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ZIO VITO E LE SUE MILLE RICETTE: IL GENIO COMICO DI MARIO IERACE

L’intervista all’attore che con la sua satira feroce non fa sconti a nessuno

Non so se sia più bravo come pasticciere o come attore: so che in entrambe le arti, emerge per originalità e per il coraggio di osare ma ha il fascino dell’uomo timido e discreto. Le sue ricette sono mille come i personaggi che inventa e interpreta da solo o con gli altri due attori del famosissimo trio comico La Ricotta. Mario Ierace, ormai quasi detto zio Vito, utilizza una satira ferocemente dolce per colpire il potere locale senza esclusione di colpi. I Social, spesso, sono il palcoscenico molto adatto per seguire queste clip che condivide con una certa frequenza e soffermandosi sui fatti di cronaca locale, e non solo, più noti

Ma quando si è accorto di avere la capacità di recitare e di divertire il pubblico? Ci racconta la sua crescita professionale?

«Ho iniziato presto, avevo dieci anni quando ho “calcato” il mio primo palco scenico, in Parrocchia, presso i Salesiani di “Verderuolo”, dove abitavo con la mia famiglia. Imitavo tutti sacerdoti della Parrocchia. Poi entrai a far parte di una compagnia locale “La Maschera”, diretta dal compianto Ginetto Tramater, tempi addietro attore della compagnia dialettale potentina “La Fucagna”. Lui vide in me del talento, ed iniziammo l’avventura delle commedie di Eduardo De Filippo e di Scarpetta. Nel frattempo, il Cine Teatro don Bosco cresceva e divenne di conseguenza il “nostro” teatro»

Che differenza c’è fra sorridere e ridere e come Lei si accorge se piace o meno al suo pubblico?

«Io non rido quasi mai, ma quando sorrido vuol dire che quell’attore mi piace. Di solito si ride di pancia e si sorride con il viso, una smorfia di compiacimento ad una battuta altrui. Io sorrido spesso se la comicità è “no sense” e spesso sorridere è più soddisfacente del ridere»

Potenza è una città molto ferita e imbruttita dall’incapacità di diventare una vera città. Mi spiego meglio: ho pensato negli ultimi anni che la brutta crisi della città di Potenza dipendesse dal suo trasformarsi da grande paese a città. Ora mi rendo conto che forse ho sbagliato e che Potenza non intende trasformarsi in una città europea del Mediterraneo, è destinata a rimanere un paesone con gli atteggiamenti da città. E questo è molto costoso: in fondo anche zio Vito rappresenta un vero paesano e non un cittadino. Le potentine e i potentini sono come zio Vito?

«Vent’anni fa producemmo un nuovo spettacolo e indecisi su quale titolo dargli, prendemmo in prestito una frase ricorrente nel tg regionale ma anche fra il popolo “È un paesone ma è viviBBBile”. Aggiungemmo 2 B per rimarcare il fatto che davvero è un paesone e quando andiamo nei piccoli paesi della provincia, ci dicono che hanno questa convinzione di Potenza. Si sta benino, è vivibile ma resta sempre un paesone. Zio Vito nasce come persona anziana bisognosa di compagnia. Può essere un nostro padre, o nonno, in- somma un cittadino comune, che si “Incazza” moltissimo quando vede le cose storte nella vita e nella sua città, nella politica. I politici di una volta quella veri, non esistono più. I potentini sono stati spesso abituati ad attendere, che migliorasse qualcosa, è una città provinciale, molti si sentono cittadini del mondo ma forse lo sono appena di un Paesone. Quando in queste ultime elezioni 2024 della regione, i partiti si sono smembrati, uniti, apparentati, c’è stata una grande confusione tra gli elettori. Da destra invitavano di votare a sinistra e viceversa, la gente non sapeva cosa fare, allora Zio Vito ha scritto sui social “nella confusione generale, se non sapete chi votare, votate a Tanino Fierro, che se anche non si è presentato, alla fine uscirà sempre. Un messaggio provocatorio, ma non falso. Molti potentini sono Zio Vito, e mi auguro che ce ne siano sempre tanti di più»

Se dovessi scegliere un maestro dal quale imparare l’arte della pasticceria sceglierei la sua appassionata maestria, guadagnerebbe di più facendo il pasticciere o l’attore? È un mestiere che fa diventare ricchi e famosi anche in Basilicata?

«La pasticceria è una passione trentennale. Sono un autodidatta “un po’ evoluto”. Sperimento, trasformo, cerco nuovi ingredienti. Se potessi lavorare per un “maestro”, lavorerei anche gratis. È la passione che mi fa fare quest’arte. Vero anche che ormai la cucina in generale è diventata un po’ di moda. Ben venga però, perché la cucina è passione ma anche tanto lavoro e sacrificio ed è giusto che sia ricompensata come si deve. Anni fa ebbi l’occasione di andarmene in Australia (la nuova America) perché lì se sai fare e bene, sei premiato. Non lo feci, all’epoca ero impegnato in tantissime altre cose. In Basilicata diventare ricchi con la pasticceria è abbastanza difficile, ma fattibile. Io non aprirei mai una pasticceria, ma un luogo di arte culinaria. (non svelo per non farmi rubare l’idea, visto mai che ci ripensi e alla mia veneranda età decido di aprire questo locale?) Io credo che la pasticceria sia un’arte paragonabile al teatro. L’attore è il pasticcere, il dolce il copione e il pubblico i clienti. Prima della pandemia debuttai per la prima volta a teatro da solo e durante lo spettacolo rivestii anche i panni di un improbabile pasticcere. Cucinai mentre recitavo, alcuni dolci che poi il pubblico potè gustare a fine spettacolo sul palco»

Ritengo che saper fare bene più cose è una forma molto alta di genialità: molti credono di saper fare molte cose ma sono mediocri che vivono sotto l’insegna “E che ci vuole?”, invece, io penso che per fare qualsiasi cosa ci voglia l’idea originale, bisogna studiare per imparare e, infine, realizzarla. Per fare qualsiasi cosa di vuole molta passione e rispetto verso chi fa già la stessa cosa e tener conto delle idee degli altri prima di credersi primi. Oltre il pasticciere e l’attore intende fare altro per questa città tristemente povera culturalmente e con la fastidiosa sindrome della primogenitura?

«Vero. Tutto si può fare. Basta volerlo fare e saperlo fare e soprattutto rendersi conto di quanto si vale. Tanti anni fa dovemmo decidere cosa voler fare delle nostre 3 vite. Facemmo un esame di coscienza e prendemmo atto che valevamo e non poco e così decidemmo di continuare a fare gli attori. Oggi La Ricotta compie 37 anni di attività, una vita lunghissima fatta di migliaia di chilometri, tanti sacrifici, porte chiuse in faccia e piccole finestre aperte, milioni di risate, delusioni e soddisfazioni, abbiamo superato i 60 anni ed abbiamo un curriculum lunghissimo che pochi conoscono, da Bolzano a Catania abbiamo toccato ogni regione della nostra penisola ed anche l’estero facendo sorridere ed anche commuovere i nostri emigranti. Ancora non ci siamo fermati, sappiamo bene che accadrà, ma non aspettiamo l’arrivo, continuiamo, arriverà da sé. Sappiamo che quando noi 3 non rideremo più, nelle prove e negli spettacoli live, vorrà dire che dobbiamo fermarci, perché se non ridi degli altri e di te stesso questo mestiere del- l’attore non lo puoi fare. Mi rammarica vedere la nostra città devastata, la gente si offende se uno è critico verso la propria città, ti additano “tu non ami Potenza” come direbbe Zio Vito, non avete capito “un cazzo” è l’esatto contrario. Ai politici che si riempiono la bocca urlando “dobbiamo far ritornare i nostri figli”, io rispondo con le parole delle mie due figlie che vivono all’estero da 9 anni entrambe “papà ma che torno a fa”. Ne vedo centinaia di lucani in giro per l’italia e fuori. Amano e odiano la propria terra che li ha fatti scappare. Farli tornare per cosa, un posto in Regione, alla provincia, al san Carlo, al don Uva? Questi posti ormai sono già occupati dai propri genitori, o amici e parenti. La politica dell’attesa del posto di lavoro è finita ormai da anni, bisogna cambiare, io nel mio piccolo cerco di farlo, mettendo in risalto le cose negative e positive di questa terra e come dice sempre Zio Vito in chiusura di discorso “Bè, a lu vostr gagliard e tost, n’gasa vostra…con garbo, ciao belle”».

Di Antonella Pellettieri

 

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