sto, da distruggere. Nel senso che, come appuntato dagli inquirenti, «meglio distruggere tutto e non darlo allo Stato». Sull’eventualità della confisca e messa all’asta, co- me nel caso di un locale, Quaratino suggerì che «lo avrebbe ricomprato trami- te un prestanome». Lo stesso Giovanni Quaratino ipotizzava anche di «avviare fittiziamente una nuova attività intestandola» a altro familiare. Vari i dettagli che rendono, per gli inquirenti, nel suo complesso la vicenda allarmante. Tra questi, «la connivenza che i cittadini hanno dimostrato sia ver- so Giovanni Quaratino. i cui notori trascorsi giudiziari non hanno fatto alcuna remora etica a rivolgersi allo stesso, che verso le pretese economiche avanzate (spesso approfittando dello stato di prostrazione e confusione legato alla morte di un familiare)».

Ferdinando Moliterni

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