LA “FIUMANA DEL PROGRESSO” IN BASILICATA
L’approfondimento di Giuseppe Domenico Nigro
In Basilicata lo sviluppo industriale nel suo progresso storico si può paragonare alla fiumana di Giovanni Verga. Nel dopoguerra nacquero come funghi dei colossi chimici: Anic di Pisticci, Pozzi di Ferrandina, Chimica Meridionale di Tito Scalo. Come mai – ci chiediamo – nacquero questi colossi in aree poco servite da collegamenti viari e ferroviari? Sicuramente gli investitori già sapevano la fine che queste ennesime cattedrali nel deserto avrebbero fatto. Perché proprio in Basilicata? Terra prevalentemente a vocazione agrosilvo-pastorale? In quegli anni sembrava che avessimo raggiunto il cielo con un dito. Avremmo risolto tutti i nostri problemi atavici in termini di disoccupazione, anche grazie all’avvento successivo della Fiat di Melfi. Et lux facta est. “È fatto giorno!” – diceva Rocco Scotellaro, poeta dei contadini. Anche se il boom economico ha toccato, proprio come una fiumana in piena la nostra terra, quanto ci è costata l’industrializzazione forzata in Basilicata? Quante lacrime sono state versate? Come in Unione Sovietica con i Piani Quinquennali, così da noi, tutto è stato deciso dai piani alti del potere, senza tener minimamente conto delle reali esigenze e delle vocazioni naturali dei nostri territori. Ora ci troviamo con cattedrali nel deserto da bonificare e con un tasso di disoccupazione che non ha pari in nessuna regione ita- liana. Eppure abbiamo risorse naturali come acqua, gas e petrolio, mari, monti. Siamo circondati da parchi immensi. Abbiamo tutto. Però il nostro popolo non ha nulla? Se dovesse passare la legislazione che rafforza le autonomie regionali, noi dovremmo vivere meglio degli sceicchi d’Arabia. Ma sarà veramente la nostra regione un’Arabia felix? Ai posteri l’ardua sentenza.
Di Giuseppe Domenico Nigro