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LAMPEDUSA (AG) A 11 ANNI DAL NAUFRAGIO DEL 3 OTTOBRE 2013 MUOIONO NEL MEDITERRANEO 8 PERSONE AL GIORNO

Il 24 ottobre 2013 la sindaca di Lampedusa e Linosa Giusi Nicolini e il Presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta furono ricevuti a Bruxelles dal Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, al quale chiesero di intervenire al più presto a una revisione delle leggi europee in materia di asilo politico, definendo la Bossi-Fini-Maroni una “risposta ignominiosa a una domanda di tipo umanitario”

È GIUSTO INFORMARE 

🔺”Giornata della memoria e dell’accoglienza”

🔺”Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”

è giusto informare 11ºanniversario
naufragio di Lampedusa del
3ottobre2013 disastro marittimo avvenuto nel Mediterraneo

LAMPEDUSA, A 11 ANNI DAL NAUFRAGIO DEL 3 OTTOBRE 2013 MUOIONO NEL MEDITERRANEO 8 PERSONE AL GIORNO 

Sono passati 11 anni dal naufragio in cui, davanti alle coste di Lampedusa, persero la vita 368 persone.
L’anniversario, Giornata della Memoria e dell’Accoglienza in Italia, ci invita a riflettere su cosa significhi morire in mare per avere provato a sopravvivere.

Lo stanno facendo in questi giorni, proprio a Lampedusa, 500 ragazzi da tutta Europa insieme agli esperti, ai sopravvissuti e ai parenti di chi non ce l’ha fatta

La tragedia di Lampedusa (AG) è stata il naufragio di un’imbarcazione libica usata per il trasporto di migranti avvenuto il 3 ottobre 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa.

Il naufragio provocò 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti, numeri che la pongono come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo.

I superstiti salvati furono 155 sopravvissuti di cui 41 minori (uno solo accompagnato dalla famiglia)

L’imbarcazione era un peschereccio lungo circa 66 piedi (20 metri), salpato dal porto libico di Misurata il 1º ottobre 2013, con a bordo migranti di origine eritrea ed etiope.

La barca era giunta a circa mezzo miglio dalle coste lampedusane quando i motori si bloccarono, poco lontano dall’Isola dei Conigli.

Per attirare l’attenzione delle navi in transito, l’assistente del capitano agitò uno straccio infuocato producendo molto fumo

Ciò spaventò parte dei passeggeri, i quali si spostarono da un lato dell’imbarcazione stracolma, che ruotò su sé stessa tre volte prima di inabissarsi.

Alle ore 7:00 circa alcune imbarcazioni civili e pescherecci locali notarono i naufraghi e lanciarono l’allarme, caricando a bordo la maggior parte dei superstiti. In seguito a testimonianze, sorsero dubbi in merito ai tempi di arrivo dei soccorsi da parte della Guardia costiera che apparentemente impiegò circa un’ora per raggiungere il luogo del naufragio.

A seguito delle prime operazioni di recupero, furono recuperati 194 cadaveri; il numero delle vittime fu stimato tra i 325 e 363 individui.

Altri 108 corpi furono recuperati entro il 9 ottobre, quando fu possibile accedere alla parte interna dello scafo dell’imbarcazione poggiata sul fondo a circa 47 metri di profondità.

Quando il numero dei corpi recuperati era di 302 persone 210 di essi appartenevano a uomini, 83 a donne e 9 a bambini.
L’11 ottobre fu riferito che tutti i corpi erano stati recuperati dal relitto e che il numero dei morti aveva raggiunto i 339.
A quel momento si riteneva vi fossero circa 50 corpi di dispersi, e le ricerche continuarono usando aerei e dispositivi robotici.
Altri 20 corpi furono recuperati il 12 ottobre, portando il totale delle vittime accertate a 366.
Secondo le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti, il barcone avrebbe avuto a bordo 518 persone; il numero risulterebbe dai conteggi dei pulmini che li trasportarono a Misurata in vista dell’imbarco.

Tuttavia, la somma dei 155 superstiti e dei 366 corpi recuperati (360 eritrei e 6 etiopi) dà un totale di 521, a cui potrebbero essere sommati un’ulteriore possibile ventina di dispersi.
Secondo la testimonianza del superstite eritreo Mussiie Ghebberhiert, le persone imbarcate erano invece 545, in massima parte eritrei.

Da tutta Europa giunsero congiunti delle vittime per l’identificazione delle salme, che però fu difficoltosa ad eccezione per il primo centinaio di corpi recuperati; fu altresì difficile identificare i corpi in stato avanzato di decomposizione.

I feretri, identificati o meno, furono inumati in vari cimiteri della Sicilia.
Ad Agrigento fu celebrata una cerimonia funebre ufficiale, senza bare, a fine ottobre.

I superstiti riferirono che per uscire dall’Eritrea erano necessari 600 dollari, per il tragitto fino a Khartoum 800 dollari, per arrivare in Libia altri 800 dollari, e 1600 dollari per la sola traversata del Mediterraneo.
Alcuni giovani raccontarono di essere stati rapiti in Libia e trasferiti in prigioni clandestine nel Sinai dove per il loro rilascio venivano chiesti riscatti alle famiglie o al regime eritreo.

🔺INDAGATI

Il capitano dell’imbarcazione, Khaled Bensalam, tunisino di 35 anni, risultava precedentemente espulso dall’Italia ad aprile 2013

Il 30 giugno 2015 il Tribunale di Agrigento lo ritiene responsabile di omicidio colposo plurimo, condannandolo a 18 anni di carcere.
Ben-salam si è dichiarato un semplice “passeggero” e non membro dell’equipaggio.

I superstiti del naufragio furono inseriti nel registro degli indagati e accusati di reato di clandestinità per essere entrati in Italia illegalmente secondo le leggi sull’immigrazione vigenti al’epoca.

Non fu aperta alcuna inchiesta o indagine in merito a eventuali errori e ritardi nei soccorsi.

Il 13 febbraio 2015 la Corte d’assise di Agrigento condannò a 30 anni di reclusione il somalo Mouhamud Elmi Muhidin, uno dei trafficanti organizzatori del viaggio

🔺REAZIONI

In Eritrea, dopo la strage, la dittatura di Isaias Afewerki vietò l’affissione dei manifesti funebri con i nomi delle vittime.

Con riferimento al naufragio e alle vittime, Papa Francesco dichiarò:

“Pregate Dio per l’anima delle vittime del naufragio al largo delle coste di Lampedusa”

Il Presidente del Consiglio italiano Enrico Letta scrisse su Twitter che si è trattato di “una tragedia immensa”; il suo Consiglio dei Ministri proclamò una giornata di lutto nazionale per onorare le vittime del naufragio.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dichiarò:

“Provo vergogna e orrore; è necessario rivedere le leggi anti-accoglienza”

Nei cortei studenteschi dell’11 ottobre 2013 vi furono numerosi cori di protesta contro la legge Bossi-Fini.

In risposta alla tragedia, il commissario europeo per gli affari interni Cecilia Malmström sollecitò l’Unione europea a incrementare le attività di ricerca nel Mediterraneo con pattuglie di soccorso e intervento dedicate a intercettare le imbarcazioni di migranti attraverso l’agenzia Frontex, dichiarando:

“Facciamo in modo che ciò che è accaduto a Lampedusa sia un campanello d’allarme per aumentare il sostegno e la solidarietà reciproca, e per evitare tragedie simili in futuro”

Il 9 ottobre il Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e il Presidente del Consiglio italiano Enrico Letta visitarono Lampedusa, venendo duramente contestati dalla popolazione dell’isola al grido di “assassini” e “vergogna”. Barroso dichiarò che 30 000 000 di euro sarebbero stati stanziati dall’Unione europea per aiutare i rifugiati in Italia.
In seguito al naufragio vi furono critiche alle leggi che regolavano l’immigrazione in Italia, ovvero la legge Bossi-Fini, la legge Turco-Napolitano e il decreto Maroni, chiedendone la riforma o l’abrogazione.

L’arcivescovo tedesco Reinhard Marx, in merito all’accaduto, affermò:

“Anche se l’Europa non può materialmente accogliere tutti, non possiamo consentire che alcuno sia spinto oltre la soglia della morte”

Il 24 ottobre 2013 la sindaca di Lampedusa e Linosa Giusi Nicolini e il Presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta furono ricevuti a Bruxelles dal Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, al quale chiesero di intervenire al più presto a una revisione delle leggi europee in materia di asilo politico, definendo la Bossi-Fini-Maroni una

“risposta ignominiosa a una domanda di tipo umanitario”

Ci furono polemiche anche per i mancati funerali di Stato per le vittime, dato che erano stati in precedenza annunciati dal ministro dell’interno Angelino Alfano.

In seguito alle numerose azioni di solidarietà e accoglienza da parte della comunità dell’isola, il settimanale italiano l’Espresso aprì una raccolta firme affinché Lampedusa fosse candidata a ricevere il Nobel per la pace e affinché la data del 3 ottobre fosse riconosciuta quale

“Giornata della memoria e dell’accoglienza”

Il 15 aprile 2015 la Camera dei deputati approvò con 287 voti favorevoli, 72 contrari e 20 astenuti l’istituzione del 3 ottobre quale data della

“Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”

Il Senato della Repubblica ha poi ratificato tale decisione il 16 marzo 2016.

🔹 A 11 anni dal naufragio di Lampedusa sono ancora tante le cose da capire

La responsabilità per quel naufragio, nel quale morirono quasi 400 persone, è andata solo all’equipaggio di un peschereccio e al presunto scafista che guidava l’imbarcazione. Ma ci sono anche tanti aspetti da chiarire: dalla possibile presenza di altre navi militari italiane, fino al tempismo nei soccorsi. Ne scrive Lidia Ginestra Giuffrida, quando si avvicina il 3 ottobre e gli 11 anni da quella strage.
Le fiamme, poi il fumo, lo sbilanciamento dell’imbarcazione e in pochi secondi più di 400 corpi finirono in mare. Da lì solo acqua, sale e gasolio, una miscela terribile in mezzo alla disperata lotta per la sopravvivenza, dove c’era anche chi, per non morire, buttava in mare qualcun altro.

Erano circa le ore 3 e mezza del mattino del 3 ottobre del 2013. A pochi metri dall’isola di Lampedusa si stava consumando una delle più grandi tragedie del nostro tempo che provocò la morte accertata di 368 persone e circa venti presunti dispersi.

Quella notte, il barcone salpato da Misurata due giorni prima, non era da solo in mare.
Prima che si consumasse la tragedia, dal peschereccio i naufraghi avevano avvistato due luci: una veniva dal mare e un’altra dal porto.
Dal porto, secondo i racconti dei superstiti e le loro dichiarazioni in tribunale, venne comunicato loro che alle 8 sarebbe tornato qualcuno a prenderli.
La seconda luce era dell’Aristeus, il peschereccio, i cui membri dell’equipaggio vennero in seguito condannati per omissione di soccorso in primo grado nel 2020. L’Aristeus aveva infatti effettivamente incrociato il barcone in difficoltà, seguendo un percorso anomalo, e dopo aver stazionato nei pressi dell’imbarcazione per 45 minuti decise di rientrare in porto.
Vedendo andare via le due uniche speranze di salvezza, e credendo che non si fossero realmente accorti di loro, uno dei presunti scafisti decise di incendiare una coperta per attirare l’attenzione.
Questo fu l’inizio della fine, lo sbilanciamento dell’imbarcazione e il suo ribaltamento.

Solo un anno fa la sentenza è stata confermata, il primo dicembre 2023, quando è stata riconosciuta la piena responsabilità degli imputati.
L’ultimo atto di quel drammatico processo termina più di dieci anni dopo il naufragio con la conferma della ricostruzione da parte del tribunale di primo grado: sei anni di carcere per il capitano dell’Aristeus e la riduzione a un anno e otto mesi (invece degli iniziali quattro) per il resto dell’equipaggio, in quanto considerato subordinato alle decisioni del capitano.
La motivazione definitiva del mancato soccorso da parte del peschereccio emersa di fronte al tribunale di Agrigento fu che, essendo vicini alla costa, i pescatori pensarono che la guardia costiera sarebbe arrivata; loro erano carichi di pescato e avendo un orario prestabilito per scaricarlo nei tir, ritennero che se avessero ritardato il rientro in porto avrebbero rischiato di perdere in parte o del tutto il ricavato. Circostanza questa in cui l’Aristeus si era già trovato qualche tempo prima quando, dopo essersi fermato nei pressi di un altro barchino sovraffollato in difficoltà in attesa che arrivassero i soccorsi, perse tutto il ricavato della pesca.

Spiega l’avvocato Gaetano Pasqualino che si occupò della vicenda sin dall’inizio:
“Dalla ricostruzione del tribunale di Agrigento nacquero tre filoni di inchiesta”
“uno era quello che ha condannato nel 2017 Khaled Bensalem, 42 anni, tunisino di Sfax, per favoreggiamento dell’immigrazione illegale, naufragio e omicidio plurimo, e costretto a pagare una multa di dieci milioni.
Bensalem era il presunto scafista che aveva incendiato la coperta a bordo causando lo sbilanciamento e il ribaltamento dell’imbarcazione.
Il secondo era quello relativo ai tracciati ais – il sistema nautico di identificazione e tracciamento – dell’Aristeus, che lo scorso dicembre condannò il capitano e l’equipaggio” continua.
“L’ultima linea di indagine era quella che avrebbe dovuto accertare un’eventuale responsabilità in capo alle forze dell’ordine o della capitaneria, indagine mai sfociata in alcun processo”

Al termine della sentenza del 2020 il giudice del tribunale di Agrigento scrisse “del tutto indimostrato è l’assunto secondo cui abbiano avuto un ruolo, o meglio, una responsabilità gli uomini in forze presso la locale capitaneria di porto della guardia costiera”

Da un punto di vista giudiziario la storia sembra, quindi, essere stata chiusa con la condanna dei due scafisti (insieme al quarantaduenne tunisino fu riconosciuto dai sopravvissuti e condannato, sempre nel 2017, anche Mouhamud Elmi Muhidin, di origine somala e sbarcato a Lampedusa qualche giorno dopo la strage), del Comandante dell’Aristeus Matteo Gancitano, del suo vice Vittorio Cusumano e dei cinque membri dell’equipaggio.
Ma la ricostruzione ufficiale dei fatti lascia in sospeso, ancora oggi, testimonianze che raccontano di ritardi nei soccorsi e presenze di altri assetti in mare, mai chiariti.

Racconta l’avvocato Pasqualino :
“La seconda imbarcazione che i migranti dichiarano di aver visto prima della tragedia, li avrebbe informati che alle 8 sarebbero arrivati rinforzi a salvarli. Si trattava di un’imbarcazione con dei grandi fari, hanno raccontato i superstiti, e che non era tracciata dall’ais, il che fa pensare che si trattasse di un’imbarcazione militare. Tra l’altro, alle ore 8 del mattino, ci sarebbe stato il cambio turno dei militari in capitaneria. Quella notte c’erano stati davvero tantissimi interventi quindi si può ipotizzare, ma senza nessun riscontro negli atti, che l’equipaggio fosse stanco e abbia prorogato alla mattina dopo l’intervento”

A queste ipotesi si sommano i racconti dei pescatori della Gamar che effettuarono i primi soccorsi all’alba del 3 ottobre.

Vito Fiorino era a bordo del peschereccio e nella sua ricostruzione di quella notte, che è stato costretto a ripetere all’infinito, emergono due punti fondamentali: uno riguarda il sospetto che l’altra imbarcazione avvistata dai sopravvissuti e non tracciata dall’ais, fosse della guardia di finanza e, il secondo, quello di un ritardo nei soccorsi da lui chiamati.

Secondo la ricostruzione di Fiorino, poi confermata in tribunale anche da Alessandro Marino e Linda Barocci che erano con lui a bordo della Gamar, intorno alle ore 2 e mezza del mattino i pescatori avvistarono circa ad un chilometro di distanza una luce blu che Vito Fiorino definisce “come quelle sulle motovedette o sulle navi militari”, e che rimase per un bel po’ ferma prima di rientrare in porto.

L’orario in cui Vito Fiorino e il suo equipaggio avvistarono in lontananza quella luce coincide con il rientro in porto di un pattugliatore classe Zara della Guardia di finanza che aveva a bordo 276 profughi.

Il secondo sospetto, mai verificato, riguarda un eventuale ritardo nei soccorsi arrivati intorno alle ore 7 e mezza nel luogo della strage.
Fiorino nella sua deposizione in tribunale dice che la prima chiamata fatta ai soccorsi fu alle ore 6:30 ma che fino alle ore 7:20 non apparve nessuno.
Per questa sua deposizione subì delle intimidazioni da parte del comandante della capitaneria di porto che sosteneva che la prima chiamata risultante dai tabulati risalisse alle ore 7 e un minuto.

“Non sono mai stati smentiti gli atti intimidatori nei confronti di Fiorino, ma dalle registrazioni che sono state apposte e che noi stessi abbiamo ascoltato, la prima chiamata risulta alle sette e qualcosa”

dichiara ancora l’avvocato

A undici anni da quella strage, per il naufragio del 3 ottobre 2013, pagheranno e stanno già pagando solo i pescatori e gli scafisti.
I superstiti e i familiari delle vittime non sono mai stati risarciti.

“Le famiglie non sono riuscite a costituirsi parte civile”

spiega Pasqualino
“ma su questo ci lavoreremo. Potrebbero iniziare un’azione civile nei confronti del capitano e altri membri dell’equipaggio dell’ Aristeus.
Anche se l’intera responsabilità è ricaduta su pescatori praticamente nullatenenti”

Secondo l’avvocato c’è una linea continua che unisce il processo del 3 ottobre 2013 ad altre azioni legali intraprese per i naufragi avvenuti negli ultimi undici anni, ed è determinata da una serie di fattori “scaricabarile”

“La linea che unisce questi processi riguarda lo scarico di responsabilità, frutto del pensiero che a bordo di queste imbarcazioni precarie e sovraffollate non ci siano delle persone che rischiano di morire ma numeri e fascicoli. Questa è la vera tragedia. Nel naufragio dell’ 11 ottobre 2023, il tentativo di scaricare su Malta il recupero dei naufraghi al fine di evitare di prendersi carico di ulteriori migranti ha causato la morte di sessanta bambini”

denuncia l’avvocato.

“Questa linea politica pseudo-securitaria tende a lasciare più tempo possibile le persone in mare, come notiamo dai numeri impressionanti di barchini che arrivano in maniera autonoma sulle nostre coste. Nonostante le segnalazioni di queste imbarcazioni in alto mare siano tantissime, gli interventi vengono fatti raramente”

conclude Gaetano Pasqualino.

“Questa politica, che tende sempre e solo a dimostrare di aver ‘fermato gli sbarchi’, è quella che comporta la tragedia. Al fine di poter mettere la bandierina su un dato statistico ci si dimentica che dietro quel dato ci sono vite umane. Ecco, questa politica, la politica delle tragedie, da allora non è cambiata”

Cade all’indomani della approvazione di un decreto flussi che è solo l’ultima “stretta” sui migranti che arrivano per mare


L’anniversario del 3 ottobre, designato come Giornata della Memoria e dell’Accoglienza in Italia (in seguito all’approvazione della legge 45 del 2016), ci ricorda che sono passati 11 anni dal naufragio del 2013 in cui davanti alle coste di Lampedusa, persero la vita 368 persone.

E ci invita a riflettere su cosa è cambiato dalla più grande tragedia del nostro mare, e cosa no  

🔹Porta di Lampedusa, porta d’Europa

Un monumento alla memoria dei migranti deceduti in mare

La storia della costruzione del monumento ai migranti

Amani e Arnoldo Mosca Mondadori sono stati i promotori di un’opera dedicata alla memoria dei migranti che hanno perso la vita in mare:

“Porta di Lampedusa – Porta d’Europa” di Mimmo Paladino

Un monumento di quasi cinque metri di altezza e di tre metri di larghezza, realizzato in ceramica refrattaria e ferro zincato, inaugurato il 28 giugno 2008

La porta si ispira alla drammatica vicenda delle migliaia di migranti che, affrontando incredibili avversità, tentano -troppo spesso invano- di raggiungere l’Europa alla disperata ricerca di un destino migliore.

Il monumento consegna alla memoria delle generazioni future la strage disumana e spesso senza testimoni di migranti deceduti e dispersi in mare. 

Un simbolo che aiuti a non dimenticare e che inviti, ognuno secondo le proprie credenze religiose o laiche, alla riflessione e alla meditazione su quanto tragicamente sta avvenendo ancora ogni giorno sotto agli occhi di tutti.

Alba Montagnuolo

Oggi 2013
Ricordare la tragedia di Lampedusa non è solo un dovere ma dev’essere la memoria da tramandare ai nostri figli…siamo figli di un unico Dio…

Siamo FRATELLI

Mio fratello.
Mio fratello non è solo quello
che si chiama come me
nato da mia madre.
Mio fratello ha la pelle nera
e il palmo delle mani bianche
bianche come la neve
a dicembre.
Mio fratello
piange come me
lacrime di sangue
lacrime di dolore
lacrime amare d’amore.
Mio fratello sfida il mare
muore in mare.
Non conta nulla la sua vita
a poco serve se il sole gli brucia la pelle
se la fame gli divora la mente
se il dolore gli consuma l’anima.
Il suo corpo carne da macello
lauto pasto per piragna
uomini senza fede
senza scrupoli.
Mio fratello non ha Patria
non ha dignità.
lui non è Italiano
non può essere
come me
non può essere mio fratello!?

@Alba Montagnuolo

3 ottobre 2013 

#sapevatelo2024
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