LA CURA CONTRO LO SPOPOLAMENTO DELLE AREE INTERNE
l’intervista a Elisa Di Giovanni del Cnr Ismed che ha condotto uno studio sulla realtà lucana. La responsabile scientifica ha illustrato i «possibili rimedi per invertire i flussi migratori»
L’”inverno demografico” non accenna a placarsi. In Basilicata come nel resto del Mezzogiorno. Secondo una proiezione dell’Istat, nel 2066 i residenti lucani passerebbero da 570.157 a 399.164 unità, riportandoci indietro ai primi dell’800. Se non si riuscisse a invertire questo trend, resisterebbero soltanto i sistemi urbani di Potenza, Matera, Vulture Melfese e Metapontino, con il resto del territorio svuotato. La situazione, dunque, è drammatica. Ecco perché il Piano strategico regionale si sviluppa, nelle sue diramazioni economiche e sociali, guardando sempre allo spopolamento, la prima emergenza da affrontare per mettere al riparo il futuro della Basilicata. L’obiettivo è creare le condizioni culturali e materiali per aiutare i lucani a crescere, formare una famiglia e realizzare le proprie aspirazioni nel territorio. Per poter agire in modo chirurgico è necessario conoscere a fondo il fenomeno. Di qui la decisione della Regione Basilicata di finanziare uno studio, nato dalla collaborazione tra Cnr Ismed (Istituto di studio sul Mediterraneo) e Università di Salerno (Dipartimento di Scienza Aziendali, Management & Innovation System), per andare oltre l’aspetto statistico della questione. Il vero tema è capire come arginare lo spopolamento individuando “best practice” in giro per l’Italia e l’Europa nell’ottica di replicarle in Basilicata. Ne parliamo con Elisa Di Giovanni del Cnr Ismed, responsabile scientifica del progetto di ricerca denominato “Il Rapporto di ricerca sullo spopolamento delle aree interne della Basilicata, possibili rimedi per l’inversione dei flussi migratori”: «Il lavoro ha visto impegnato un team multidisciplinare nel dibattito scientifico specialistico ma al contempo inter/transdisciplinare dello spopolamento delle aree interne/marginali della Regione sulla scia di una armatura di politiche europee, nazionali, regionali atte a contrastare/mitigare l’impoverimento socio-economico-culturale-demografico con azioni mirate di rilancio territoriale. Le parole chiave del progetto si traducono, quindi, in: spopolamento, aree interne, Basilicata e quella veste di accezione “negativa” che riveste questi concetti si significa e tramuta in potenzialità nuove, generative, opportunità e volano di vantaggi per i territori. L’approccio integrato ha permesso di inquadrare la problematica oggetto di interesse da vari punti di vista: storico, economico e sociale, patrimonio culturale e turismo, mobilità, buone pratiche. I documenti regionali della Strategia territoriale ed il piano strategico 2021-2030 hanno costituito la guida del nostro lavoro, la base su cui innestare le nostre ricerche. Ricerche, che, come buoni ricercatori, sono partite da studi bibliografici e di archivio, ma che presto hanno virato sulla field research. Incontri con comunità ed amministrazioni locali, ascolto, dibattiti costruttivi con attori impegnati in prima persona in azioni di rigenerazione territoriale sono stati per noi linfa apportatrice di idee ed ispirazioni».
C’è una Basilicata sconosciuta ai più, forse anche agli stessi lucani, che meriterebbe di essere visitata. Il problema è che raggiungere certi paesi si rivela un’impresa titanica di fronte a carenze infrastrutturali e di servizi di trasporto…
«Non a caso nel rapporto trattiamo anche l’aspetto della mobilità. Abbiamo studiato come intervengono sul settore altre realtà italiane ed estere per la connettività rurale (ad esempio il servizio di trasporto a chiamata, reti di autobus per le aree interne, mobilità condivisa) prendendo in esame casi che possono essere maggiormente indicativi rispetto al contesto della Basilicata. È un approccio che caratterizza l’intero studio, avendo dato vita a un vero e proprio osservatorio delle buone pratiche per arginare lo spopolamento».
Ci faccia qualche esempio di come altrove si contrasta lo svuotamento del territorio.
«Sono molteplici le azioni messe in campo da amministrazioni pubbliche e comunità locali. Si passa da una variegata tipologia di incentivi economici (agevolazioni Imu e tasse comunali per nuovi residenti, incentivi per l’apertura di nuove Partiva Iva nel settore turistico-ricettivoartigianale, bandi di vendita di case ad 1 euro, etc), ad iniziative legate alla presenza di smart worker nei piccoli borghi, alla costituzione di cooperative di comunità. Esempio può essere l’iniziativa “Vivi in paese. Smart Worker” promossa dal Comune di Santa Fiora (Grosseto) che a fronte di un contributo per il sostegno delle spese di affitto ha ospitato numerosi nomadi digitali italiani ed esteri, catalizzando l’interesse dei media a livello internazionale»
E se dovesse indicare un qualcosa che, a suo giudizio, può essere vincente in questa “battaglia” contro lo spopolamento?
«Credo che sia interessante l’esperienza delle cooperative di comunità come La Valle dei Cavalieri a Succiso Nuova, Ventasso (Reggio Emilia) che ha deciso di rimboccarsi le maniche dopo la chiusura dell’ultimo bar del paese e ad oggi gestisce un agriturismo e punti vendita di prodotti tipici locali garantendo circolazione economica non solo al territorio, ma offrendo occupazione stabile agli abitanti del posto. Altro esempio Biccari in Puglia laddove nell’arco di 15 anni la guida stabile dell’Amministrazione è riuscita a creare un modello sistemico capace di valorizzare il parco avventura (precedentemente bosco abbandonato ed incolto), di ampliare e coordinare il sistema di ricettività turistica, di implementare il percorso di riconoscimento della cittadinanza italiana agli argentini con discendenza italiana, di organizzare un sistema di vendita delle case a prezzi calmierati, per la maggioranza in stato di abbandono, di intermediare le occasioni di lavoro sul territorio, anche attraverso soggetti privati a loro volta organizzati attraverso questo strumento che appare tagliato apposta per le esperienze locali: la cooperativa di comunità»
Insomma, la politica deve fare la sua parte individuando una strategia mirata ai territori, ma dall’altra i cittadini non devono limitarsi al ruolo di spettatori…
«Proprio così. E in questo campo la Spagna fa scuola. Nel recente incontro di Acerenza per presentare il report abbiamo avuto ospiti di Valencia per raccontarci la loro esperienza. Mentre in Italia tanti comuni vengono tagliati fuori dalle rotte di agevolazioni e contributi perché, magari, non hanno le professionalità in grado di produrre progetti da presentare, a Valencia la Deputazione (la nostra Provincia) fa bandi disegnati su misura delle comunità, mettendo a disposizione assistenza a 360 gradi. Fornisce, insomma, tutto il supporto tecnico e amministrativo. Questo accade perché alla base c’è una conoscenza approfondita del territorio e il rapporto s’inserisce nel solco di un forte senso di collaborazione».
Un esempio, dunque, di stretta sinergia tra istituzione e cittadini…
«È un punto di forza della Spagna. C’è una grande collaborazione tra ente di ricerca, ente politico e comunità. Prima di poter dare vita a qualunque azione a livello politico viene previsto un passaggio obbligatorio con l’università che fornisce il quadro di ricerca affinché quelle stesse azioni politiche siano corrette ed efficaci. E poi c’è il passaggio con le comunità attraverso i Gal (Gruppi di Azione Locale)».
Molte idee su come frenare lo spopolamento potrebbero arrivare da chi parte e da chi resta. Sono loro che conoscono le criticità e i punti di forza su cui agire e che li hanno spinti a prendere una decisione piuttosto che l’altra. Il dossier ha tenuto conto di questo aspetto?
«Sì, attraverso un approfondimento socio-psicologico di cui si è occupata l’unità di ricerca dell’ateneo di Salerno. Sono state analizzate le ragioni della “restanza” e della “partenza” per decifrare i target sui quali agire, a partire dai pensionati, dagli studenti e dai neo laureati. Sono stati distribuiti 250 questionari a lucani nel mondo per chiedere: torneresti? Se sì a quale condizione? Cosa manca alla regione per essere competitiva? Ecco, dalle loro risposte ricaviamo uno spaccato dei bisogni reali di chi avrebbe intenzione di tornare in Basilicata o di restare. Contribuendo a fermare l’emorragia demografica che sta tormentando il territorio lucano e tutto il Mezzogiorno».