ELISA LONGO BORGHINI «VORREI MIO PADRE SENTISSE QUESTE PAROLE»
“Sono grama” dice Elisa, “Lo so” risponde Jacopo Mosca
È GIUSTO INFORMARE
ELISA LONGO BORGHINI «VORREI MIO PADRE SENTISSE QUESTE PAROLE»
[Tappa 8, Giro d’Italia Women]
Elisa Longo Borghini andava solo in bicicletta
Il “solo” lo aggiunge lei e torna indietro nel tempo, a quando suo padre l’ha messa in bici, da bambina.
Ai primi giri e alle volte in cui, di tanto in tanto, quell’uomo, Ferdinando Longo Borghini, si voltava, la guardava e:
“Elisa, dammi retta, tu farai strada, tu diventerai un’atleta, una campionessa”
La piccola Elisa ascoltava, lo osservava stranita e pensava:
“Chissà cosa vuole dire papà, io sto solo andando in bici”
Ferdinando Longo Borghini non parla molto, nemmeno Elisa Longo Borghini parla molto,
“perché veniamo dalle montagne e chi viene dalle montagne è un poco così, pensa tante cose che non ha mai detto e mai dirà, però, oggi, forse, è il momento di parlare”
Elisa abbassa lo sguardo, guarda la maglia rosa che ha addosso da otto giorni, la accarezza:
“Papà aveva ragione”
Ferdinando e Paolo, suo fratello, gli uomini con cui è cresciuta,
“uomini che non mi hanno mai posto limiti, mi hanno fatto sentire libera di essere quello che volevo, di diventarlo, mi hanno insegnato a credere che potevo farcela. Non ho mai avuto un talento enorme, ma la testa dura sì, quella sì. E gli uomini dovrebbero essere così, dovrebbero insegnare questa cosa ad una figlia o ad un figlio”
Non ha mai detto nulla di tutto questo a suo padre, ma oggi vorrebbe che papà queste parole le sentisse, vorrebbe dirgliele:
“Spesso non è alle corse. Lui è impegnato con la stalla, con la mucca, con il fieno, però non perde un secondo delle mie gare, lo so per certo. Papà è capace del silenzio, di esserci senza manifesti, senza tanto rumore e la presenza è fatta anche di silenzi”
E se non le sentirà, magari le leggerà queste parole e sarà bello nel giorno in cui sua figlia ha vinto il Giro d’Italia Women
L’ha vinto a modo suo, l’ha vinto da “grama”, ovvero da tenace, da dura.
Avevamo intuito qualcosa nell’abbraccio con Jacopo Mosca, suo marito, che, al tendone massaggiatori, guardava la corsa in televisione e la commentava.
A pochi chilometri dal traguardo, si è alzato in piedi, è uscito dal cancelletto, ad aspettarla, insieme a Paolo Barbieri, addetto stampa di Lidl-Trek: non sapevano più dove guardare e cosa pensare quei due. Qualche sorriso c’era già stato, in un’altalena di sospiri di sollievo e di respiri bloccati sul petto, come un masso, un peso, quando in corsa succedeva qualcosa che avvicinava un arrivo di un gruppetto e Lotte Kopecky, si sa, è veloce.
Hanno iniziato a dire “sì, è fatta” quando Kimberly Le Court, Ruth Edwards e Franziska Koch, in quest’ordine, hanno tagliato il traguardo.
Hanno iniziato a saltare assieme, con le mani sulle spalle l’uno dell’altro, quando Elisa Longo Borghini è partita e Kopecky non ha risposto. Hanno iniziato a correrle incontro, in una corsa mista a salti, elevata dalla felicità, non appena ha oltrepassato la linea dell’arrivo. Una corsa libera, con il corpo che, all’improvviso, non pesa più, una corsa “aeronautica”, un volo di fantasia, una liberazione e una leggerezza, tanto attesa, ritrovata. Una corsa da “il cielo è blu sopra Berlino” ma questa è un’altra storia.
“Sono grama” dice Elisa, “Lo so” risponde Jacopo Mosca.
Si entra in un girotondo caotico di pianto e risa, di abbracci e salti: Gaia Realini le salta, letteralmente, in braccio, parole urlate e dette a bassa voce, la madre cercata oltre le transenne, qualcuno che grida:
“Sono venuta da Bologna fino a qui solo perché credevo vincessi tu”
Le biciclette non hanno un motore, ma possono esserlo. Per restare, per andare altrove, persino per soffrire, se serve.
La festa è tutta da una parte, dall’altra c’è Lotte Kopecky, da sola, accanto al massaggiatore.
Sta bevendo da una bottiglia: tutti le passano accanto e corrono via, lei stessa sta osservando ciò che accade a Longo Borghini.
All’improvviso qualcuno grida: “Brava Kopecky”, lo sente, si volta, non vediamo più il suo volto.
Kymberly Le Court ci dirà:
“Sono dispiaciuta per Lotte Kopecky, per lei è stato un problema il fatto che la fuga sia arrivata e immagino cosa possa provare. Il nostro vantaggio l’ha privata della possibilità di prendere gli abbuoni”
Kimberly Le Court proviene dalle Mauritius, da una piccola città, ma
“per girare in bicicletta era abbastanza quella e l’ho girata tutta, insieme a mio fratello. Fosse stata troppo grande, non sarebbe stato possibile”
Kim, come la chiamano tutti, si immedesima, si mette dall’altra parte ed è la parte di qualcuno che è uscito sconfitto ed è rimasto solo, fino al saluto di Longo Borghini, a vedere quella festa.
Non è facile. Di solito si salta sul carro dei vincitori, più difficile il contrario.
Ci piace per questo, ci emoziona come le pedalate di un padre di nome Ferdinando e di una figlia di nome Elisa.
Ai complimenti dei genitori si fatica a credere, perché sono sempre tanti e perché, per un genitore, in fondo, si è sempre un poco di più di quel che si è davvero: forse per questo quella bambina non ci credeva e pensava
“sto solo andando in bici”
Sta di fatto, però, che quella fiducia incondizionata le è tornata in mente oggi e si è commossa.
Alla fine sentire, che sia ascoltare o percepire non fa molta differenza, certe cose è necessario per crescere ampliando l’orizzonte dei limiti e sentirsi liberi di diventare grandi, quando si è giovanissimi, ma anche per trovare il coraggio di affrontare lo scorrere del tempo quando si è già adulti.
Per questo, il signor Ferdinando deve proprio ascoltare quelle parole.
Per Alvento Magazine – Stefano Zago
Foto: SprintCyclingAgency
#sapevatelo2024