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IL CETO MEDIO IN ITALIA: UNA CLASSE SOCIALE IN DECLINO

Lo studio di Gaetano Fierro

Perché il Ceto medio è in declino nel Paese? Quali le cause che relegano , da sempre, questo vasto e sempre riconoscibile gruppo sociale, dal forte potenziale ci- vico, ad un ruolo secondario nel panorama sociale e politico delle Città piccole o grandi in Italia ? Parliamo di un ceto socia- le, considerato sui generis, che raggruppa le principali categorie culturali, imprenditoriali ed amministrative del Paese e che secondo le ultime stime, s’attesterebbe intorno al 60o/o dell’intera popolazione ita- liana. In un recente articolo, dal titolo: “La rivincita letteraria sui ceti medi trionfanti”, Pierluigi Battista, affermato giornalista del Corriere della Sera, analizza la condizione delle principali classi sociali del Paese con giudizi che rimettono in discussione la loro identità e funzioni. Battista parte facendo l’apologia della classe operaia che, nella sua disgrazia, attira ancora verso di sé le emozioni dei tempi passati, i simboli di una presenza, i rimpianti di cause perse, insomma l’ammirazione che si deve a qualcosa di nobile fatto e di nobilmente sconfitto. Il suo è un omaggio postumo a una classe che ha fatto la storia e che è uscita dalla storia, diventando un frammento sociale tra gli altri, un atomo, sociologicamente, destrutturato, decomposto, liquefatto. Il giornalista, poi, si rivolge con considerazioni di merito alla grande borghesia, alle grandi dinastie industriali, come i Buddenbrook, descritte con accorata maestria da Thomas Mann, che hanno concorso alla trasformazione della società, rendendola moderna, capitalistica e globale. Battista, invece, non è tenero con il Ceto medio, in verità già deplorato, in tempi non sospetti, da Dante che lo definiva, con sarcasmo, “gente nova”. Battista, lo definisce un prigioniero malsano e ipnotizzato dai subiti guadagni, che conosce solo l’egoismo, l’angustia soffocante di una esistenza piccola picco- la, estetica- mente riprovevole. La cultura italiana- a suo dire non ha mai amato i commercianti, gli impiegati, i nuovi ricchi, l’immenso Ceto medio, figlio dell’età del nuovo benessere. La nostra analisi, con questi riferimenti, si propone di contestualizzare ad oggi la paradossale questione del Ceto medio per cercare di comprendere e, possibilmente, ristabilire le ragioni del suo declino, del- la sua instabile ma pur sempre evidente identità sociale . Partiamo dalla condizione economica attuale del Paese, in cui il capitalismo si sta distaccando dalla democrazia, dal mito illuministico degli uguali, per sostituirlo con quel- lo dell’egoismo, dei conflitti economici emergenti, delle disuguaglianze territoriali (Nord Sud), delle sperequazioni oggettive dei diritti fondamentali dei cittadini. La politica ha ceduto, pertanto, le armi all’economia, in cui il contrattualismo sfrenato del capi- talismo finanziario ha fatto scuola ed, ormai, è la forma più moderna di un sistema politico (“oligarchico ed autoritario”), dove sotto i poteri centrali dello Stato, lottizzati e svigoriti, dominano sem- pre più nuovi vassalli potenti : le banche, le grandi imprese, autentiche regine della globalizzazione ( Fiat ed affini) . L’altra condizione che crea confusione e disagio tra le categorie sociali nel Paese è la frequente e non più sostenibile instabilità degli orientamenti ideologici dei partiti che contano. E’ un’amara constatazione vedere che chi è di sinistra fa cose di destra e viceversa. L’impressione generale che si ricava che destra e sinistra non facciano più differenza. Si pensa solo al consenso elettorale o al potere da gestire ! La bandiera di questa nevrosi sociale, avallata, come si accennava, dalla flessibilità delle ideologie, ha sventolato, in occasione del recente rinnovo delle Amministrazioni comunali, sui palazzi del potere a Milano, dove una ridda di tecnocrati auto-convocatasi della media borghesia cittadina, storicamente moderata, pur avendo a disposizione la proposta di un candidato sindaco di un’area di centro moderata e riformista, ha votato per quella del candidato sindaco della sinistra estrema. È un esempio che, tuttavia, evidenzia la particolarità del momento politico che viviamo. In questo quadro economico e sociale, incerto e smarrito nei valori, chi paga le conseguenze, inevitabilmente, sono le categorie più a rischio che, anche per la loro congenita emotività, vengono, di volta in volta, attratte da quei partiti che blandiscono proposte politiche di comodo, strumentali ai loro contingenti interessi. Viene fuori un sistema sociale ed economico squilibrato dove emerge, in modo evidente, la debolezza del Ceto medio che, a causa della sua storica volubilità caratteriale,bcura il proprio particolare svilendo le questioni generali di categoria, quelle che danno la giusta dignità all’intero ceto di appartenenza. Per inquadrare la personalità del Ceto medio ricorriamo ad una metafora che istruisce il giudizio che l’economista Albert Hirschman ha del conducente di un’auto bloccata in un ingorgo. Egli sa, spera, vedendo le prime auto in testa all’ingorgo muoversi, che tra breve, da un momento all’altro, potrà venire il suo turno, ricevendone una sensazione di incoraggiamento nel pazientare ancora. E’ l’attesa, lo spazio di tempo apparentemente vuoto, che segnala il punto vulnerabile del carattere del Ceto medio, in- certo a muoversi, ma pronto ad infilarsi nelle decisioni altrui. Coloro che, in questi ultimi tempi, partendo da scuole di pensiero diverse, teorizzano la condizione del Ceto medio su vasta scala, sono Paul Ginsborg, Zygmunt Bauman e Gian Paolo Prandstraller. I primi due, Ginsborg e Bauman, con una convinta dose di pessimismo, recitano il de profundis del Ceto medio. Lo fanno con argomentazioni decise che marcano il livello d’incomunicabilità delle sue componenti principali, accelerato anche da chi, politicamente, non ha interesse a tenere unito “un gruppo sociale” che da solo, se lo capisse e volesse, sarebbe in grado di cambiare la storia delle Città piccoli o grandi del nostro Paese. Paul Ginsborg ne “La scomparsa del Ceto me- dio” asserisce che, in questi ultimi 15 anni, il Ceto medio si è diviso in due mondi, piuttosto diversi l’uno dall’altro: un Ceto medio, capace di bridging (la capacità di costruire ponti con altre categorie sociali basate sul lavoro dipendente); un Ceto medio, tendente al bonding (la tendenza a rafforzare i legami interni a uno specifico gruppo prevalentemente dedito al lavoro autonomo). Ne riviene un quadro sociale sfaldato in cui è facile fare invasioni di campo promettendo – cosa avvenuta con i governi Berlusconi – ad uno (bridging) agevolazioni fiscali, condoni edilizi, la depenalizza- zione sostanziale del falso in bilancio ; all’ altro (bonding) lo smantellamento della scuola pubblica, gli stipendi in calo verticale in termine di potere d’acquisto, il degrado senza fi- ne delle grandi istituzioni culturali. Zygmunt Bauman, nel suo libro “Consumo , dunque sono”, teorizza la liquescenza del Ceto medio, un processo di marginalizzazione di una classe sociale, opportunista ed eternamente in conflitto con sé stessa. Bauman parte dalla constatazione , in base a valutazioni di mercato. che il sistema economico attualmente è “bipolare” ed è rappresentato da due estremi sociali: i poveri ed i ricchi, nei quali confluiscono, in una parte, colore che sono afflitti da emergenze di tutti i giorni. Nell’altra, coloro che godono di una situazione di assoluto benessere. Questa divergenza economica produce sul piano politico uno schema ideologico duale in virtù del quale le categorie deboli affidano per lo più alla sensibilità delle forze populiste le loro rivendicazioni sociali, mentre quelle che aspirano o si ritengono agiate trovano la loro naturale rispondenza negli ambienti politici conservatori , (in questi tempi, in verità, gli intrecci si sono alquanto invertiti). Si deduce da questa impostazione, marcatamente basata sulla disponibilità o meno del dio denaro, che si trovano spiazzate le categorie sociali storicamente centrali a questi due estremi perché vengono. pertanto, trascinati in uno dei due poli per effetto della situazione economica esistente. Le tesi di Ginsborg e Bauman, sostenute dalla cruda realtà congiunturale che il Paese attraversa, hanno posto in discussione la classificazione storica dei raggruppamenti sociali in Italia, in cui il Ceto medio è stato ben riconoscibile . Ci riferiamo alla nomenclatura tricotomica (proletariato- ceto medio- borghesia) di Paolo Sylos Labini,dove nel ceto intermedio, gli artigiani autonomi, i commercianti, i piccoli e medi imprenditori, liberi professionisti, i dipendenti pubblici si sono ritrovati. Oggi, quella classificazione sociale non è più proponibile perché il mondo è cambiato, a causa di scelte politiche mirate o sbagliate che hanno, inevitabilmente, modificato l’attuale struttura sociale nazionale . Nel particolare: assistiamo che i titolari delle attività commerciali al dettaglio vengono fagogitati dagli ipermercati o dagli outlet; gli artigiani vengono eliminati dalle aziende industriali; i piccoli proprietari vengono colpiti dall’aumento delle tasse, dalla perdita di valori dei prodotti agricoli, dal blocco degli affitti; gli impiegati statali e non hanno smarrito il loro rilievo sociale. Più concretamente : tali situazioni determinano larghe sacche di disoccupazione giovanile, fughe di cervello, conflitti di interessi categoriali esasperati, come pure aumento di povertà e di indebitamento finanziario. Ne deriva da questo complesso e scoraggiante quadro sociale che il ceto medio continua a perdere la propria consapevolezza di ritenersi una classe guida dei processi sociali in continua evoluzione. Tanto premesso : chi, invece rilancia, con rinnovata energia, il caso Ceto medio in Italia è Gian Paolo Prandstraller che, con il suo libro “La rinascita del ceto medio”, in un momento di grave depressione economica e sociale, rompe gli indugi presentando un’originale ipotesi di lavoro, basata sulla teoria della “società della conoscenza”. Prandstraller ritiene che per stare sul mercato in una fase post industriale , costruita sul neoliberismo e sul globalismo, occorra la conoscenza delle tecnologie emergenti ed il supporto cognitivo necessario per controllarle. Chi non si trova in queste condizioni, inevitabilmente, non ha alcuna chance di rimanere sul mercato e di affrontare positivamente la concorrenza. Sono, in sostanza , i piccoli imprenditori che hanno assimilato le conoscenze scientifiche legate alla produzione i nuovi interlocutori , i protagonisti di un nuovo mercato di beni immateriali e di servizi di eccellenza destinato al rinnovamento delle tipologie del lavoro. A far parte del “nuovo Ceto medio”, secondo la teoria di Prandstraller, entrerebbero le frange creative delle società attive nella moda, nel design, nell’architettura, nelle arti visive, nello spettacolo, nel giornalismo, nel cinema e televisione, come pure i membri culturalmente qualificati delle grandi strutture di servizio: ospedali, musei, scuole, tribunali, università, forze armate, polizie, centri di ricerca, case editrici ecc. Come è facile intuire, il nuovo Ceto medio che si propone avrebbe, già da oggi, un’importanza essenziale per qualsiasi società che aspiri a essere civile, moderna e competitiva, a condizione che si adatti alle tendenze di cambiamento in atto in questa epoca di globalizzazione, in cui anche le attese del Ceto medio di immigrati in formazione non potrà sottrarsi ad una più completa analisi da parte della società italiana , se questa in- tende perseguire, in comunione di intenti, il futuro progresso del Paese. In conclusione, si è constatato che l’economia in assenza della Politica diventa, inevitabilmente, antiumanista, dal momento che i sacrifici di tanti non trovano una compensazione ad un livello superiore. Auspichiamo, pertanto, la presenza di un rinnovato umanesimo civile che situi il rispetto della persona al centro della convivenza ci- vile del Paese, basato sul riconoscimento dei diritti universali, come sancito dalla Costituzione italiana.

Di Gaetano Fierro

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