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CAMPANARO DI NUOVO BOCCIATO DAL CONSIGLIO DI STATO

Ennesima scoppola per “sua interdittenza” e l’appiattito tar lucano. a Roma: «assolti e per fatti datati, non c’erano i presupposti». Sospeso l’ennesimo ingiustificato provvedimento interdittivo: quando Piantedosi interverrà?

Esiste un giudice a Roma, in questo caso è il Consiglio di Stato che per l’ennesima volta, la seconda consecutiva, smonta le interdittive del recordman Campanaro. Questa volta è toccato ad un imprenditore che si era vista comminare l’ennesima interdittiva antimafia dal Prefetto che insegue il record e che, a causa di questa interdittiva rischiava di essere escluso da alcune gare. Impugnato il provvedimento al Tribunale Amministrativo Regionale, lo stesso lo aveva – come spesso fa con una sorta di ingiustificata sudditanza psicologica – confermato con la successiva esclusione dell’imprenditore da alcuni appalti che si era aggiudicato. L’imprenditore, non soltanto ha impugnato ai rispettivi TAR le esclusioni, ma si è rivolto al Consiglio di Stato.

INTERDITTIVA ILLEGITTIMA

Il Consiglio di Stato ha sospeso immediatamente l’interdittiva considerato che «la motivazione articolata dall’Amministrazione a fondamento del provvedimento interdittivo impugnato poggia su elementi di valutazione di oggettiva risalenza nel tempo o di non univoca conducenza, necessitando un apprezzamento nel merito le censure di difetto di motivazione e di travisamento dei fatti». In pratica, secondo il Consiglio di Stato il Prefetto Campanaro, nella sua ricerca spasmodica delle prime pagine dei giornali che gli riconoscano un ruolo da super eroe, avrebbe interdetto un imprenditore sulla base di fatti risalenti nel tempo (oltre venti anni) e non univocamente valutabili. «Il provvedimento interdittivo – scrive il Consiglio di Stato – risulta fondato su un’ipotesi investigativa di 25 anni fa che aveva visto coinvolti due soci ai quali con sentenze definitive è stato escluso ogni coinvolgimento in associazioni a delinquere di stampo mafioso». Mentre «gli ulteriori elementi di valutazione apportati dalla Prefettura farebbero riferimento apparente ad emergenze investigative che nella prospettazione inferenziale della Prefettura, avrebbero messo ulteriormente in luce una contiguità dell’imprenditore con un presunto clan mentre, in realtà, sarebbero rievocati gli ennesimi fatti per i quali l’imprenditore era stato assolto». Così come, precisa il Consiglio di Stato «nemmeno conferenti sarebbero le recenti segnalazioni di polizia che riguardano l’occasionale identificazione dell’imprenditore con soggetti ritenuti controindicati, sia per l’occasionalità di tali accertamenti, sia per il carattere non indiziante dei pregiudizi ascritti a detti soggetti non annoverabili tra i c.d. reati spia».

UN INNOCENTE MANDATO AL MACELLO

Le motivazioni con le quali il Consiglio di Stato demolisce il provvedimento interdittivo del Prefetto sono alquanto indicative del modo di procedere della Prefettura di Potenza che, ad oggi ha emesso un numero abnorme di interdittive rispetto ad altre province dove ben più forte è il fenomeno mafioso e che getta un ombra enorme sulla certezza del diritto e sulle possibilità di fare impresa in Basilicata. Ricapitolando, infatti, un imprenditore nel 2000 è stato imputato per mafia, il processo ha escluso la sua colpevolezza assolvendolo con formula piena e viene fermato in un controllo di polizia occasionale con una persona che ha in corso procedimenti penali per reati non associativi. Per «Sua Interdittenza Campanaro» tutto ciò basta per dire che quest’imprenditore non può più contrarre con la pubblica amministrazione. Addirittura il Prefetto utilizza le emergenze di un’indagine per fatti del tempo in cui Mancini e Conte ancora giocavano in Nazionale e quasi tutti i calciatori della serie A in campo non erano ancora per interdire un imprenditore dimenticando che per quei fatti lo stesso imprenditore è stato assolto con formula piena. «Il più probabile che non» che viene utilizzato come motivazione logica per l’interdittiva prefettizia, nel sistema Campanaro può superare anche non la presunzione ma addirittura la certezza di innocenza.

È ORA DI DIRE BASTA

La Provincia di Potenza, il sistema imprenditoriale del nostro territorio non può rimanere ostaggio di una visione contraria alle più elementari regole del diritto. Un’imprenditore assolto non può essere interdetto dal Prefetto. In nessuna democrazia dove viga la separazione dei poteri un dirigente del Ministero dell’Interno può ribaltare la decisione di un Magistrato. Si parla sempre di autonomia della Magistratura dal Potere Politico ma cos’è questa indipendenza se una sentenza di assoluzione può essere ribaltata da un organo di Governo? Il Ministro Piantedosi per quanto tempo intende tenere sotto scacco il tessuto imprenditoriale della nostra provincia? Per quanto tempo un imprenditore potentino, assolto da ogni accusa o addirittura mai indagato per niente, dovrà essere costretto a fare tre ricorsi al TAR e uno al Consiglio di Stato per poter lavorare? Onestamente questa situazione è diventata insostenibile e se la politica tace per paura, se l’informazione fa finta di non vedere per convenienza noi ci mettiamo il petto e il coraggio della nostra libertà e del nostro giudizio sperando di non dover subire ritorsioni per la nostra scelta libera. Può mai essere che Basilicata, tanto per citare la regione di appartenenza della sottosegretaria agli interni Wanda Ferro, ci siano più interdittive della Calabria? Ci piacerebbe che ci fossero più uomini liberi e coraggiosi nella nostra terra perché non basta soltanto criticare gli eccessi e gli errori della politica, spesso l’atto di un Prefetto che condanna chi è già stato assolto da un Tribunale, può fare danni inenarrabili e non tutti hanno la forza economica di sostenere tre ricorsi al TAR e uno al Consiglio di Stato per poter lavorare.

Di Massimo Dellapenna

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