(MEZZI) UOMINI, (VERE) BESTIE E (FALSI) DEI
Nessuno impedisce di raccontare i falsi complotti che esistono solo nella fantasia di Amato. potrebbe però farci sapere qualcosa in più su indagini e sequestri al suo editore. Il più volte fallito Quotidiano dei Dodaro parla di squadristi, fingendosi martire e invoca la libertà di stampa per zittire le voci scomode
Compagni giornalisti avete troppa sete e non sapete approfittare delle libertà che avete. Avete ancora la libertà di pensare ma quello non lo fate e in cambio pretendete la libertà di scrivere e di fotografare Immagini geniali e interessanti di presidenti solidali e di mamme piangenti. E in questa Italia piena di sgomento come siete coraggiosi, voi che vi buttate senza tremare un momento, cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti e si direbbe proprio compiaciuti. Voi vi buttate sul disastro umano col gusto della lacrima in primo piano». Le parole le avrete riconosciute tutti. Non sono nostre ma del grandissimo Giorgio Gaber. Ci sono venute in mente leggendo di “squadristi, diligenza e bottino”, nel quale come in un romanzo picaresco si difende retoricamente la “libertà di stampa” criticando chiunque non la pensi come loro. Libertà di stampa è consentire al novello Lazzarillo del Tormes Leo Amato di rendere «noti retroscena imbarazzanti, accordi, compromessi, paccottiglie di spartizioni miserevoli di una politica terra terra». Libertà di stampa è anche svelare che quei segreti raccontati erano prodotti della fantasia e non frutto del lavoro sulla realtà. Se non esiste il contraddittorio tra opinioni diverse e il racconto di qualcuno diventa monologo non criticabile la libertà di stampa va in frantumi e cade sotto i colpi implacabili dell’ipse dixit.
I LIMITI DELLA LIBERTÁ DI STAMPA
La libertà di stampa, se non vuole diventare un feticcio o un espediente retorico deve fondarsi su elementi oggettivi, trovare il limite della continenza e non trasformarsi mai in una telenovelas brasiliana di mediocre conio. Se si titola “Smaldone, forte presa di distanza” attribuendo forza ad una sparuta minoranza di non eletti candidati nelle liste a sostegno di Smaldone e si vuole far credere che esiste una frattura nella maggioranza al Comune di Potenza, si “abusa” della libertà di stampa e si da enfasi ad un fatto non vero. È un diritto del giornalista farlo. Parimenti rientra nella “libertà di stampa” dire che è ridicolo esattamente come lo sarebbe una prima pagina di una testata di rilevanza nazionale che mettesse in prima pagina “Meloni, forte presa di distanza” facendo riferimento a dei candidati non eletti in un qualsiasi consiglio comunale di qualsiasi città italiana. Se di un cittadino assolto da ogni accusa, dichiarato innocente dai tribunali, le cui misure interdittive sono state dichiarate illegittime dal Consiglio di Stato si dice che ha carichi pendenti che ne sconsiglierebbero la frequentazione e che ha interdizioni e si lascia trasparire l’idea che sia comunque in qualche modo colpevole, si sta facendo un “abuso” della libertà di stampa. Se si sostengono ciecamente le linee giudiziarie della Procura della Repubblica e si adotta una linea giustizialista su qualsiasi cosa e, poi, questa linea editoriale cambia nello stesso momento in cui la Procura della Repubblica nel 2021 adotta un provvedimento di sequestro di quasi 1 milione e mezzo di euro contro il proprio editore, i fratelli Antonella e Francesca Dodaro, perché accusati di aver “sottratto illecitamente risorse e beni alla Lucana Edizioni srl di Potenza, dichiarata fallita a dicembre 2017, già editrice della testata giornalistica Il Quotidiano della Basilicata” con una triangolazione finalizzata a danneggiare i creditori, si sta “abusando” della libertà di stampa per tutelare gli interessi del proprio datore di lavoro. Se, per ogni posizione politica che non si condivide si deve parlare di “di assalto alla diligenza del potere di una città”, attribuendo agli altri metodi che rientrano nei propri desiderata, non si sta esercitando la “libertà di stampa” ma si stanno facendo volgari allusioni che si nutrono e puntano a sollecitare i più bassi istinti delle invidie rancorose.
IL MARTIRIO DI LEO AMATO
Siamo costretti a subirci l’agiografia del martirio di Leo Amato massacrato da noi squadristi al soldo degli agrari. Una pagliacciata senza precedenti che non rende onore ai tanti che l’olio di ricino, il manganello e la purga del sovversivo l’hanno subita davvero. Leo Amato ha tutto il diritto di stare sulle “sudate carte” nel suo quotidiano “studio matto e disperatissimo” finalizzato a cercare nelle sue fantasie i retroscena che non esistono, non saremo certamente noi a impedirglielo. Di questo se ne occuperanno gli organi di giustizia competenti. Ci riserviamo il diritto di smontare le sue fandonie, le sue ricostruzioni fantasiose anche perché abbiamo il privilegio di lavorare e scrivere per un editore che è un editore puro, che non ha altri interessi da tutelare, che prende posizioni politiche senza sperare di ottenere ruoli amministrativi o per mettersi a guardare il bottino non avendo l’esigenza di fare triangolazioni in frode ai creditori determinando, così, il sequestro dei propri beni. Aspettiamo la prossima narrazione tossica da parte del Quotidiano per contraddirla su ogni punto qualora fosse infondata. La attendiamo con la stessa ansia con la quale saremo pronti a criticare il potere qualora commettesse errori di qualsiasi tipo come sempre abbiamo fatto. La libertà di stampa per noi è questo. Non abbiamo bisogno di “presidenti solidali” e delle loro parole per praticarla ogni giorno, ogni momento, in ogni nostro scritto, in ogni nostra scelta. Siamo pronti a confrontarci con le idee di chiunque e ad accettare il contraddittorio da qualsiasi parte provenga senza la necessità di cercare né tutela né protezione. A Leo Amato ci sentiamo di dare un solo consiglio: meno pianti da finto martire e più spasmodica ricerca della verità. Nessuno ti minaccia, nessuno ti insulta, nessuno ti impedisce di fare il tuo lavoro. I martiri della libertà di stampa sono ben altri.
IL RUOLO DEL CONSIGLIO DELL’ORDINE
Ci fa specie leggere sotto il post con il quale si lanciano occultate accuse nei nostri confronti l’intervento di un consigliere dell’ordine dei giornalisti che dice “grande commento su cui dovrebbe riflettere l’intera categoria”. Ci piace immaginare che chi è arbitro nel vedere una polemica non faccia il tifo per nessuna delle parti in campo. Ci piace credere che chi deve tutelare “la libertà di stampa” lo faccia senza avere come preconcetta l’idea che tutte le idee sono uguali ma qualcuno è più uguale delle altre. Ci piace credere che chi ha il dovere di giudicare non si metta a parteggiare. Siamo, però, abituati a questo tipo di faziosità. Noi abbiamo soltanto la nostra penna come arma e non intendiamo rinunciarvici, altri hanno apparati, amicizie, filiere e protezioni. Non è nostro costume lasciarci intimidire e continuiamo sulla nostra strada. Trasformarsi da Consiglio dell’Ordine a ordine del coniglio è molto facile, iniziamo già a sentirne da lontano il ruggito senza, però, averne alcun timore.
Di Massimo Dellapenna