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ROBERTA BRUZZONE PERDE IN 1º GRADO ED ANCHE IN APPELLO CONTRO GIORNALISTI DI REPUBBLICA, CORRIERE DELLA SERA, SECOLO XIX – LA SENTENZA

Tutti soggetti precedentemente querelati ed assolti in via definitiva perché il fatto non sussiste

È GIUSTO INFORMARE 

 

UN CASO ALLA VOLTA FINO ALLA FINE 

 

L’articolo riporta notizie utili alla collettività
Tuttavia, chiunque ritenga di voler smentire, integrare, o esprimere il proprio diritto di critica e cronaca si può rivolgere alla nostra redazione 

RIPORTIAMO INTEGRALMENTE IL TESTO DELLA SENTENZA 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA
SEZIONE II CIVILE

Composta dai Magistrati
Dott. Marcello Bruno Presidente
Dott. Fabrizio Pelosi Consigliere
Dott. Gabriele Marroni Giudice ausiliario rel.
riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente

SENTENZA
Nel procedimento di appello iscritto al n. R.G. 370/2021 avverso la sentenza n. 284/2021 emessa dal
Tribunale di Genova, in data 08/02/2021
Tra
BRUZZONE ROBERTA, rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Cristina Ciace ed elettivamente
domiciliato presso il suo studio in Perugia, Via Fiume 17 -APPELLANTE
Contro
STRANO MARCO, rappresentato e difeso dall’Avv. Emilio Rinaldi ed elettivamente domiciliato
presso il suo studio in Roma, via Buccari n. 3 -APPELLATO
ITALIANA EDITRICE S.P.A. (ANCHE ITEDI S.P.A.) ORA GEDI NEWS NETWORK S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, e CETARA GRAZIANO, rappresentati e difesi dagli
Avv.ti Francesco Liconti e Guido Galliano ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Genova, Via Roma 10/10 -APPELLATI
CONCLUSIONI DELLE PARTI
PER L’APPELLANTE
“l’Ecc.ma Corte di Appello adita Voglia: – riformare la sentenza n. 284/2021, del Tribunale di Genova, pubblicata in data 8 febbraio 2021, pronunciata a definizione del proc. n. 8339/2015,
repertorio n.318/2021, e che venga accertata la responsabilità delle convenute STRANO Marco ed Il Secolo XIX – Italiana editrice SPA nei confronti dell’Attrice, ai sensi degli articoli 2043, 2049, 2055 e 2059, con condanna al risarcimento del danno liquidato in via equitativa, ai sensi degli artt. 2056 e
1226 c.c. – ordinare la pubblicazione della sentenza su “Il Secolo XIX”, “La Repubblica”, “Il Corriere della Sera” e nella home page del sito criminologia.org a spese dei convenuti.

Con vittoria di spese di lite, onorari e competenze tutte, oltre IVA e CPA come per legge, oltre al rimborso delle spese generali in misura del 15%, I.V.A. e C.P.A..”
PER L’APPELLATO STRANO
“1) In via preliminare dichiarare inammissibile l’appello nei confronti del dott. Strano: a) per carenza dei requisiti minimi di cui all’art. 342 c.p.c. b) per carenza di interesse ex art. 101 c.p.c., visto l’ormai consolidato accertamento dell’insussistenza della diffamazione, c) per mancata prospettazione e prova del danno; 2) nel merito, rigettare l’appello nei confronti del dott. Strano perché infondato in fatto ed in diritto e non provato; 3) condannare l’appellante alla rifusione delle spese di giudizio, da distrarsi in favore del sottoscritto difensore antistatario.”

PER GLI APPELLATI GEDI E CETARA
“Piaccia all’Ecc.ma Corte, contrariis reiectis, respingere siccome inammissibili ed infondate tutte le domande proposte da Roberta Bruzzone nei confronti di Italiana Editrice S.p.A. ora Gedi News Network S.p.A. e di Graziano Cetara, a mezzo dell’atto di appello notificato in data 27 aprile 2021 e per cui è causa, confermando la sentenza n. 284/2021 del Tribunale di Genova. Vinte le spese.”

MOTIVI
Con ricorso ex art. 702 bis cpc, la Dott.ssa Roberta Bruzzone agiva nei confronti di Marco
Strano, il Secolo XIX Società Edizioni Pubblicazioni SEP Spa e Graziano Cetara, al fine di ottenere il risarcimento del danno, ognuno nelle rispettive posizioni, il primo per le dichiarazioni rilasciate, quale intervistato ed ex fidanzato della ricorrente, la seconda quale casa editrice ed il terzo quale giornalista, per la pubblicazione, nell’edizione del 29 ottobre 2011, a pagina 1 del Secolo XIX, dell’articolo diffamatorio dal titolo

“Criminologi in guerra via la Bruzzone dalle trasmissioni RAI”

(allegato 01.01 all’atto introduttivo), con rimando a pagina 13 all’articolo dal titolo “Lettera aperta a Vespa: “non la inviti più in trasmissione, non possiede tutti i titoli che esibisce – La guerra dei
criminologi TV – Roberta Bruzzone accusata dai colleghi. Lei reagisce li denuncio”

(allegato 01.03 all’atto introduttivo ed all. 1 all’appello). La Dott. Bruzzone allegava che, attraverso la pubblicazione
censurata, che riferiva dell’invio – da parte di alcuni criminologi italiani – di una “lettera aperta” a Bruno Vespa, nella quale venivano avanzati dubbi sui suoi titoli accademici e sulla sua competenza professionale, era stata attuata verso di lei, da parte de “Il Secolo XIX”, una grave lesione dell’onore
e della reputazione. In particolare, il quotidiano avrebbe ingenerato nei lettori la convinzione della rispondenza al vero delle affermazioni contenute in tale lettera aperta, riferendo altresì le dichiarazioni rese dal Dott. Strano, ex convivente della ricorrente, nei cui confronti ella affermava di aver presentato svariate denunce, venendo a sua volta querelata dallo Strano. Concludeva che le
dichiarazioni dell’intervistato, anche in relazione alla lettera aperta ed ai suoi presunti firmatari, non erano veritiere e risultavano diffamatorie, ponendo in dubbio la circostanza del possesso dei titoli vantati dall’attrice nel proprio curriculum vitae, così come false erano le informazioni contenute nell’articolo del giornalista CETARA.
Veniva proposta altresì querela dei confronti del giornalista,
Graziano Cetara e del Direttore del Giornale, La Rocca Umberto.
Si costituivano ritualmente in giudizio Italiana Editrice S.p.A. e Graziano Cetara, contestando
la fondatezza delle domande avversarie e chiedendone l’integrale reiezione.
Anche Marco Strano si costituiva in causa rilevando l’infondatezza delle domande formulate da parte ricorrente.
Mutato il rito e concessi i termini per le memorie ex art. 183 VI c cpc, venivano ammesse parzialmente le prove orali dedotte dalla ricorrente Bruzzone, dando sfogo all’interrogatorio formale dei convenuti Cetara e Strano ed escutendo il teste indicato da parte attrice.
All’udienza del 17/11/2017, in considerazione dell’avvenuta costituzione di parte civile della
Dott. Bruzzone nel procedimento penale per il reato di diffamazione a mezzo stampa promosso a seguito di querela nei confronti del giornalista Cetara, in relazione all’articolo per cui è causa, quest’ultimo formulava istanza per la declaratoria di estinzione del giudizio limitatamente al suo rapporto processuale con la ricorrente.
Ritenuta istruita la causa, precisate le conclusioni e depositate conclusionali e repliche, veniva emessa la sentenza gravata n’ 284/2021 del 08/02/2021, con la quale il Tribunale di Genova così decideva: “preso atto dell’avvenuta rinuncia da parte dell’attrice agli atti del giudizio nei confronti di Graziano Cetara ex art. 75, comma 1, c.p.p., a seguito dell’avvenuto trasferimento nel processo
penale dell’azione civile proposta nel presente giudizio. Dichiara l’estinzione del giudizio
limitatamente al rapporto processuale tra Roberta Bruzzone e Graziano Cetara. Rigetta Tutte le domande svolte nei confronti di ITEDI S.P.A. e di STRANO MARCO.

Condanna BRUZZONE ROBERTA a rifondere le spese di lite in favore di ITEDI S.P.A., che liquida in complessivi € 6.500,00 oltre rimborso forfettario spese al 15%, IVA e CPA.

Condanna BRUZZONE ROBERTA a rifondere le spese di lite in favore di STRANO MARCO, che liquida in complessivi € 6.500,00 oltre rimborso forfettario spese al 15%, IVA e CPA. Dispone la distrazione delle spese in favore dell’Avv. Emilio Rinaldi, che si è dichiarato antistatario.”

Il Tribunale, preliminarmente, per la posizione di CETARA, dava atto del trasferimento dell’azione civile nel processo penale, come dichiarato a verbale udienza del 17.11.2017. Poiché il trasferimento dell’azione civile nel processo penale determinava l’estinzione parziale del giudizio, per avvenuta rinuncia agli atti nei confronti del convenuto CETARA, ex art. 75 cpp, la posizione del medesimo veniva esaminata unicamente per stabilire la fondatezza della domanda nei confronti di ITEDI S.P.A. (editore dell’articolo pubblicato sul SECOLO XIX del 29.10.2011), la cui posizione doveva essere esaminata unitamente a quella di STRANO (soggetto intervistato nel medesimo articolo). In relazione alla posizione di STRANO, il Tribunale riteneva che l’intervista allo stesso, fosse stata stimolata dalle dichiarazioni della stessa Bruzzone, la quale, affermando: “La lettera è frutto della volontà persecutoria del mio ex fidanzato che ho provveduto a denunciare per stalking”, lo aveva indicato come implicato nell’iniziativa. L’articolo riportava le dichiarazioni di Strano: “Le denunce per stalking sono finite con una archiviazione. Non ho promosso né firmato alcuna lettera
aperta. Quella è una iniziativa del sindacato a cui sono iscritto, che ha riscosso adesioni nel mondo scientifico”. Tali dichiarazioni, nella parte relative allo stalking, non contenevano alcun elemento diffamatorio, in quanto limitate all’esito delle denunce, per alcune delle quali, dall’istruttoria, era emersa l’effettiva archiviazione, mentre per altre, parte attrice, onerata dell’eventuale prova della falsità, non aveva fornito prova di procedimenti pendenti. In ogni caso non venivano ritenute, nel loro contenuto diffamatorio, piuttosto che di difesa dalle accuse di parte attrice. In relazione alla lettera aperta, lo Strano dichiarava di non aver firmato la lettera, sostenendo che era stata un’iniziativa del sindacato cui apparteneva, approvata da una parte del mondo scientifico. Anche tali espressioni non venivano ritenute diffamatorie in quanto risultava vero che Strano non fosse fra i firmatari della lettera e, seppure non promossa dal sindacato Consap, risultava veritiero che la lettera aveva avuto adesioni dal mondi scientifico. Il tribunale rilevava che dall’istruttoria, sebbene il teste Innocenzi, Segretario Generale del Sindacato “(sentito come testimone all’udienza del 5.10.2016) negava ogni iniziativa in merito alla lettera aperta, affermando che STRANO come Dirigente Nazionale Responsabile Formazione Ricerca Scientifica non era legittimato a parlare a nome e per conto del Sindacato” (Cfr sentenza), dall’interrogatorio del convenuto, valutato sulla base delle dichiarazioni complessivamente rese, “si ritiene provato che STRANO MARCO abbia detto sostanzialmente la verità, ossia che l’iniziativa della “lettera aperta” era anche del Sindacato, o era condivisa nel mondo sindacale, e che comunque vi aveva aderito il mondo scientifico.” (Cfr sentenza).
Infine, il Tribunale rilevava che “in ogni caso, anche ove fosse parzialmente falsa l’affermazione secondo cui la c.d. “lettera aperta” era iniziativa del Sindacato (che probabilmente non condivideva solo la parte della lettera relativa alla contestazione dei titoli professionali, v. deposizione del teste Innocenzi) non sussiste l’elemento diffamatorio, dal momento che la questione rilevante – e assolutamente vera e costituente il nucleo centrale dell’articolo – è che buona parte del mondo scientifico aderì effettivamente a quella lettera aperta, chiunque ne fosse stato il promotore.” (Cfr sentenza)
Rigettata la domanda nei confronti Strano, il Tribunale esaminava la posizione dell’editore che, comunque, doveva essere esaminata alla luce del comportamento dell’autore dell’articolo, Cetara, sebbene la domanda nei suoi confronti fosse stata trasferita in sede penale. Il Tribunale in
relazione alla parte dell’articolo relativa alle dichiarazioni di Strano affermava: “Il giornalista, indirizzato a intervistare STRANO MARCO proprio dall’attrice Bruzzone, non era tenuto a verificare la veridicità delle dichiarazioni rese dall’intervistato, né ad interpellare il Segretario Generale di CONSAP, in quanto egli si limitava a riportare il testo delle dichiarazioni dell’intervistato, senza assumersene minimamente la paternità. Per quella parte dell’articolo, relativa all’intervista a STRANO MARCO, veicolata dalla stessa attrice, non vi era l’onere di approfondire ulteriormente l’attendibilità del dichiarante, né tantomeno la verità di ciò che egli affermava.” (Cfr sentenza).
Il Tribunale escludeva che fosse diffamatorio il titolo, motivando: “il titolo “Criminologi in guerra “Via la Bruzzone dalle trasmissioni Rai” non si ritiene né offensivo né diffamatorio – a parte la terminologia disinvolta tipica dei titoli degli articoli e finalizzata a catturare l’attenzione dei lettori, e tuttavia ormai ampiamente ammessa in un’epoca di flessibilità e libertà di espressione praticata a tutti i livelli nel mondo della informazione.”
(Cfr sentenza).

In relazione alla lettera aperta, il Tribunale affermava che diverse adesioni alla lettera non erano state smentite, comprese quelle di
Bruno e di Garofano, e che “Il giornalista si limita a riportare la notizia della esistenza di una “lettera aperta” diretta a Bruno Vespa, contenente anche la affermazione che i titoli e i diplomi esibiti dalla Bruzzone non sarebbero tutti autentici. Certamente, né il giornalista, né l’editore, a fronte della notizia “vera” della esistenza della lettera aperta sono tenuti a verificare la verità intrinseca del suo contenuto. Essi riportano, nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, e con la facoltà di “condire” la notizia degli aneddoti che ritengono più interessanti per il lettore, la notizia della “lettera” ma lasciano al lettore l’interrogativo sulla sostanza del fatto. “Vero? Falso? Proprio come nei migliori
gialli di cui la psicologa genovese Roberta Bruzzone dice di essere uno dei massimi esperti, nessuno conosce la verità tranne i diretti protagonisti. L’unico dato certo è che è in circolo da qualche giorno una lettera aperta con la quale alcune sigle sindacali della Polizia di Stato e noti esponenti della criminologia forense mettono in dubbio le credenziali e gli stessi titoli della nota criminologa e opinionista televisiva”
Tutto il testo dell’articolo giornalistico, sia pure adottando un linguaggio volutamente ispirato allo stesso mondo del “giallo”, si limita a riportare il fatto storico, di cronaca, dell’avvenuto invio della lettera aperta a Bruno Vespa.”
(Cfr sentenza).

Il Tribunale aggiungeva che
“L’articolo quindi si limita a riportare il contenuto della lettera, ma nulla aggiunge in ordine alla verità/falsità di quanto vi è scritto. La notizia viene prima, ed è unicamente quella della esistenza della lettera, il cui contenuto è riportato ma non verificato. Nemmeno è esigibile che sia la stampa a verificare la “verità” di quanto scritto nella lettera aperta. Come tale, e in questi termini, la notizia non può essere diffamatoria, e corrisponde sicuramente a un interesse pubblico all’informazione, e per chi vuole, all’approfondimento. Il linguaggio, sia pure connotato da accenti da “giallo”, è perfettamente continente. L’articolo poi è pertinente con l’argomento, e non lo travalica. Infine, vengono interpellati tutti i soggetti coinvolti, e le loro dichiarazioni (di cui giornalista ed editore non assumono alcuna responsabilità) sono riportate integralmente.” (Cfr sentenza), per cui rigettava la
domanda anche nei confronti di Itedi SpA.
Con atto di citazione 26.04.2021 proponeva appello Bruzzone Roberta, dando atto che, in data 4/12/2018, era stata emessa la sentenza penale del Tribunale di Genova n’ 4616/2018, di condanna sia del giornalista Cetara, che del direttore del giornale, La Rocca, per i reati loro ascritti inerenti alla pubblicazione dell’articolo di cui è causa, oltre cha al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede civile, sentenza depositata in primo grado all’udienza del 7/6/2019 in forma cartacea, e, successivamente, nel luglio 2019 sulla piattaforma digitale, sostenendo i seguenti motivi: – errore in fatto ed in diritto per aver dichiarato l’estinzione del Giudizio nei confronti di Cetara ed aver valutato
l’istruttoria limitatamente alla posizione di Strano, senza attenersi al contenuto della sentenza penale di primo grado depositata in atti prima della precisazione delle conclusioni oppure sospendendo il processo fino alla sentenza definitiva, al fine di evitare il contrasto di giudicati; – errore in fatto ed in diritto nella valutazione del contenuto come non diffamatorio sia del titolo che dell’articolo in contrasto con la sentenza penale di primo grado e per aver pubblicato la lettera indirizzata a Bruno Vespa, missiva che il giornalista ha reperito in internet, priva di sottoscrizione e senza aver verificato l’autenticità, ad iniziare dalla correttezza dei nominativi riportati in calce quali coautori; – errore in fatto ed in diritto per aver escluso la responsabilità di Strano per diffamazione, valutando l’attendibilità delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio mediante una prova (lettere esibite e non acquisite) non ammessa al giudizio, perché tardiva.
Chiedeva la riforma della sentenza gravata,
l’accoglimento della domanda risarcimento del danno, sia non patrimoniale, anche rimettendosi al giudizio di equità, nei confronti di tutti gli appellati il favore delle spese dei due gradi.
Si costituiva GEDI, già Itedi, S.p.a. con comparsa 29.10.2021, con la quale contestava i motivi di appello, sostenendo l’infondatezza degli stessi. In particolare, osservava la legittimità della estinzione del procedimento civile nei confronti di Cetara, dopo che l’appellante aveva proceduto alla costituzione di parte civile nel processo penale, in quanto la sentenza penale di primo grado era stata impugnata da Cetara e da La Rocca, mentre Gedi non era parte del suddetto processo. Chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza gravata, con il favore delle spese del grado.
Si costituiva in data 15/12/2022, anche Strano Marco, con comparsa con la quale eccepiva l’inammissibilità dell’appello per indeterminatezza e, nel merito, l’infondatezza dei motivi di appello.
Parte appellante chiedeva, in relazione alla costituzione di Strano Marco, dichiararsi la tardività con le decadenze previste dalle norme di Legge. Chiedeva altresì la sospensione del procedimento “in attesa del passaggio in giudicato della sentenza penale pronunciata dal Tribunale di Genova”. Sul punto, con ordinanza 23/11/2021, la Corte d’Appello dichiarava l’insussistenza dei
presupposti per far luogo alla sospensione del giudizio in attesa dell’esito del procedimento penale, “posto che – quand’anche passasse in giudicato la sentenza di condanna del Cetara – l’accertamento reso in sede penale non potrebbe fare stato nei confronti delle altre due parti”.
Nelle more avveniva il deposito della sentenza n. 2703 del 28/9/2023, con la quale la Corte d’Appello penale di Genova, in riforma della pronuncia di condanna di primo grado del 4/12/2018, assolveva Cetara Graziano e La Rocca Umberto dal reato loro ascritto con la motivazione che il fatto non sussiste e la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.
Veniva fissava l’udienza del 21.11.2023, tenuta in forma cartolare, alla quale, precisate le conclusioni delle parti e concessi i termini massimi per il deposito di conclusionali e repliche, la causa veniva trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
In relazione alla richiesta di pronuncia della tardività della costituzione dell’appellato Strano Marco, la Corte rileva che il contenuto della costituzione tardiva è limitato alle mere difese, senza proposizione di alcuna attività preclusa dalla tardività, per cui non sussiste interesse alla richiesta declaratoria.
In relazione all’eccezione di inammissibilità dell’appello per la mancanza dei requisiti ex art. 342 c.p.c., sollevata da parte appellata Strano e, comunque, rilevabile anche d’ufficio, la Corte fa presente, sul punto, che l’impugnazione contiene un’indicazione dei fatti e un’esposizione dei motivi che
rendono le doglianze sufficientemente individuabili negli elementi costituitivi, come richiesto dalla sentenza n. 17712/2016 a proposito dell’art. 434 c.p.c., avente identica formulazione dell’art. 342 c.p.c. ed in conformità anche le successive pronunce Cass. 13535/18 e Cass. 7675/19.
IL primo motivo di appello, relativo all’errata estinzione ex art. 75 c.p.p. della domanda nei confronti di Cetara Graziano, non è fondato e, in ogni caso, è superato dalla pronuncia della sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 2703 del 28/9/2023, con la quale, in riforma della pronuncia di condanna di primo grado del 4/12/2018, venivano assolti, Cetara Graziano e La Rocca Umberto, dal reato loro ascritto con la motivazione che il fatto non sussiste.
La pronuncia del Giudice di primo grado, infatti, ha tenuto conto della disposizione dell’art. 75 cpp che stabilisce al comma 1: “L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche
non passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio”. Sulla base della dichiarata costituzione di parte civile nei confronti del convenuto Cetara, il Giudice di primo grado, verificata l’identità dell’”an” della domanda civile trasferita, nel procedimento penale
per gli stessi fatti, ha correttamente dichiarato l’estinzione parziale del giudizio fra le parti Bruzzone e Cetara.
La Corte, con l’ordinanza 23.11.2021, ha altrettanto legittimamente, rigettato l’istanza di sospensione del procedimento civile nei confronti di Strano Marco e di Gedi S.p.A., motivando: “che tale sentenza
penale non può però spiegare i propri effetti nel presente giudizio nei confronti di Gedi News Network S.p.A., editrice del quotidiano Il Secolo XIX, e del dott. Marco Strano, autore delle dichiarazioni riferite nella pubblicazione e ritenute diffamatorie dall’appellante, soggetti estranei al procedimento penale;”.
Tuttavia, preso atto dei rinvii svolti su richiesta delle parti, in attesa della pronuncia della Corte d’Appello e dell’art. 337 comma 2 cpc per cui “Quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso, se tale sentenza è impugnata”, la Corte non può non tener conto della sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 2703 del 28/9/2023, con la quale, in
riforma della pronuncia di condanna di primo grado del 4/12/2018, venivano assolti Cetara Graziano e La Rocca Umberto dal reato loro ascritto, identificato nella pubblicazione dell’articolo per cui è causa civile, con la motivazione che il fatto non sussiste.
La valutazione della suddetta sentenza comporta il rigetto del secondo motivo di appello, proposto dall’appellante e fondato sull’errata valutazione, nella sentenza gravata, della sussistenza della diffamazione per la mancata valutazione della sentenza del Giudice penale di primo grado, allegata
al fascicolo in data 7 giugno 2019.
Infatti, l’errata valutazione dell’insussistenza della diffamazione, viene assorbita dalla motivazione della sentenza penale di appello, la quale ha ritenuto assente ogni e qualsiasi ipotesi di diffamazione, specificando che: “nell’articolo di cui al capo di imputazione il giornalista non ha fatto altro che riportare i termini di un dibattito all’epoca in corso nell’ambiente della criminologia italiana, dando atto dell’esistenza di una lettera aperta indirizzata a Bruno Vespa e circolante anche in rete sotto forma di mail, nella quale veniva segnalata una presunta mancanza di titoli per l’esercizio della professione di criminologa da parte della odierna parte civile, e la falsità di altri, rendendo noto che la lettera era firmata anche da diversi sindacati di polizia che solo in seguito, dopo la pubblicazione dell’articolo, e forse anche a causa della violenta reazione dell’interessata, che aveva minacciato richieste di ingenti risarcimenti per danno di immagine, avevano espresso estraneità all’iniziativa”.
La Corte d’Appello penale esclude la carenza di verifiche da parte del giornalista, sostenuta dal
giudice di primo grado, affermando che “ciò non corrisponde al vero perché prima della pubblicazione l’imputato ha correttamente contattato sia la parte civile che Bruno Vespa, destinatario della lettera, dando voce alle rispettive opinioni e osservazioni, né si vede come avrebbe potuto né perché avrebbe dovuto contattare tutti e 13 i firmatari della lettera stessa per far loro confermare o smentire il contenuto, solo perché l’interessata aveva manifestato dubbi in proposito.
Nell’articolo, infatti, si dà semplicemente atto della circostanza che la lettera esisteva, che circolava in rete, che era indirizzata a Bruno Vespa, e che era firmata da soggetti vicini all’ambiente della criminologia”.
La motivazione della sentenza penale di assoluzione, alla quale la Corte non può che adeguarsi, conferma la sentenza gravata, anche sulla valutazione del tenore dell’articolo, motivando che “nel pezzo giornalistico l’imputato, riguardo all’insinuazione contenuta nella lettera, diffusa anche via mail, secondo cui la Bruzzone sarebbe stata sorpresa a copiare durante una prova di un corso a New York venendo espulsa, si è limitato a porsi il dubbio “vero o falso?”, dopo di che ha riportato la versione della criminologa secondo cui si sarebbe trattato di “una campagna diffamatoria ordita da un suo ex fidanzato da lei denunciato per stalking”, nonché la versione dello Strano Marco, dirigente CONSAP ex fidanzato della Bruzzone, secondo cui “non ho promosso né firmato alcuna lettera aperta, quella è un’iniziativa del sindaco cui sono iscritto, che ha riscosso molte adesioni nel mondo scientifico” e il commento di Bruno Vespa che ha dichiarato “la Bruzzone ha partecipato a Porta a Porta proprio grazie a un’eccellente referenza della Polizia di Stato alla quale ci eravamo rivolti per conoscere i nomi dei loro consulenti più accreditati, non posso che immaginare che la grande visibilità della Bruzzone abbia determinato in tanti suoi colleghi una comprensibile invidia”.
In conclusione la Corte d’Appello penale sostiene: “In sostanza si ritiene che l’imputato abbia agito con obiettività e onestà intellettuale riportando nell’articolo le versioni di tutte le parti in causa e danno atto di un aspro dibattito effettivamente esistente nell’ambiente della criminologia, scaturito dalle critiche mosse dall’odierna parte civile all’operato dei reparti scientifici di polizia e
carabinieri, e ciò ha fatto nel legittimo esercizio del diritto di cronaca e della libertà di stampa, diritto costituzionalmente tutelato.” e che: “L’imputato pertanto, nell’articolo di cui è autore, risulta aver dato equanimemente la parola a tutti i soggetti interessati, né poteva raccogliere presso i firmatari della lettera dissensi e prese di distanza che ancora non erano stati espressi e che lo sarebbero stati molto dopo anche in conseguenza della rabbiosa reazione dell’odierna parte civile
…”.
Come noto, in materia di diffamazione a mezzo stampa, sussiste la scriminante del diritto di cronaca, che si realizza a determinate condizioni. Il punto di riferimento, unanimemente riconosciuto, che ha dettato un vero e proprio “decalogo del giornalista”, è la Sentenza del 18 ottobre 1984 n. 5259 della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha sancito: “Perché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca e non comporti responsabilità civile per violazione del diritto all’onore, devono ricorrere tre condizioni

1) utilità sociale dell’informazione;

2) verità oggettiva, o anche soltanto putativa purché frutto di diligente lavoro di ricerca;

3) forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa
indiretta”.
È necessario, pertanto, che la cronaca giudiziaria rispetti: – la verità dei fatti, anche soltanto putativa; – la pertinenza dell’informazione consistente nell’interesse pubblico alla diffusione e conoscenza della notizia; – la continenza intesa come utilizzo di una forma linguistica civile e mai offensiva.

Non è in discussione l’interesse pubblico della notizia, determinato dalla persona della Dott.sa Bruzzone, personaggio anche televisivo, conosciuto a livello nazionale quale esperta criminologa.
Altrettanto la forma linguistica rientra nei canoni delle locuzioni civili e non offensive, anche se, quanto meno nel titolo, risaltanti, per attirare l’attenzione dei lettori.
Dall’esame della motivazione della sentenza penale d’appello, della quale, anche ai sensi dell’art. 337 2 comma c.p.c., la Corte non può non tenerne conto, il secondo motivo di appello deve essere rigettato, non sussistendo elementi di colpa nel comportamento del giornalista autore dell’articolo e, di conseguenza, nei confronti della casa editrice appellata, oggi Gedi S.p.A.
È infondato anche il terzo motivo, relativo all’errata valutazione della responsabilità di Marco Strano della carenza di elementi diffamatori e per l’utilizzo di una prova non ammessa al giudizio, per l’attendibilità delle dichiarazioni del medesimo.
Le dichiarazioni di Marco Strano sono riportate fra virgolette nell’articolo, e sono le seguenti: “Le denunce per stalking sono finite con un’archiviazione. Non ho promosso né firmato nessuna lettera aperta. Quella è un’iniziativa del sindacato a cui sono iscritto che ha riscosso adesioni nel mondo scientifico”.
In relazione alle denunce di stalking, a fronte delle accuse esplicite dell’appellante, Marco Strano aveva inteso difendersi e, in effetti, è risultata provata in causa l’archiviazione di alcune denunce, per cui esiste, in tali dichiarazioni, anche una verità dei fatti, non solo putativa, riferibile al solo
dichiarante.
In relazione alla dichiarazione di non aver sottoscritto la lettera, riferendola al sindacato Consap di cui, all’epoca, ne era un rappresentante, è da escludere che il Giudice di primo grado abbia utilizzato le due lettere, non ammesse come produzioni, ai fini della valutazione complessiva dell’interrogatorio
formale, in quanto nella sentenza gravata è esplicitamente affermato l’esclusione delle lettere dagli
elementi probatori utilizzabili.
Di contro, dall’istruttoria orale e documentale, per il contenuto inscindibile dell’interrogatorio di
Strano e nonostante la smentita del teste Innocenzi Giorgio, non è provata con certezza la mancata condivisione da parte del sindacato Consap della lettera, quanto meno in tutte le sue parti. In ogni caso, al di là della circostanza della condivisione o meno del sindacato Consap, nell’affermazione di Marco Strano, sull’esistenza della lettera e della condivisione della stessa da parte di parte del mondo scientifico, sussiste una verità più che putativa e/o soggettiva, tale da escludere la diffamazione delle dichiarazioni.
Infatti, è accertato nell’istruttoria di primo grado e confermato nella motivazione della sentenza penale d’appello, che se, da una parte, alcuni dei personaggi citati, a seguito delle dichiarazioni dell’appellante di promuovere procedimenti nei loro confronti, le hanno in parte negate, come il Dott. Bruno, che nonostante la formale “richiesta di pubblicazione di rettifica”, non ha contestato una netta
presa di distanza, altri soggetti e personaggi citati, le hanno confermate: “in proposito si vedano, tra le produzioni della difesa dell’imputato, mail di Massimo Zito presidente ICAA che conferma della sottoscrizione della missiva, mail di Cinzia Gemelli psicologa clinica forense secondo cui “nessuna smentita, anzi ho già inviato un esposto all’Ordine nazionale degli psicologi della Liguria, chiedendo
di verificare i titoli e i curricula incriminati e le diffide provenienti da tutte le organizzazioni nelle quali la Bruzzone dice di aver acquisito specializzazioni e diplomi” e altre conferme di Cesira Gimelli, Roberta Sibaud, Bernardo Ferro, Flora Caruso” (Cfr pgg. 13 e 14 sentenza C.A. penale).
Sulla base di tali circostanze che attengono ad una verità della condivisione della lettera, che va oltre
quella semplicemente putativa e soggettiva di Strano Marco, anche la seconda parte delle affermazioni dello stesso, devono ritenersi prive di elementi diffamatori.
La Corte conferma integralmente la sentenza impugnata.
Le spese del presente grado seguono la soccombenza dell’appellante e vengono liquidate nel dispositivo in base al D.M. 55/2014 sullo scaglione indicato dall’appellante, in conformità dell’art. 5
c. 1, tenuto conto della non complessità della questione e del non espletamento della fase istruttoria/trattazione: Fase di studio: € 800,00; Fase introduttiva: € 600,00; Fase decisionale: €
1.500,00= Compenso tabellare € 2.900,00.
Ai sensi del primo periodo art.13 co.1 quater DPR n.115/2002, parte appellante è tenuta a versare un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del primo periodo art.13 co.1 quater DPR n.115/2002.

PQM

definitivamente pronunciando nel procedimento R.G. 370/2021 avverso la sentenza n. 284/2021 emessa dal Tribunale di Genova, in data 08/02/2021 così decide
1. Respinge l’appello con conferma integrale della sentenza gravata;
2. Condanna parte appellante alla refusione delle spese del grado in favore di entrambe le parti appellate che liquida, per ciascuna di esse, in € 2.900,00 oltre maggiorazione ed accessori di Legge;
3. Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater secondo periodo del DPR 30.05.2002 n.115, introdotto
dall’art.1 comma 17 della Legge 24.12.12 n.228, si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo art.13 co.1 quater DPR n.115/2002, e pertanto dichiara che la parte appellante è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Genova, 25 luglio 2024

Il Consigliere Est.
Dott. Gabriele Marroni

Il Presidente
Dott. Marcello Bruno

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