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DIFFERENZA DONNA: KATIA PAFUNDI E I CENTRI DELLA LIBERTÀ

L’approfondimento di Maria De Carlo

Ogni donna dovrebbe chiedersi: Cosa voglio dalla vita?». Inizia così la piacevole chiacchierata telefonica con Caterina (per tutti Katia) Pafundi, giovane mamma che vive ad Atena Lucana ma originaria di Acerenza. La sua storia è costellata di donne simili a farfalle in trappola e desiderose di essere liberate. E la sua è la testimonianza di come trasformare i propri ideali in un’attività lavorativa. Il suo impegno nella rete antiviolenza lo dimostra. Ha sposato la causa dell’associazione “Differenza donna” ed è membro attivo del direttivo nazionale da circa quattro anni. Ma andiamo per ordine. Caterina si trasferisce a Firenze per laurearsi in psicologia clinica e durante il periodo della specialistica frequenta un corso di formazione a cura dell’associazione “Differenza Donna” a San Miniato (Pisa), dove poi viene istituita la casa-rifugio “Frida Kahlo”, affidando a lei la responsabilità della gestione. Inizia poi un vero e proprio tour. Così si racconta: «Subito dopo lavoro presso la casa rifugio e centro antiviolenza per donne che non vogliono più subire violenza di villa Pamphili a Roma e da lì abbiamo partecipato ad un bando del consorzio sociale vallo di diano Tanagro e Alburni ambito S10, e abbiamo vinto la gestione del centro antiviolenza Aretusa». Si rafforza così il sodalizio con “Differenza Donna” che la vede protagonista in diverse iniziative volte a promuovere una cultura della parità di genere. In tutto questo il compagno, che lei definisce “un femminista convinto” la sostiene, a partire da casa con due figlie donne, con uno stile di vita in linea con una nuova cultura di genere, non solo proclamata. Da Atena alla Basilicata il passo è breve anche grazie al suo impegno e alle sue origini che portano le stesse istituzioni locali a richiedere la sua presenza per possibili eventi di sensibilizzazione. E finalmente, per la gioia associativa, è approdata in Basilicata grazie al Progetto GEA – Generare empowerment e reti Antiviolenza – (finanziato dalla Fondazione con il Sud) che «intende attivare e potenziare i servizi e i presidi antiviolenza nelle aree periferiche di Sardegna e Basilicata, mobilitando il sistema formale e informale di prevenzione e risposta alla violenza di genere, in collaborazione con le reti territoriali». Il progetto è stato avviato a settembre 2023 (a Palazzo San Gervasio, Acerenza e Lagonegro), tra formazione e incontri per la Rete antiviolenza. Coinvolte circa 35 donne dai 20 ai 60 anni “idonee alla mission”, ed impegnate in questi mesi con “esperienze sul campo” in centri limitrofi alla regione per divenire operative con centri antiviolenza itineranti sul territorio lucano. Privacy e anonimato, collaborazione dei Comuni, numero telefonico attivo h24 saranno gli “strumenti” utili a sostenere le tante donne in difficoltà, per informarle dei loro diritti, indirizzarle, sostenerle attraverso un’opera di prevenzione e sensibilizzazione e accompagnarle soprattutto «nel loro bisogno di essere ascoltate». Pafundi oggi conta circa 15 anni di esperienza, sempre gioiosa, determinata e solidale nel suo percorso di affiancamento alle donne. Si muove nella gestione di case-rifugio in Toscana, Roma, Atena e tra Salerno e Pontecagnano. L’obiettivo finale è quello di arrivare a chiudere i Centri-rifugio per donne perché vorrà dire che si è arrivati all’assenza di ogni forma di sopruso e di violenza verso le donne, è la speranza della responsabile, «ma purtroppo i casi di cronaca, quasi quotidiani ci dimostrano che persiste un continuo maltrattamento – afferma a malincuore – ma soprattutto un modello culturale ancora fortemente patriarcale». Tanti e numerosi gli impegni, le azioni intraprese ed anche i risultati grazie anche ad un modello importato sul “rischio di recidiva”, introdotti in Italia da “Differenza Donna” (progetto Daphne del 2008). Il richiamo è alla Convenzione di Istanbul (art. 3): «La forma più diffusa di violenza di genere nei confronti delle donne è la cosiddetta violenza domestica, espressione con la quale si designano tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima». Pafundi ha incontrato in questi anni molte donne «bisognose di acquisire consapevolezza e determinazione per decidere autonomamente e in libertà. È dalla loro volontà e decisione – aggiunge – che si attiva poi una rete di sostengo». Molto dipende dunque anche dalle donne, deve maturare in loro questo processo di consapevolezza. L’impegno dell’acheruntina con tutte le associate è quello di «scardinare i pregiudizi di genere – afferma – che ancora persistono, e in questo cambiamento sono coinvolte anche le stesse donne. È necessario invertire quegli schemi sociali maschilisti per fare spazio – chiosa – ad una rivoluzione culturale»

Di Maria De Carlo

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