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LA CULTURA CHE ACCETTA DONNA E UOMO NELLA LIBERA DIFFERENZA

L’approfondimento di Maria De Carlo

Estate e tempi di letture e di riflessioni. Vi suggerisco un piccolo volume scritto da Luce Irigaray dal titolo: “Amo a te”. Quello che accade, quasi quotidianamente, è dover ascoltare la cronaca su tragedie nella vita di coppie che scoppiano. “Finché io vivo non sarà una donna a comandare”. Con queste parole Creonte ordinò la prigionia di Antigone. Il tiranno voleva dimostrare il suo totale potere sulla vita e sul corpo di quella giovane che egli riteneva ribelle per aver disubbidito a un suo ordine. Una disubbidienza aggravata dal fatto che a compierla era una donna. Creonte dice: “Non sarei più io l’uomo, l’uomo sarebbe lei, se queste prepotenze restassero senza castigo”. Ed è proprio in queste parole che si perpetua e trova sempre linfa vitale il gesto di rendere la donna suddita e schiava. Di tiranni la storia ne ha avuti tanti e oggi questa tirannia si manifesta nel femminicidio definito “un desiderio più o meno inconscio degli uomini di continuare ad affermare la propria superiorità punendo la donna che non sta al suo posto, distruggendone la personalità con la violenza fisica e psicologica”. Un rapporto proprietario e di possesso quello maschile, parabola di una cultura e mentalità patriarcale, negazione del riconoscimento dell’alterità, dell’altro, quale espressione dell’essere nella creazione un “due” e non un “uno”. Non ultima la vicenda nostrana di qualche giorno fa con la simpatica e pungente battuta del presidente Mattarella a proposito dell’uso femminile per gli incarichi istituzionali: “Spero -ha detto- si possa ancora dire la parola sindaca”. Molte sono state le donne che hanno cercato di offrire una riflessione e dare una risposta, con la loro vita, ad un nuovo modello. Tra le tante Marie de Gournay e Olympe de Gouche. La prima (1565 – 1645) è stata una precorritrice della donna contemporanea. Scrittrice e filosofa. Pubblicò anche alcune opere dedicate proprio all’uguaglianze tra i sessi. Scelse di rimanere single e lavorare per una propria autonomia. Se pensiamo che ancora oggi, in tante parti del mondo e della nostra società ci sono donne che non hanno la possibilità di scegliere…si sospendono le parole. Olympe de Gouche (Montauban, 1748 – 1793), drammaturga e attivista francese, è anch’essa una donna che ha voluto riscattare la sua autonomia. Rimasta vedova giovanissima scelse di non risposarsi più e del matrimonio pensava che fosse “la tomba della fiducia e dell’amore”. Ma battuta a parte, Olympe ebbe un ruolo fondamentale per i riconoscimenti dei diritti della donna. Tanto che “perdette” la testa, e non in senso metaforico. Fu ghigliottinata il 3 novembre 1793 “perché – si legge nelle motivazioni – si era dimenticata le virtù che convengono al suo sesso” e per “essersi immischiata nelle cose della Repubblica”. Nella sua opera, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, pubblicato il 1791, Olympe riscrisse quella Dichiarazione che segnò una svolta. Una pensatrice contemporanea, Luce Irigaray ci spiega che la vera passione è amare volgendosi a qualcuno e non ridurre l’amata a specchio dei propri desideri. Più che dire “Ti amo” bisognerebbe dire – spiega Irigaray – “Io amo a te” e cioè l’altra non è l’oggetto. La donna amata va guardata con quell'”ammirazione che guarda ciò che guarda sempre una prima volta, e che non afferra mai l’altro come un proprio oggetto” Ma bisogna anche dire che l’attenzione andrebbe posta non tanto sulle donne vittime ma sui suoi carnefici. Di quegli infelici che hanno scambiato le donne reali con quelle che loro credono di amare e cioè un modello di femminilità da loro stessi costruiti. Un tipo di donna che risponde ai seguenti parametri: bellezza, arrendevolezza, bisogno di protezione, premura, calore materno, riserbo, etc….. È quanto Lucy Irigaray afferma rilevando come questo gioco sia tenuto in piedi dalle stesse donne: “La donna finisce, una volta di più, per inquadrarsi, incastrarsi, impalarsi in questa struttura architettonica più che mai potente. A volte lei stessa si compiace di domandarvi un riconoscimento di coscienza”. Inoltre, questi uomini hanno bisogno di ritrovarsi, di ripensarsi, di interrogarsi sul loro ruolo oggi. Perché si sa, la paura di essere abbandonati, l’insicurezza e lo smarrimento possono portare anche a forme più estreme di violenza. È necessaria, dunque, una rivoluzione di pensiero. Ma già qualcosa sta accadendo. Lo dimostrano le numerose uccisioni. Il sangue indica questo cambiamento. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. La necessità di riflettere e di gettare i semi di un nuovo pensare a partire fin dalla tenera età è una sfida urgente, contro una cultura maschilista e patriarcale ancora dura a morire.

Di Maria De Carlo

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