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PIO, BELLESE UCCISO NELLA STRAGE DI BOLOGNA

31enne orfano di madre, originario di Bella, visse col padre, la seconda madre e 8 fratelli a Baragiano

Stazione ferroviaria di Bologna Centrale, era il 2 agosto 1980 quando si consuma un atto terroristico tra i più gravi avvenuti nel nostro Paese negli anni di piombo. Una strage con 85 morti e 200 tra feriti e mutilati.

La bomba era composta da 23 kg di esplosivo, una miscela di 5 kg di tritolo e T4 detta «Compound B», potenziata da 18 kg nitroglicerina a uso civile. L’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su un tavolino portabagagli nell’ala Ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto con l’onda d’urto che insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, che si trovava in sosta, distruggendo circa 30 metri di pensilina e il parcheggio dei taxi antistante l’edificio. L’orologio della Stazione centrale, si fermò alle 10:25, e ne divenne da allora simbolo imperituro della ferocia terroristica.

«Tra le vittime anche Pio Carmine Remollino, 31 anni, nato a Bella il 27 Giugno 1949. Per la Memoria, il Sindaco, l’Assessore alla Cultura e alle Politiche Sociali e l’Amministrazione Comunale, lo ricordano, e ricordano tutte le vittime» asseriscono dalla Casa comunale. Si tiene infatti oggi nella centrale Piazza Plebiscito, la proiezione del docufilm “Un minuto di silenzio – La strage della Stazione di Bologna nel racconto di Paolo Bolognesi”, cui prenderà parte anche la Co-Autrice e Produttrice Marta Pettinari.

Tante le vite spezzate quella mattina, gente innocente, che proveniva da diverse parti d’Italia, che si trovava lì per caso e che fu vittima del terrorismo. Pio Carmine Remollino, era un 31enne orfano di madre, aveva vissuto con il padre settantacinquenne, la matrigna e otto fratelli a Baragiano. A 18 anni era partito per la Germania con quattro dei suoi fratelli, due anni dopo tornò in Italia per fare il servizio militare, terminato il quale aveva iniziato a spostarsi lungo la penisola cercando lavoro. Nel 1976 si era trasferito a Ravenna e svolgeva lavori saltuari come muratore o cameriere. Un uomo di poche parole, viaggiava da solo, dava raramente notizie di sé, ma era intimamente generoso.

Non sappiamo esattamente come mai era in stazione il 2 agosto quando la bomba lo uccise. Fonti certe raccontano che «soltanto il lunedì pomeriggio, due giorni dopo la strage, il padre Antonio Remollino, 75 anni, apprese da un giornale che suo figlio Carmine era morto sotto le macerie della stazione di Bologna. Da Pasqua il giovane non dava notizie di sé. Aveva telefonato per fare gli auguri al padre e agli otto fratelli che vivevano fra Baragiano e Bella, mentre un’altra sorella abitava in Svizzera. Di lui si sa che da qualche anno faceva la spola tra Ravenna e i lidi adriatici, svolgendo lavori saltuari.

Forse il 2 agosto nella sala d’aspetto della stazione, Carmine attendeva un treno che lo riportasse a Baragiano per la festa del paese, o forse stava inseguendo un nuovo lavoro chissà dove. Il treno comunque lo usava spesso. Qual giorno gli fu fatale. Due suoi fratelli, appresa la notizia, partirono la stessa notte per Bologna con un treno notturno, per recarsi all’obitorio. Ai suoi familiari restarono di lui quel poco che fu trovato: una carta di identità, gli indumenti che indossava, un libretto bancario con poche migliaia di lire».

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