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ANDREINA ROMANO: DALLA MODA AL SEX TECH

L’intervista all’imprenditrice che ha fatto dell’innovazione e della tecnologia il suo punto di forza. «La nostra sfera di interesse è il benessere dell’individuo in campo sessuale»

Gentile, molto educata ed esuberante nel parlare e nel modo di porsi: piace o non piace, non ci sono vie di mezzo. Molto elegante, sempre, attenta ai particolari e agli accessori come tutte e tutti coloro che amano la fashion e la vivono: lo stile è importante e con gusto e padronanza attraversa il mondo sicura delle sue idee. Ama il nero e il verde: stile e fashion e un’educazione culturale imparati altrove, lo capisci subito dopo averci parlato. Infatti, Andreina Romano è un bachelor in International Business alla Nottingham Trent University e da quando la conosco, più di un decennio, parla di moda e designer e, infine ce l’ha fatta.

Vuol raccontarci della sua formazione avvenuta quasi tutta fuori dall’Italia e della sua passione per la moda e il design? Cos’è il sex tech?

«Da giovanissima avevo una passione per la nuova economia, quella fatta di strategia d’impresa, marketing e nuovi scenari. La formazione universitaria inglese mi dava molte possibilità sotto questo punto di vista per- mettendomi di imparare nuove cose ma anche di esplorare il mondo del lavoro attraverso stage e casi aziendali. Questo mi ha permesso di entrare da subito nel mondo del lavoro specializzandomi prima nel campo della musica e degli eventi e in seguito nella moda. Un mondo a cui sono particolarmente legata soprattutto nel campo Made in Italy, in cui mi sono specializzata a Milano grazie ad un master. Con il tempo mi sono aperta al mondo della tecnologia e dell’innovazione scrutando le novità e facendo formazione continua. Studiare i mercati era il mio pane quoti- diano e questo mi ha aperto a settori nuovi e in grande crescita. Ed è stato in questo momento che ho deciso di investire nel sex tech, un settore in forte espansione mondiale. Parliamo di un mercato di tecnologia, ricerca e rinnovazione applicati alla sfera del mondo del benessere dell’individuo in campo sessuale. Una grande sfida per una donna nel mezzogiorno».

A Giugno Vanity Fair le dedica molto spazio con un’intervista di grande qualità. Mi vedo costretta a rivolgerle una domanda molto simile e riguarda i nomi scelti sia per la ragione sociale dell’azienda sia per i dispositivi di design che producete. Sono una nominalista convinta, nomina sunt consequentia rerum…

«I nomi sono un biglietto da visita e quando presento l’azienda e il brand ci tengo a raccontarne la storia. Nomi che non nascono dal nulla ma che hanno un racconto. Netingerie nasce dall’idea dell’unione del “Net”, quindi rete, intesa come condivisione, connessione, tecnologia, e “Lingerie”. Connessioni e tecnologia al servizio del benessere umano: ed è questo che fa la nostra startup. Il nome del brand, invece, deriva da Twist and Love: twilo unisce quel senso di movimento all’amore. Abbiamo voluto inserire la parola amore perché la nostra missione è declinare il benessere sessuale parlando sempre di emozioni e spogliandolo da quel senso di “sporco e cattivo” che ci ha inculcato la società»

Arriviamo alla domanda regina di questa intervista. Ho deciso di realizzare una serie di interviste per raccontare la città attraverso i suoi abitanti: a Potenza bisogna essere tutti uguali per appartenere, chi è già leggermente sui generis viene indicato come un disturbatore della quiete improduttiva che caratterizza questo luogo. Ci racconta la reazione della città di fronte alla sua idea e all’apertura della sua azienda?

«Risate sottobanco, bisbigli nell’orecchio, scarsa credibilità e senso di superiorità: queste sono alcune delle reazioni che ho visto attorno a me, soprattutto nella parte iniziale del progetto. Non è semplice raccontare una sfida e non è semplice farla accettare: spesso tutto quello che è fuori dal normale quadrato a cui siamo abituati non viene accolto con serenità. Non nego che ho spesso provato a contattare imprenditori locali per parlare del progetto e della sua possibilità di crescita, cosa che normalmente si fa ovunque quando hai progetti di diversificazione e scalabilità, ma dopo alcune battute iniziali si sono tutti defilati. Un peccato se pensiamo che la mia è l’unica azienda di questo spessore in tutto il mezzogiorno e ha attirato l’attenzione di tutti i media nazionali. Ma non ci siamo mai buttati giù e la nostra porta è sempre aperta a tutti!»

Insomma, lei è emigrata a metà a Taranto perché a Potenza e, forse, in Basilicata, nessuno usa questi device ed essere single significa essere infelici a tutti i costi e in ogni situazione? A me pare una fortuna essere single a Potenza dopo aver ascoltato la sua esperienza fuori dal tempo…Credo che bisognerebbe provare vergogna non lavorando, nascondendo le dipendenze dall’alcol e dalle droghe, vivendo in una città con una borghesia piccola piccola che manda avanti i suoi figli super protetti e incapaci il più delle volte. Lei ha ideato una startup di grande innovazione e offerto lavoro e, dunque, è costretta ad allontanarsi….

«Ho scelto di ampliare gli uffici a Taranto perché la Puglia ci ha accolti con grandi applausi e a braccia aperte. Appena arrivati siamo stati chiamati per eventi, incontri, attività sociali, conferenze e molto altro. Twilo era una cosa di cui andare fieri anche per loro. A Potenza ancora non siamo riusciti a fare nulla. Sull’essere single non mi lamento, ho necessità di essere indipendente e questo mi aiuta molto. Ma come tutti, e non ho vergogna di dirlo, mi piacerebbe condividere queste fatiche con qualcuno e tornare a casa stanca e parlarne, ma spesso trovo un muro. E questo è dovuto anche al mio lavoro». Cambierà mai questa città che si vanta di fare progetti rivolti ai giovani, si siede in sdraio in piazza credendosi di gran moda…forse ci vorrebbe un progetto brain tech per rendere migliori le menti e superare virilismo, maschilismo, patriarcato e chi più ne ha, più ne metta. Forza Andreina e w l’amore!

Di Antonella Pellettieri

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