AttualitàBlog

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE GIORGIA MELONI, IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 17 E 18 OTTOBRE 2024

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel pomeriggio ha tenuto alla Camera dei Deputati l’intervento di replica a seguito della discussione sulle Comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre 2024.
In mattinata ha reso le Comunicazioni al Senato della Repubblica e, a seguire, l’intervento di replica

È GIUSTO INFORMARE 

15 Ottobre 2024

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel pomeriggio ha tenuto alla Camera dei Deputati l’intervento di replica a seguito della discussione sulle Comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre 2024.
In mattinata ha reso le Comunicazioni al Senato della Repubblica e, a seguire, l’intervento di replica.


COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE GIORGIA MELONI, IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 17 E 18 OTTOBRE 2024   

Il testo delle Comunicazioni al Senato

Consiglio europeo del 17-18 ottobre: Comunicazioni al Senato del Presidente Meloni

Martedì, 15 Ottobre 2024

Signor Presidente, Onorevoli senatori,

questa nuova legislatura europea si è aperta all’insegna della preoccupazione e dell’incertezza. Per il protrarsi della guerra in Ucraina, per la drammatica escalation in Medio Oriente, per i mutamenti geopolitici, e per le molte difficoltà che attraversa l’economia europea, in parte conseguenza di questi scenari, in parte figlie degli errori del passato. 

L’Unione europea si trova ad affrontare queste sfide dopo una tornata elettorale che ha restituito alcuni messaggi molto chiari da parte dei cittadini europei, e con una nuova squadra che dovrà affiancare la Presidente rieletta Ursula von der Leyen. 

Se il percorso parlamentare in atto confermerà – come naturalmente crediamo e auspichiamo – la composizione annunciata, di questa squadra farà parte il Ministro Raffaele Fitto, che la Presidente von der Leyen ha voluto designare nel ruolo di Vicepresidente Esecutivo della Commissione europea. Un notevole miglioramento per la nostra Nazione rispetto alla composizione della commissione uscente, atteso che vedeva 4 Vicepresidenti esecutivi e 7 Vicepresidenti complessivi ma nessuno di questi era italiano. 

Differentemente da quanto preconizzato da molti, e da quanto forse sperato da alcuni, questa indicazione è la conferma di una ritrovata centralità dell’Italia in ambito europeo, rafforzata – permettetemelo – da un governo credibile che garantisce la stabilità politica in una fase storica in cui tutto intorno a noi è instabile. Una realtà, insomma, molto distante dal continuo mantra di un presunto isolamento internazionale italiano. 

Ma è soprattutto il riconoscimento del ruolo e del peso dell’Italia, Stato fondatore della Ue, seconda manifattura d’Europa, terza economia del Continente. Significa che a differenza di quello che vorrebbero alcuni, in Europa la forza degli Stati membri viene ancora prima di quella delle presunte maggioranze politiche, come è giusto e normale che sia.

Un risultato che credo debba inorgoglire tutta la Nazione, non solo i partiti della maggioranza. Ed è la ragione per cui mi auguro che tutte le forze politiche italiane si facciano parte attiva presso le proprie famiglie politiche europee affinché questo risultato, così importante per la nostra Nazione, possa essere raggiunto rapidamente e senza inciampi, per consentire alla Commissione, in un momento così delicato, di essere pienamente funzionante dal primo dicembre. Non mancheranno le occasioni per dividerci nel corso di questa legislatura europea su tanti temi su cui le diverse forze politiche hanno opinioni spesso radicalmente diverse, ma di fronte all’affermazione dell’interesse nazionale credo che abbiamo il dovere di essere uniti. 

È quello che noi abbiamo fatto nella scorsa legislatura all’atto della nomina di Paolo Gentiloni, quando proprio Raffaele Fitto – in rappresentanza di Fratelli d’Italia – si espresse a favore del candidato italiano e conseguentemente il gruppo di ECR votò in suo favore, e addirittura il Presidente Silvio Berlusconi chiese di partecipare ai lavori di una commissione che non era la sua, per poter prendere la parola e intervenire a sostegno di Paolo Gentiloni. 

Ci sono momenti in cui l’interesse nazionale deve prevalere su quello di parte  e mi auguro sinceramente che questo momento sia uno di quelli, senza distinguo e senza tentennamenti.

Anche perché, e lo voglio dire anche in questo caso senza polemica – sgomberando però il campo da alcune valutazioni a mio avviso poco corrette e sicuramente ingenerose – quelle attribuite a Raffaele Fitto sono deleghe di primissimo ordine.

La delega sulla Coesione vale nel complesso circa 378 miliardi (di cui circa 43 per l’Italia), su un bilancio complessivo di 1200, solo per il ciclo 2021-2027. Senza contare il futuro ciclo di programmazione (al momento non quantificabile ma presumibilmente di portata simile) che sempre la prossima Commissione sarà chiamata a definire insieme con altri Stati membri. Per una Nazione come l’Italia, e specialmente per il Mezzogiorno, si tratta di un interesse nazionale primario. 

A questa delega si aggiunge anche quella al PNRR, che vale ulteriori 600 miliardi di euro circa. E questo rappresenta una garanzia per tutti, perché grazie all’ottimo lavoro svolto in questi due anni dallo stesso Fitto, l’Italia è oggi la Nazione più avanti di tutte nella realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nonostante abbia anche il piano più corposo. 

La delega del PNRR, secondo le indicazioni della Presidente, dovrà essere esercitata congiuntamente con il Commissario Dombrovskis, e qualcuno ha letto in questo affiancamento una sorta di “ipoteca rigorista”, mentre io credo che questa stretta collaborazione di carattere paritario rappresenti piuttosto l’opportunità per il commissario italiano di far valere le ragioni di una necessaria, maggiore flessibilità, sugli investimenti. Una posizione storicamente italiana che ha trovato soltanto un primo, parziale, accoglimento nella riforma del Patto di stabilità appena entrata in vigore.

Si tratta di un ruolo che diverrà ancora più importante dopo il giugno 2026, quando proprio le nuove regole della Governance richiederanno a ogni governo di pianificare investimenti ulteriori rispetto a quelli che si concluderanno con il Pnrr, sempre che l’Unione Europea non decida di derogare la scadenza del Next Generation EU, come già alcune nazioni stanno chiedendo. 

Inoltre, come specificato nella lettera di incarico della Presidente Von der Leyen, rientreranno nell’area di competenza, o meglio dire di coordinamento, di Fitto, materie di importanza decisiva e di interesse strategico per l’Europa e per l’Italia: agricoltura, i trasporti, il turismo, la pesca e l’economia del mare. 

Deleghe strategiche, per l’Italia e per l’Europa, affidate a Commissari che dovranno fare riferimento al Vicepresidente esecutivo e che saranno cruciali per ritrovare equilibrio in alcune scelte europee degli ultimi anni, che – come sappiamo – hanno finito col penalizzare fortemente alcuni di questi settori produttivi. 

Onorevoli Senatori, le recenti elezioni europee hanno a mio avviso segnato un punto di non ritorno, e ci hanno dato un’indicazione chiara da seguire. L’Europa di domani non può essere più uguale a quella di ieri e di oggi. Deve cambiare, ripensare completamente le sue priorità, il suo approccio, la sua postura. Riscoprire, cioè, il suo ruolo nella storia, particolarmente in questo tempo storico così complesso.

La domanda che dobbiamo porci è: quale futuro intendiamo costruire per l’Europa? Chiaramente non mi riferisco solo all’Europa come Istituzione, ma all’Europa come comunità politica e come attore, autorevole e imprescindibile sulla scena globale.

Siamo di fronte a una fase della geopolitica completamente nuova, sempre più animata da sfide interconnesse tra loro e che principalmente ci dice una cosa: non esistono più blocchi omogenei, e l’interdipendenza dei nostri destini è un fatto. Così come è un fatto che l’ordine al quale eravamo abituati non è più scontato, la centralità del nostro Continente non è più scontata. 

Il rapporto Letta sul mercato interno e, ancor più, il rapporto Draghi sulla competitività europea, hanno fotografato con chiarezza i numeri e le ragioni della nostra perdita di ruolo negli ultimi decenni.

Entrambi i rapporti – e sono stilati da due persone che il nostro spesso semplicistico dibattito definirebbe “europeiste” – ammettono in sostanza che il mondo nel quale troppo a lungo ci siamo crogiolati è finito, e che dunque non possiamo sfuggire all’occasione storica che questa nuova legislatura europea ci offre: scegliere finalmente, e con coraggio, che cosa vogliamo essere e dove vogliamo andare. Possiamo, cioè, scegliere di continuare ad essere ciò che siamo stati finora, ovvero un gigante burocratico che appesantisce cittadini e imprese con una selva di regole, molte delle quali senza senso e autolesioniste. Oppure possiamo invertire radicalmente questa tendenza, concentrandoci sulla visione e sugli strumenti necessari a realizzare quella visione. 

È quello che i cittadini ci hanno chiesto con il loro voto, e fedeli come siamo alla sovranità popolare intendiamo dare seguito a questa indicazione. 

Ecco lo spirito con il quale il Governo Italiano intende affrontare la legislatura europea che si è appena aperta. 

Nel Consiglio europeo di giugno, il primo di questo nuovo corso, abbiamo adottato una nuova Agenda strategica 2024-2029, cioè la bussola che orienterà il percorso comune nei prossimi anni. 

Nel documento approvato l’Italia ha chiesto e ottenuto che venissero riaffermati due principi – quello di sussidiarietà e quello di proporzionalità – che sono sanciti dai Trattati e che consideriamo centrali nell’Europa che abbiamo in mente. 

Parlo di un’Europa che si occupi delle grandi materie di interesse comune, materie che richiedono di unire gli sforzi e di mettere a sistema il contributo di tutti, e che sappia attribuire la giusta importanza alle specificità nazionali nelle materie dove gli Stati nazionali sono in grado di fare meglio.

L’Agenda strategica indica chiaramente anche la necessità di dotarsi, quanto prima, delle risorse e degli strumenti comuni adeguati all’altezza delle ambizioni che ci poniamo. Lavoreremo perché questa indicazione non rimanga lettera morta, perché nessuno Stato Membro – anche il più solido dal punto di vista economico e fiscale – può sostenere da solo gli investimenti necessari per far fronte alle sfide che stiamo affrontando, dal rilancio della competitività del sistema produttivo e industriale europeo alla doppia transizione ambientale e digitale, dalla politica di difesa e sicurezza al governo dei flussi migratori.

Il Consiglio europeo tornerà ad occuparsi di come rafforzare la competitività europea, e l’Italia ha una posizione molto chiara su questa materia. Non intendo dilungarmi su questo, ma credo sia opportuno ribadire alcuni punti. 

L’approccio ideologico che ha accompagnato la nascita e ha sostenuto finora lo sviluppo del Green Deal europeo ha creato effetti disastrosi. È una posizione che noi abbiamo sostenuto fin dall’inizio, spesso in splendida solitudine, e che oggi, finalmente, è diventata invece patrimonio comune. Perché non è vero che per difendere l’ambiente e la natura l’unica strada percorribile sia quella tracciata da una minoranza palesemente ideologizzata. 

Anche i più convinti e integralisti sostenitori di questo approccio si sono resi conto che non ha alcun senso distruggere migliaia di posti di lavoro, smantellare interi segmenti industriali che producono ricchezza e occupazione e condannarsi a nuove dipendenze strategiche, per perseguire obiettivi impossibili da raggiungere. Come ho detto mille volte, inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è, semplicemente, un suicidio. Non c’è nulla di verde in un deserto, e nessuna transizione verde, alla quale guardiamo con favore, è possibile in una economia in ginocchio. 

L’addio al motore endotermico entro il 2035, cioè in poco più di un decennio, è uno degli esempi più evidenti di questo approccio sbagliato. Si è scelta la conversione forzata ad una sola tecnologia, l’elettrico, di cui però noi non deteniamo le materie prime, non controlliamo le catene del valore, che ha una domanda relativamente bassa e prezzi proibitivi per gran parte dei nostri concittadini. Insomma, una follia per la quale le nostre economie stanno pagando pesanti conseguenze, in termini di ricchezza, occupazione, forza produttiva e, appunto, competitività.

Lo stiamo vedendo in Italia, ma anche in quelle economie considerate per antonomasia talmente solide da resistere ad ogni evoluzione. 

Per queste ragioni non ci siamo affatto stupiti della richiesta portata avanti dalla principale associazione che riunisce i produttori del settore automobilistico di anticipare al 2025 la revisione degli obiettivi legati allo stop al motore endotermico. Non poteva essere una sorpresa per chi come noi fin dal primo giorno ha lavorato per rendere gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti compatibili con la sostenibilità economica delle nostre filiere. 

Si deve avere il coraggio di riaprire la partita, e di perseguire, al contempo, la strada della neutralità tecnologica, sostenendo anche quelle tecnologie e quelle filiere – come i biocarburanti – nelle quali l’Italia e l’Europa possono giocare un ruolo da protagonisti. 

Allo stesso modo, però, è necessario porsi il tema di come finanziare gli investimenti verso un automotive più pulito, di come sostenere l’innovazione, di come garantire una sempre maggiore autonomia strategica, costruendo catene del valore europee per non consegnarci a nuove, pericolose, dipendenze. 

Proprio in questa direzione va il non-paper presentato dal Ministro Urso ai colleghi degli altri ventisei Stati membri che servirà come base di discussione per ampliare il consenso intorno alla nostra posizione, ispirata al buon senso e al pragmatismo, senza alcuno spazio per gli approcci ideologici.

E ampliando lo sguardo ad altri settori produttivi, non posso che essere d’accordo con Mario Draghi quando scrive, nel suo rapporto, che gli ambiziosi obiettivi ambientali che ci siamo posti devono essere accompagnati da maggiori risorse pubbliche e private, da investimenti adeguati e da un piano coerente per raggiungerli, altrimenti la transizione energetica ed ambientale andrà a scapito della competitività e della crescita. Sono temi che, me ne darete atto, più volte ho toccato in precedenti occasioni e che ci devono spingere ad una riflessione approfondita quanto rapida. 

Questo vuol dire aprire il dibattito soprattutto sugli strumenti finanziari necessari a sostenere questo percorso. Un dibattito nel quale dovremo essere pronti a verificare la possibilità di nuovi strumenti di debito comune, così come a lavorare per riuscire finalmente a mobilitare adeguatamente il capitale privato. Completare l’Unione dei mercati dei capitali consentirebbe, infatti, ai risparmi europei di diventare investimenti europei. 

Sappiamo cosa dobbiamo fare, insomma, ma adesso serve farlo. Servono azioni politiche concrete che trasformino le nostre priorità in una ambiziosa strategia industriale europea, per garantire la crescita delle aziende, la protezione dell’industria, la semplificazione del quadro normativo.

L’altro grande focus di discussione a Bruxelles sarà rappresentato, ovviamente, dalle crisi geopolitiche in atto.

Il Consiglio europeo ribadirà il proprio sostegno alla causa ucraina, perché l’obiettivo di tutti rimane sempre lo stesso: costruire le condizioni per una pace giusta e duratura e aiutare l’Ucraina a guardare al futuro, un futuro di prosperità e benessere. 

Giovedì scorso ho ricevuto a Roma il Presidente Zelensky e in quell’occasione ho ribadito ancora una volta che difendere l’Ucraina è nell’interesse dell’Italia e dell’Europa, perché significa tutelare quel sistema internazionale di regole che tiene insieme la comunità internazionale e protegge ogni Nazione.

L’Italia ha firmato l’accordo di sicurezza e siamo arrivati al nono pacchetto di aiuti militari, concentrandoci ancora sui sistemi di difesa aerea per proteggere la popolazione e le infrastrutture civili. Questo al netto del sostegno che l’Italia continua a dare a 360° gradi. Non ultimo, il contributo per ripristinare la capacità di produzione di energia dopo la distruzione della diga di Nova Kakhovka. 

Continueremo, inoltre, a lavorare, per attuare l’accordo per il prestito garantito dagli interessi generati dagli asset russi immobilizzati in Europa, importante risultato raggiunto dalla Presidenza italiana del G7.

E come ho detto molte volte in passato guardare al futuro dell’Ucraina significa anche immaginare la sua ricostruzione, che va sostenuta insieme alle Istituzioni finanziarie internazionali e al settore privato.

Il Governo italiano è già fermamente impegnato nella tutela del patrimonio culturale ucraino, a partire da Odessa, dove stiamo lavorando per la messa in sicurezza della Cattedrale della Trasfigurazione, gravemente danneggiata dai bombardamenti russi. Ospiteremo il 10 e 11 luglio del 2025 a Roma la Ukraine Recovery Conference, la Conferenza sulla ricostruzione, importante evento sul quale il Governo è già al lavoro e conta sul sostegno di tutte le forze politiche e di tutto il sistema Italia.

Non ci rassegniamo, come pure in molti suggeriscono, all’idea di abbandonare l’Ucraina, all’idea che di fronte alla violazione del diritto internazionale dovremmo chiudere un occhio, banalmente perché sappiamo che quando saltano le regole le crisi si moltiplicano, e tutti ne paghiamo le conseguenze. Così l’invasione dell’Ucraina sta avendo effetti destabilizzanti molto oltre i confini nella quale si consuma, contribuendo ad accendere nuovi focolai di crisi o a far detonare quelli mai spenti. 

Sono convinta che quanto accade in Medio Oriente sia figlio anche di questa destabilizzazione. Voglio condividere con voi la preoccupazione per l’escalation in corso in Libano, perché sono sinceramente preoccupata da come sta evolvendo lo scenario, nonostante gli sforzi innumerevoli, nostri e dei nostri alleati. 

In questi giorni, per la prima volta in un anno di azioni militari israeliane, le postazioni del contingente militare italiano inquadrato nella missione UNIFIL delle Nazioni Unite sono state colpite dall’esercito israeliano.

Pur se non si sono registrate vittime o danni ingenti, io penso che non si possa considerare accettabile. Ed è esattamente la posizione che l’Italia ha assunto, con determinazione, a tutti i livelli. È la posizione che io stessa ho ribadito al primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Pretendiamo che venga garantita la sicurezza dei nostri soldati, sia di quelli impegnati nella missione UNIFIL dell’Onu sia di quelli impegnati nella missione bilaterale MIBIL, che insieme al resto della comunità internazionale hanno contribuito per anni alla stabilità lungo il confine Israelo-libanese. Riteniamo perciò che l’atteggiamento delle forze israeliane sia del tutto ingiustificato, oltre a rappresentare una palese violazione di quanto stabilito dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. 
Per contro, non si può non tenere presente la violazione della stessa risoluzione compiuta negli anni da Hezbollah, che ha operato per militarizzare l’area di competenza di UNIFIL. 

La posizione del Governo italiano è che si debba lavorare alla piena applicazione della Risoluzione 1701 rafforzando le capacità di UNIFIL e delle Forze Armate libanesi. 

Detto questo, pochi giorni fa abbiamo commemorato il primo anniversario della disumana aggressione perpetrata il 7 ottobre 2023 da Hamas contro il popolo israeliano. Non dimentichiamo il massacro di civili inermi, donne e bambini compresi, e il vilipendio dei loro corpi, mostrati al mondo senza alcuna pietà. 

Così come il nostro pensiero è rivolto costantemente agli ostaggi, strappati alle loro famiglie e ai loro cari, che da un anno ormai sono prigionieri e attendono di tornare a casa. 

Ricordare e condannare con forza ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023, è il presupposto di ogni azione politica che dobbiamo condurre per riportare la pace in Medio Oriente, perché sempre più le pur legittime critiche a Israele si mescolano con un giustificazionismo verso organizzazioni come Hamas ed Hezbollah, e questo, piaccia o no, tradisce altro. Tradisce un antisemitismo montante che, credo, debba preoccuparci tutti. E le manifestazioni di piazza di questi giorni lo hanno, purtroppo, dimostrato senza timore di smentita.

Consentitemi, su questo, di rinnovare anche la solidarietà mia personale e di tutto il Governo alle forze dell’ordine insultate e aggredite da sedicenti “manifestanti” che usano ogni pretesto per sfogare la loro assurda violenza. È intollerabile che decine di agenti vengano feriti durante una manifestazione di piazza. 

Ringrazio il Ministro Piantedosi, il Capo della Polizia e tutti gli uomini e le donne che ogni giorno lavorano per garantire la nostra sicurezza. E mi auguro e mi aspetto che tutti lo facciano, in quest’aula. 

Difendiamo il diritto di Israele a vivere in pace e in sicurezza, ma ribadiamo la necessità che questo avvenga nel rispetto del diritto internazionale umanitario. Perché non siamo insensibili di fronte all’enorme tributo di vittime civili innocenti a Gaza, che non a caso sono state dall’inizio al centro del nostro lavoro.

Così come la situazione umanitaria a Gaza è sempre più preoccupante, e prosegue anche su questo fronte il nostro impegno. Nell’ambito dell’iniziativa “Food for Gaza”, sono stati consegnati all’interno della Striscia oltre 47 tonnellate di beni alimentari, e voglio ringraziare per questo il Ministro degli Esteri Antonio Tajani. 

In Libano, subito dopo l’inizio dell’escalation militare, abbiamo approvato nuovi e immediati interventi umanitari pari a 17 milioni di euro che sosterranno anche le persone recentemente sfollate dalle loro abitazioni e le comunità che le ospitano.

Abbiamo deliberato contributi pari a 5 milioni di euro per le attività di UNRWA in Cisgiordania e a sostegno dei rifugiati palestinesi in Siria, Libano e Giordania. L’Italia rimane disponibile a sostenere progetti specifici dell’Agenzia, ma esclusivamente a seguito di un controllo scrupoloso volto a impedire qualsiasi forma di commistione con attività terroristiche.

Le conseguenze dell’attacco di Hamas hanno scatenato un’escalation su base regionale che rischia di avere esiti imprevedibili. 
È nostro dovere continuare a fare ogni possibile sforzo per arrivare ad una de-escalation, riportando il dialogo a prevalere sull’uso della forza, benché sia un compito tutt’altro che semplice.

L’Italia ha condannato l’attacco iraniano a Israele e ha lanciato un appello alla responsabilità di tutti gli attori regionali, chiedendo di evitare ulteriori degenerazioni. 

Lo abbiamo ribadito anche il giorno successivo all’attacco, insieme agli altri Leader del G7. È necessario rompere questo ciclo di violenza ed essere unanimi nell’invitare con decisione tutte le parti a impegnarsi in modo costruttivo per allentare la tensione.

L’Italia è quotidianamente impegnata per un cessate il fuoco immediato a Gaza, per il rilascio degli ostaggi israeliani, per la stabilizzazione del confine israelo-libanese, attraverso la piena applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite.

Confermiamo il nostro sostegno a tutti gli sforzi di mediazione portati avanti, in particolare a quello degli Stati Uniti, e il nostro impegno per lavorare ad una soluzione politica duratura, basata sulla prospettiva dei due Stati, in cui Israele e Palestina co-esistano fianco a fianco in pace, con sicurezza per entrambi.

L’aumento della tensione e l’escalation militare hanno aggravato anche la crisi dei rifugiati in Siria, in Giordania e negli altri Paesi della regione. È fondamentale affrontare questa emergenza, che si aggrava sempre di più e che merita un impegno ancor più determinato dell’Europa.

Per questo, in occasione del recente vertice Med9, ho voluto promuovere un incontro a quattro con il Re di Giordania, il Presidente di Cipro e la Presidente della Commissione Europea per confrontarci su come rispondere di fronte a questa emergenza. 

La posizione italiana è che occorra rivedere la Strategia dell’Unione Europea per la Siria e lavorare con tutti gli attori, per creare le condizioni affinché i rifugiati siriani possano fare ritorno in Patria in modo volontario, sicuro e sostenibile. Occorre investire nell’early recovery, in modo che i rifugiati che decidono di tornare trovino condizioni che permettano un loro reinserimento in Siria. In questo senso sosteniamo soprattutto l’impegno che sta portando avanti l’UNHCR, ma abbiamo anche deciso di rafforzare la nostra presenza diplomatica a Damasco. 

Sempre in ambito internazionale, il Consiglio si occuperà, poi, della situazione venezuelana. Questione che ci sta particolarmente a cuore, anche per i moltissimi cittadini di origine italiana che si trovano in una terra che perfino il nome collega a Venezia e all’Italia. 

Non riconosciamo la proclamata vittoria di Maduro a seguito di elezioni ben poco trasparenti e continuiamo a condannare l’inaccettabile repressione del regime, chiedendo la liberazione di tutti i prigionieri politici. Lo abbiamo ribadito più volte in tutti i comunicati G7 durante la nostra presidenza. Insieme all’Unione Europea, lavoriamo per una transizione democratica e pacifica nel Paese, affinché la volontà dei milioni di venezuelani che continuano a rischiare la propria vita per un futuro più democratico, prospero e sicuro, possa finalmente trovare realizzazione.

Al Consiglio europeo torneremo ad occuparci di un’altra sfida che vede in prima linea l’Italia e l’Europa nel complesso, ovvero il governo dei flussi migratori.

Nell’Agenda strategica che abbiamo approvato a giugno, l’Unione europea ha fissato delle priorità ben precise: la difesa dei confini esterni, il contrasto all’immigrazione irregolare di massa, l’impegno per affrontare le cause profonde della migrazione e il sostegno ai canali di migrazione legale. 

Direttrici di azione alle quali questa nuova legislatura europea deve dare seguito. L’approccio dell’Europa in materia migratoria è oggi molto diverso da quello del passato, grazie soprattutto all’impulso italiano, ma è fondamentale lavorare per dare concretezza alle nuove priorità.

Sono orgogliosa che l’Italia sia diventata, da questo punto di vista, un modello da seguire. Ho accolto con grande soddisfazione l’attenzione che, in questi mesi e in queste settimane, diversi esponenti di governi europei ed extraeuropei, di diverso colore politico – Francia, Germania, Svezia, Regno Unito, solo per citarne alcuni – hanno riservato alle nostre politiche, a riprova del pragmatismo e dell’efficacia che hanno segnato la nostra azione in materia di contrasto all’immigrazione illegale. 

Una efficacia che i numeri raccontano meglio delle parole. Nel 2024 la percentuale di sbarchi di immigrati illegali è diminuita del 60% rispetto al 2023 e del 30% rispetto al 2022. È merito delle politiche del governo, certo, ma anche del sostegno che l’Europa ha garantito a molte delle nostre proposte, come il memorandum con la Tunisia e con l’Egitto. 

E colgo l’occasione per ringraziare anche il Ministro Salvini e soprattutto la Guardia Costiera italiana per il suo straordinario lavoro, e per esprimere a questi uomini e a queste donne la solidarietà del governo di fronte ai continui attacchi faziosi che subiscono da organizzazioni politicizzate che detestano chiunque lavori per contrastare l’immigrazione illegale di massa. 

Considero vergognoso che l’organizzazione non governativa Sea Watch definisca le guardie costiere “i veri trafficanti di uomini”, volendo delegittimare tutte quelle degli Stati del nord Africa, e magari anche quella italiana, in modo da dare via libera agli scafisti che questa ONG descrive invece come innocenti, che si sarebbero ritrovati casualmente a guidare imbarcazioni piene di immigrati illegali. Sono dichiarazioni indegne, che gettano la maschera sul ruolo giocato da alcune ONG e sulle responsabilità di chi le finanzia. 

Diminuiscono gli sbarchi e, cosa più importante, diminuiscono anche i morti e i dispersi in mare. Anche su questo punto la tendenza decrescente si sta consolidando, e questo ci rende particolarmente orgogliosi perché è la dimostrazione di quello che abbiamo sempre sostenuto, ovvero che l’unico modo per impedire altre tragedie in mare è fermare le partenze e combattere i trafficanti senza scrupoli.

Ci siamo occupati anche di promuovere i canali di ingresso regolare. Non solo abbiamo programmato, nel periodo 2023-2025, circa 450 mila ingressi regolari, ma stiamo lavorando per far funzionare bene il decreto flussi, evitando che nelle sue pieghe si annidi l’illegalità.

Ci siamo ritrovati, infatti, di fronte ad un meccanismo di frode e di aggiramento delle dinamiche di ingresso regolare, con la pesante interferenza del crimine organizzato. 

Abbiamo presentato un esposto alla Procura nazionale Antimafia e abbiamo adottato, nei giorni scorsi, un decreto-legge che prevede misure specifiche per correggere le storture esistenti ed evitare che le norme possano essere eluse.

Intendiamo lavorare per consolidare quest’approccio, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo. Per questo, a partire dal Consiglio europeo di domani, su iniziativa dell’Italia si svolgerà un incontro informale tra gli Stati Membri più interessati al fenomeno migratorio.

Constatiamo intanto una nuova attenzione al tema dei rimpatri, anche volto ad un rafforzamento dell’attuale quadro giuridico europeo, sul quale abbiamo registrato con favore l’interesse del nuovo governo francese e le dichiarazioni della Presidente Von der Leyen a margine del vertice Med9 di Cipro.

Se da un lato siamo impegnati a rafforzare gli strumenti dell’Unione europea e degli Stati membri, dall’altro dobbiamo continuare a esplorare soluzioni innovative.

L’Italia ha dato il buon esempio con la sottoscrizione del Protocollo Italia-Albania, per processare in territorio albanese, ma sotto giurisdizione italiana ed europea, le richieste di asilo. Le due strutture previste dal Protocollo – il centro di Shengjin e il centro di Gjader – sono ora pronte e operative. 

Ci siamo presi del tempo in più perché tutto fosse fatto nel migliore dei modi, ma siamo molto soddisfatti dei risultati di questo lavoro. E voglio anche qui ringraziare in particolare i Ministri Crosetto, Piantedosi e Nordio, il Sottosegretario Mantovano e la nostra Ambasciata in Albania, che hanno seguito passo passo l’attuazione del protocollo.

È una strada nuova, coraggiosa, inedita, ma che rispecchia perfettamente lo spirito europeo e che ha tutte le carte in regola per essere percorsa anche con altre Nazioni extra-Ue. E ringrazio anche il Primo Ministro Rama e tutto il suo Governo per aver creduto, con noi, nella bontà e nell’efficacia di questa iniziativa. 

L’Italia è geograficamente collocata al centro del Mediterraneo e questo ci rende il naturale punto d’incontro tra l’Occidente e il Sud del mondo. È uno straordinario vantaggio, se è vero, come è vero, che la posizione geostrategica di una Nazione può essere importante quanto la sua forza economica e finanziaria.

Soprattutto se si pensa alla nuova centralità che il Mediterraneo è tornato ad acquisire, come spazio di connessione tra l’Atlantico e l’Indo-pacifico, attraverso il Golfo Persico e il Canale di Suez.

Anche per questo reputiamo importante che, nella nuova Commissione europea, sia stato introdotto un portafoglio dedicato al Mediterraneo e guardiamo con grande attenzione al futuro “Patto per il Mediterraneo”, che mi auguro consentirà di sistematizzare il nuovo approccio paritario dell’Unione europea nei confronti del suo Vicinato meridionale

Seguendo lo stesso ragionamento, consideriamo importante anche che l’Unione europea abbia deciso di organizzare, per domani 16 ottobre, il primo Vertice Ue-Consiglio di Cooperazione del Golfo, un’opportunità per approfondire il nostro partenariato con le nazioni del Golfo, e trovare nuove occasioni di collaborazione in ambiti chiave, particolarmente nell’attuale contesto internazionale.

Se l’Italia sceglie di guardare al Sud, anche l’Europa sarà naturalmente spinta a farlo. E questo apre grandi opportunità, soprattutto dal punto di vista geopolitico. 

Perché non è un segreto per nessuno che non siamo gli unici a guardare all’Africa e che ci sono altri attori – Russia e Cina in testa, ma non solo – che portano avanti le proprie strategie, spesso con un approccio molto più assertivo del nostro.

Rimango convinta che, nel rapporto con le Nazioni africane, noi rimaniamo potenzialmente più competitivi, perché la nostra sfida non è alimentare il caos per tentare di depredare l’Africa delle proprie risorse, ma consentire ai Paesi africani di utilizzare quelle risorse, per poter vivere di ciò che hanno, con Governi stabili e società prospere.

Come sapete abbiamo declinato questo approccio con il Piano Mattei per l’Africa, che ha già visto partire diversi progetti con le prime nove nazioni africane coinvolte, e raccoglie sempre maggiore attenzione e curiosità a livello internazionale. Anche qui abbiamo fatto da apripista. E dispiace, lo dico senza polemica, che mentre tutto il mondo guarda a noi proprio grazie alla nostra strategia sull’Africa, e mentre tutto il sistema Italia dimostra di aver compreso la portata di questa iniziativa, i partiti di opposizione abbiano invece scelto, anche su questo fronte, la strada di una opposizione pregiudiziale. 

Abbiamo condiviso il Piano con il Parlamento proprio per coinvolgere tutte le forze politiche, in quella che per noi continua a essere una strategia necessaria per l’Italia, non un progetto utile al Governo Meloni. Ma voglio dire che sono sempre disponibile a confrontarmi con tutti su questo fronte, semmai una volta tanto l’interesse italiano si volesse anteporre a quello di partito. 

Signor Presidente, onorevoli Senatori, da più parti il Consiglio europeo di domani è stato definito come un Consiglio europeo di “transizione”, tra il vecchio e il nuovo ciclo istituzionale europeo.

È vero, ma proprio per questo sarà un Consiglio Europeo importante, perché porrà le basi della strategia da adottare nei prossimi anni. L’Italia, come sempre farà la sua parte, pronta a indicare la rotta su molti temi sui quali ha ampiamente dimostrato di poter dire la sua. Perché a questa Nazione non manca nulla. Non le manca la solidità, la visione, la creatività, l’affidabilità per poter essere un punto di riferimento. Le è mancata, a volte sì, la consapevolezza del suo ruolo, l’orgoglio per la sua tradizione, il coraggio per tracciare la rotta, invece di limitarsi a seguire le rotte tracciate da altri. Ma quella stagione, fortunatamente, ce l’abbiamo alle spalle.

Vi ringrazio.


Il testo dell’intervento di replica al Senato

Consiglio europeo del 17-18 ottobre: intervento di replica al Senato del Presidente Meloni

Martedì, 15 Ottobre 2024

La ringrazio Presidente, ringrazio lei, ringrazio i colleghi che sono intervenuti.

Cercherò di essere ragionevolmente breve perché, come è tradizione, prima del Consiglio europeo, come sapete, c’è anche un pranzo offerto dal Presidente della Repubblica e vorrei riuscire ad ascoltare il più possibile anche le dichiarazioni di voto dei colleghi.

Quindi darò alcune risposte sulle cose sulle quali ritengo che sia necessario replicare.

Collega Murelli, tutti siamo d’accordo sulla pace. L’Italia lavora dall’inizio, tanto in Ucraina quanto in Medio Oriente, per costruire la pace. Chiaramente poi bisogna intendersi su come quella pace si costruisca nel concreto.

Io penso e ho detto, ribadisco, che in Medio Oriente significa continuare a lavorare per un cessate il fuoco, tanto a Gaza quanto in Libano. Non facile, ma è il lavoro sul quale ci spendiamo ogni giorno, sul quale si spende la sottoscritta, sul quale si spendono tutti i Ministri competenti all’interno del Governo.
Significa arrivare al cessate il fuoco, alla liberazione degli ostaggi. L’ho detto varie volte, anche e soprattutto in seno al Consiglio europeo, perché penso che su questo l’Europa possa e debba giocare un ruolo che i pochi altri possono giocare, e ragionare già concretamente di cosa dovrebbe accadere a Gaza all’indomani di un cessate il fuoco, di come accompagnare concretamente una transizione verso quello su cui siamo una volta tanto tutti d’accordo, e cioè l’opzione dei due popoli in due Stati.

Chiaramente significa anche lavorare per la stabilizzazione del confine israelo-libanese, che è la ragione per la quale io continuo a ritenere che sia preziosa, nella difficoltà, l’opera prestata dai militari italiani, e non solo, impegnati nella missione dell’ONU UNIFIL, quanto quelli impegnati nella missione bilaterale MIBIL, proprio e soprattutto per rafforzare la capacità delle forze armate libanesi di poter garantire la sicurezza del loro territorio. È un lavoro molto complesso ed è come, a mio avviso, si costruisce la pace.

Per l’Ucraina costruire la pace – anche questo l’ho detto tante volte, ma forse è importante ribadirlo – significa soprattutto mettere la Nazione aggredita nella condizione di presentarsi a un tavolo delle trattative non in una condizione di debolezza.

Perché se l’Ucraina si presentasse a un tavolo delle trattative abbandonata da noi, senza avere condizioni per poter rivendicare una propria forza, purtroppo quella presunta pace tradirebbe qualcosa di diverso. Tradirebbe l’accettazione di una forza militare che vale più del diritto internazionale.
E il problema, come ho detto e ribadisco per la centesima volta, non è solo un problema di cosa – che comunque per me è sufficiente – sia giusto e di cosa non lo sia. Il problema è che se noi accettiamo e ci voltiamo dall’altra parte quando saltano le regole del diritto internazionale, non ci rendiamo conto che vivremo in un mondo molto più caotico di quello nel quale viviamo oggi.
E per questo io sono convinta che fare il lavoro che l’Italia sta facendo, sia nell’interesse di tutta la comunità internazionale.

Quindi sulla pace siamo tutti d’accordo – chiaramente non lo dico rispetto ad altre cose che ho sentito dire anche in questo dibattito e in altre occasioni all’interno di quest’aula –  soprattutto se noi non confondiamo la parola pace con qualcos’altro.  Per questo noi parliamo sempre di pace giusta.

Dopodiché, il collega Delrio dice “l’Europa come sommatoria di interessi nazionali”, il senatore Monti dice che “bisogna fare attenzione al nazionalismo economico”.

Su questo chiaramente noi abbiamo avuto e abbiamo un’idea di costruzione europea diversa. Io penso che tutte siano pienamente legittime. Non sempre ho visto da parte dei miei interlocutori la legittimità riconosciuta a un’idea di costruzione europea diversa da quella che avete voi.

Io credo che una cosa sia il nazionalismo economico e altra cosa sia riconoscere una specificità nelle economie nazionali del continente europeo che è un pezzo della ricchezza dell’economia europea. Quindi attenzione, perché da una parte è vero – ed è il lavoro che anche l’Italia cerca di fare – che noi dobbiamo lavorare per accrescere la competitività europea, anche immaginando dei giganti, anche lavorando per avere una maggiore integrazione su alcuni settori della nostra industria. Dall’altra, quando abbiamo denunciato l’iper-regolamentazione. lo abbiamo fatto per questo, perché un’iper-regolamentazione che pretende di andare bene per nazioni che hanno un’economia molto diversa tra loro rischia di non rafforzare quelle economie.

È quello che abbiamo visto accadere molto spesso in questi anni e quindi è la ragione per la quale io non ritengo che la soluzione per rendere l’Europa più forte sia banalmente trasferire tutte le nostre competenze alla Commissione europea. Non ha funzionato.  Si è tradotto in un’iper-regolamentazione che spesso ha mortificato interi settori produttivi del continente europeo. Io penso, l’ho detto anche questo moltissime volte, penso che il principio che noi dobbiamo applicare dei trattati europei sia il principio della sussidiarietà.

Ci sono alcune cose sulle quali gli Stati nazionali non sono competitivi e non lo saranno. Politica estera, corretto, sono d’accordo, ma oggi noi, mentre regolamentiamo qualsiasi cosa inseguendo questo modello, diciamo così, federalista dell’Unione europea, ci mettiamo tre riunioni del Consiglio europeo ad avere una posizione, dopo il 7 ottobre, sui massacri di Hamas verso i civili israeliani. Quindi, il paradosso di questa costruzione, che fino ad oggi è stata più simile all’idea che ne avete voi che all’idea che ne ho io, è che noi abbiamo una risposta per tutto quello che riguarda la vita quotidiana dei cittadini e non abbiamo alcuna risposta per tutto quello che riguarda il livello necessario di una costruzione europea, politica estera, politica di difesa, il mercato interno. Su questo noi siamo stati deboli.

Quindi il tema non è se serve più Europa o se serve meno Europa, perché io questo l’ho trovato un dibattito sempre semplicistico. Il problema è dove serve più Europa e dove serve meno Europa. Non serve più Europa dappertutto, serve più Europa sulle grandi materie, serve meno Europa su tutte le materie sulle quali gli Stati nazionali possono dare risposte decisamente migliori di quelle che può dare il livello europeo. L’ho sempre pensata così, la penso ancora così e alla fine mi pare che più o meno questa lettura stia trovando maggiore condivisione.
Dopodiché, sempre sul tema europeo-commissione, senatore Del Rio, senatore Alfieri. Torniamo sul tema della votazione della Commissione. Allora, punto primo, io nel mio intervento ho parlato di quello che è accaduto, senatore Alfieri, nella Commissione quando Paolo Gentiloni venne a presentarsi.

Così, per fare chiarezza, quando si vota la Commissione ci sono due passaggi fondamentali, uno riguarda i singoli commissari e uno riguarda la Commissione nel suo complesso. I singoli commissari si presentano nella loro Commissione di competenza e devono avere un via libera come singoli commissari dai due terzi dei partiti dei gruppi politici presenti nella Commissione. Dopodiché si va, quando tutti i commissari hanno finito le loro audizioni, al Parlamento europeo e si esprime una votazione sull’intera Commissione.

Quindi quello che ho ricordato io è che nonostante Fratelli d’Italia ed ECR cinque anni fa fossero contrari alla Commissione von der Leyen, fecero, perché si trattava del commissario italiano, una scelta completamente diversa per quello che riguardava il commissario italiano. Quindi noi anteponemmo cinque anni fa l’interesse nazionale italiano rispetto alla posizione di quella che era il nostro partito.
Ora, io sono contenta di apprendere dal senatore del Rio, anzi, sapevo già che il gruppo del Partito Democratico è favorevole alla Commissione di Ursula von der Leyen. Credo che sia favorevole anche al fatto che all’Italia, per il peso che l’Italia ha, per il ruolo che l’Italia ha, venga riconosciuta una delega importante, come è stato fatto per Raffaele Fitto, e venga riconosciuta una vicepresidenza esecutiva.
Io sono certa che questa sarà la vostra posizione e che questa sia la vostra posizione, Senatore Delrio, però se questa è la vostra posizione temo che dobbiate parlare con il vostro gruppo, perché quello che è accaduto nelle ultime settimane al Parlamento europeo è che il gruppo dei socialisti ha cercato di far spostare l’audizione del Commissario Fitto come ultimo tra i vicepresidenti e lo ha fatto dicendo apertamente che il gruppo dei socialisti europei non avrebbe accettato che all’Italia venisse riconosciuta una vicepresidenza esecutiva. Allora, delle due l’una, senatore Delrio, o voi siete d’accordo con questa posizione e io non lo penso, oppure quando negli anni passati avete parlato spesso di isolamento internazionale non stavate parlando con me. Credo che dobbiate farvi sentire dal vostro gruppo, perché io escludo che il gruppo dei socialisti possa votare sul Commissario italiano in modo diverso da come gli dice il gruppo italiano dei socialisti che è anche la delegazione più numerosa.

Per cui mi aspetto, se è vero quello che mi avete detto in quest’Aula, e ripeto io ci credo perché su queste cose ci credo, mi aspetto che nelle prossime ore cambi la posizione dei socialisti sulla facoltà o meno per questa Nazione, perché qui noi non stiamo parlando del Commissario di Fratelli d’Italia, del centrodestro o del Governo italiano, qui stiamo parlando del Commissario italiano, e quindi io, poiché credo che amiate questa Nazione, mi aspetto che la posizione del Partito Socialista nelle prossime ore muti completamente riguardo al fatto che l’Italia debba o meno avere una vicepresidenza esecutiva.

Dopodiché, Israele: sono state dette molte cose sulla vicenda israeliana, sempre collega Delrio, collega Alfieri, insomma diversi, è una situazione molto complessa, io l’ho detto, in un mondo nel quale ogni giorno mi alzo e c’è un giornalista che mi chiede: “è preoccupata per…”, praticamente dovrei passare una vita di terrore, il conflitto del Medio Oriente mi preoccupa sul serio.

Il conflitto del Medio Oriente mi preoccupa sul serio e credo per questo che sia importante ragionare non inseguendo l’istinto ma chiedendosi, ogni volta che si fa una scelta, quali saranno le conseguenze di quella scelta. Io vi ho detto che la posizione che ha il Governo italiano è una posizione che penso si veda, viene riconosciuta come una posizione estremamente equilibrata da tutti gli attori della Regione. Mi considero, considero l’Italia un’amica di Israele, penso per questo che si debba anche avere il coraggio di dire quando le cose non funzionano, come fanno normalmente gli amici.

Io ovviamente comprendo le ragioni di Israele, che ha bisogno di impedire che quanto è accaduto lo scorso 7 ottobre possa ripetersi. Questo non vuol dire ovviamente che io sia d’accordo con tutte le scelte di Israele. Però una cosa la voglio dire, attenzione signori, nel senso che quando ci sono stati gli attacchi del 7 ottobre scorso io ho detto, anche in quest’Aula, che la modalità con la quale li avevamo visti raccontati al mondo, con una ferocia che era oltre, allora l’impressione che ne ho avuto io al tempo è che quegli attacchi terroristici si fossero portati avanti così perché la strategia del fondamentalismo islamico era isolare Israele, costringere Israele a una reazione troppo dura, isolare Israele nella regione. Sappiamo tutti che il vero nemico erano gli Accordi di Abramo, cioè la normalizzazione delle relazioni con Israele. Isolare Israele nelle opinioni pubbliche occidentali è più o meno quello che sta accadendo. Ma se questa era la strategia, perché era questa la strategia? Perché isolare Israele è l’unico modo per provare a cancellarla. Allora noi dobbiamo anche fare attenzione, mentre non siamo d’accordo e cerchiamo di passare anche con determinazione i nostri messaggi, a non dare il segnale dall’altra parte che Israele viene abbandonata a se stessa, perché le conseguenze di una scelta del genere potrebbero ugualmente essere conseguenze non immaginabili.

Quindi la materia è una materia molto complessa.
Io voglio approfittare anche per chiarire la vicenda delle esportazioni di armi verso Israele, perché voi sapete che dopo l’avvio delle operazioni israeliane a Gaza, il Governo ha sospeso immediatamente la concessione di ogni nuova licenza di esportazione per materiali di armamento verso Israele, ai sensi della legge 185 del 1990.
Quindi tutti i contratti firmati dopo il 7 ottobre non hanno trovato applicazione. Le licenze di esportazione verso Israele che invece erano state autorizzate prima del 7 ottobre sono state tutte analizzate caso per caso dall’autorità competente che è la UAMA, presso la Farnesina, applicando chiaramente la normativa italiana, la normativa europea e la normativa internazionale.

Voglio ricordare che la posizione italiana – lo dico anche rispetto a un dibattito che all’indomani delle dichiarazioni del Presidente Macron si è molto animato -, cioè il blocco completo di tutte le nuove licenze di esportazione, è molto più stringente, molto più restrittiva di quella applicata dai nostri altri partner di riferimento – di quella applicata dalla Francia, di quella applicata dalla Germania, di quella applicata dal Regno Unito. Questi partner continuano a operare anche per le nuove licenze una valutazione caso per caso. Noi sulle nuove licenze non facciamo una valutazione caso per caso, abbiamo bloccato tutto. Facciamo la valutazione caso per caso sulle vecchie licenze.

Chiaramente, laddove c’è il rischio che questo materiale possa essere impiegato nella crisi in atto, noi non procediamo e procediamo invece quando siamo certi che questo materiale non possa essere utilizzato. È il caso ad esempio di munizioni marittime dimostrative: licenza firmata prima del 7 ottobre, prima sospesa e poi revocata, perché non potevamo essere sicuri che; non è il caso ad esempio di componentistica per aerei che vengono assemblati in Israele per essere esportati agli Stati Uniti, perché non c’è il rischio che possano essere utilizzati.
Questo è come sta procedendo l’Italia e mi pare che sia un modo di procedere molto serio.
Dopodiché, immigrazione. Senatore Delrio, io non ho cercato di dividere l’aula tra chi è amico degli scafisti e chi no. Io ho detto che trovo vergognose delle dichiarazioni che sono state fatte da un’organizzazione non governativa che opera nel Mediterraneo, che ci dice che le guardie costiere sono i veri trafficanti di esseri umani e che invece gli scafisti sono degli innocenti che noi mettiamo in galera.
Penso che il fatto che si risponda su una materia del genere è abbastanza curioso, perché presumo che lei condivida il fatto che queste parole sono vergognose. Io sono convinta che i grandi nemici in questa questione continuino ad essere i trafficanti di esseri umani. Non credo che i nostri nemici siano le guardie costiere. Credo che i nostri nemici siano quelli che stanno facendo miliardi di euro sulla pelle di poveri disperati, di persone disperate che legittimamente sperano in una vita migliore, e non chi invece cerca di far rispettare le regole.

Mi incuriosisce che lei mi risponda su una vicenda del genere dicendo che io cerco di dividere l’aula su questo, perché parto dal presupposto che l’aula su questo dovrebbe essere d’accordo, altrimenti davvero abbiamo un problema, Senatore Delrio.
Dopodiché, voglio dire al Senatore Borghi che è già previsto che io vada in Libano – almeno su una cosa siamo d’accordo -, come anche il Ministro Tajani si sta preparando per andare in Israele e Palestina la settimana prossima. Stiamo facendo, anche con la nostra presenza, tutto quello che è possibile fare.

Chiudo. Senatrice Bevilacqua, che dire? Ci vorrebbe un po’ troppo tempo per rispondere alla sequela di inesattezze, miste e a menzogne, che è riuscita a condensare in pochi minuti di intervento. Dico tre cose velocemente.
Ora, lei sostiene che io avrei detto in quest’Aula che sarebbe un errore fare la transizione ecologica perché ci consegniamo a nuove dipendenze. Non so se lei non ha capito il mio intervento o se è la solita strumentalizzazione, perché io ho detto una cosa diversa. Io ho detto che, se nel fare la transizione ecologica – cosa sulla quale siamo d’accordo -, imponiamo l’uso di un’unica tecnologia, che è l’elettrico, ci consegniamo a nuove dipendenze. Non so se lei non ha capito o sta strumentalizzando, ma il concetto garantisco che non è difficile. Il concetto non è difficile.
Guardi, il giorno che mi faccio spiegare che cosa ho detto da un esponente del Movimento 5 Stelle, mi dimetto.
Io capisco quello che state facendo, perché vede Senatrice Bevilacqua, io penso che sia veramente irresponsabile, nello scenario che noi stiamo vivendo, far credere ai giovani italiani che andranno in guerra in Ucraina per cercare di raggranellare qualche voto. Io penso che questo sia veramente un atteggiamento irresponsabile. La leggerezza con la quale voi del Movimento 5 Stelle affrontate le crisi internazionali è pari solo alla leggerezza con la quale avete affrontato il bilancio dello Stato quando eravate al Governo.

Perché guardi, Senatrice Bevilacqua, ci vuole una maschera di ferro per accusare questo Governo di gettare i soldi dalla finestra. Anche volendo, questo Governo non potrebbe gettare i soldi dalla finestra, perché li avete già gettati tutti voi, lasciandoci 200 miliardi di euro di debiti da pagare che potrebbero essere destinati a sanità, pensioni, lavoro dei cittadini e che invece voi avete destinato a ristrutturare il 4% delle case degli italiani, prevalentemente seconde case.

Vi prego, vi prego, ci vuole veramente coraggio a dire che noi gettiamo dalla finestra i soldi dei cittadini, perché noi non siamo nella posizione di gettare i soldi dei cittadini, grazie ovviamente all’eredità che ci avete lasciato.
Senatrice Bevilacqua, poi è possibile che io faccia opposizione ai cittadini, ma non è quello che i cittadini hanno detto nel giugno scorso.


Il testo dell’intervento di replica alla Camera

Consiglio europeo del 17-18 ottobre: intervento di replica alla Camera del Presidente Meloni

Martedì, 15 Ottobre 2024

Sì, grazie Presidente,

grazie ai colleghi che sono intervenuti. Sarò abbastanza breve, non ci sono moltissime cose da aggiungere rispetto a quanto detto nella relazione e alla replica che ho già fatto ai colleghi del Senato. Torno volentieri, sempre cercando di dividerlo per grandi punti, su alcune delle questioni principali che sono state trattate dai colleghi, partendo dalla collega Braga che diceva in apertura del suo intervento che la mia sarebbe stata una relazione carica di odio. Ora, io non so dove la collega Braga abbia sentito una relazione carica di odio, a volte ho l’impressione che questi interventi di replica vengano scritti prima di ascoltare quello che dirò io e non dopo aver ascoltato quello che ho detto io, ma cito il riferimento che faceva lei rispetto all’odio nei confronti delle organizzazioni non governative. 

Io ho semplicemente detto che considero vergognoso dichiarare che le guardie costiere sono i veri trafficanti di esseri umani e che invece i veri trafficanti di esseri umani, cioè gli scafisti, sono degli innocenti.
Le considero parole vergognose, penso che dovreste condividere questa frase che ho detto stamattina e penso che debba preoccuparci il fatto che di fronte a queste frasi riteniate di attaccare me e difendere queste frasi, perché probabilmente sono io che non ho capito quale sia la vostra posizione, nel senso che davo per scontato che su una cosa del genere dovessimo essere tutti d’accordo.

Sempre la collega Braga, rimango sul tema dell’immigrazione, dice che l’accordo con la Tunisia viola il diritto internazionale e così l’accordo con l’Albania, più in generale le politiche migratorie del Governo italiano. Io le devo ricordare che ormai queste politiche migratorie del Governo italiano sono diventate le politiche migratorie dell’Unione Europea.

Voglio riassumere i contenuti della lettera che la Presidente della Commissione europea, come è ormai solita fare prima di ogni Consiglio europeo, ha inviato ai leader dei Paesi membri sullo stato d’avanzamento delle iniziative che la Commissione porta avanti in tema di migrazione. 
La Presidente von der Leyen parte dalla constatazione che misure assunte sulla dimensione esterna consentono di fatto, come l’Italia ha sempre sostenuto e come abbiamo dimostrato, di ridurre la migrazione illegale, dopodiché delinea un programma d’azione in dieci punti, che sono: accelerare l’implementazione e l’attuazione del patto di migrazione e asilo; continuare con i parternariati con i paesi di origine e transito, cioè l’accordo con l’Albania che voi dite che viola il diritto internazionale; avanzare verso un approccio comune sui rimpatri; rafforzare gli strumenti per ottenere maggiore collaborazione sulle reammissioni e sui rimpatri; rafforzare il contrasto ai trafficanti di esseri umani, che non sono le guardie costiere, secondo la Presidente von der Leyen; rafforzare la sicurezza delle frontiere; definire modalità innovative per contrastare la migrazione illegale, che significa l’accordo con l’Albania, che la Presidente von der Leyen cita in modo specifico nella lettera che ha mandato ai leader. 

Poi c’è un punto che riguarda la prospettiva per i rifugiati ucraini in Europa, ma questa è la politica migratoria che l’Unione Europea sta portando avanti, con una maggioranza di Stati membri, la quasi totalità degli Stati membri, che condividono queste politiche, quindi temo che ormai siate voi a essere isolati a livello internazionale perché tutto il resto del mondo è abbastanza d’accordo con noi.

Dopodiché, sempre la collega Braga ci dice che in Albania si stanno consumando delle violazioni, questo proprio mi sfugge collega Braga perché le comunico che i primi migranti in Albania dovrebbero arrivare domani e quindi come si siano potute consumare delle violazioni quando era ancora vuoto mi pare francamente un pò eccessivo, ma dico anche che se lei si riferisse invece proprio al principio del protocollo Italia-Albania che viola il diritto internazionale, il diritto europeo, io ricordo, che l’accordo con l’Albania prefigura la cessione da parte dell’Albania di territorio albanese che però diventa coperto da giurisdizioni italiane ed europea e quindi se lei ritiene che questo accada, se la collega Braga ritiene che questo accada in violazione del diritto internazionale o non conosce bene il diritto internazionale o ritiene che il diritto internazionale stesso violi se stesso, non lo so, ma noi stiamo rispettando il diritto internazionale. 

Anche sul tema dei conti, diciamo le cose non stanno un po’ come ho sentito dire da diversi colleghi in tema di Albania perché, l’ho detto e lo ripeto, i fondi assegnati per l’attuazione del protocollo sono 670 milioni di euro per cinque anni, vuol dire 134 milioni di euro l’anno. Ora, 134 milioni di euro l’anno nel sistema di accoglienza italiano sono circa il 7,5% di quello che noi spendiamo ogni anno per accogliere gli immigrati che sbarcano da noi, che sono quasi 1 miliardo e 800 milioni di euro. Quindi perché io non faccio i vostri stessi calcoli? Almeno per due ragioni:

La prima delle quali è che vi segnalo sommessamente che quei migranti che si trovino a Lampedusa o che si trovino in Albania hanno in ogni caso un costo per il sistema dell’accoglienza italiana e perché, come io ho detto molte volte, il principale elemento che riconosco al protocollo con l’Albania è la possibilità  di produrre una dissuasione rispetto ai migranti che vogliono arrivare in Italia e quindi sono ragionevolmente convinta che questo importante strumento di deterrenza possa rappresentare anche un contenimento dei costi relativi all’accoglienza. Quindi sarei prudente e farei la valutazione sul costo a valle e non a monte. Poi voglio dire al collega De Luca che addirittura configurava il danno erariale, collega De Luca, le dico che cosa è secondo me che si configura come danno erariale. Secondo me si configura come danno erariale il fatto che un Presidente di regione spenda migliaia di euro dei soldi dei cittadini per comprare una pagina sul quotidiano per dirsi da solo quanto è bravo. Quello secondo me è danno erariale, non il protocollo con l’Albania.

Dopodiché, sempre in tema di immigrazione, se volete possiamo citare i manifesti sempre pagati con i soldi dei cittadini, in questo caso temo con quelli dei Fondi di Coesione per dire che il Governo affama il sud, faccia Lei.
Collega Della Vedova, sempre per l’immigrazione: io non sono d’accordo con la sua lettura, ma su questo ci siamo divisi per molto tempo e nè la mia posizione cambia, né la sua cambierà ovviamente. Io non penso che l’interesse dell’Italia sia quello di concentrarsi sulla redistribuzione. Non è mai stata la linea che questo Governo ha portato avanti, non era neanche la linea che io portavo avanti quando ero all’opposizione, io la penso in maniera diametralmente opposta. Questo è quello che voi avete ritenuto che fosse utile per l’Italia. Facciamo su questo valutazioni diverse, perché? Perché noi non redistribuiremo mai un numero significativo di migranti illegali rispetto a quelli che entrano in Italia e non lo faremo a maggior ragione se a monte non difenderemo i confini esterni.

Quindi quello che io ho fatto è tentare di spiegare ai miei colleghi europei, che guardi un po’ ci hanno creduto, che l’unico modo per risolvere il problema per tutti e non pretendere di scaricarlo l’uno sull’altro, perché io neanche questo credo che sia, un approccio sensato, è lavorare a monte sulle cause della migrazione illegale, prevenire il fenomeno prima che arrivi sul territorio nazionale. Io dall’inizio credo che questa sia la soluzione e mi pare che stia funzionando, che funzioni per l’Italia e che funzioni per l’Europa, per cui io capisco che lei vuole tornare alle posizioni che avete sempre sostenuto e che sostenete, è assolutamente legittimo, ma non è mai stata e non sarà mai la mia posizione. Noi stiamo affermando una posizione che dal mio punto di vista è molto, molto più conveniente per l’Italia e mi pare che i numeri ci diano ragione. 

Dopodiché, collega Del Barba, parlava particolarmente dell’UNIFIL, quindi entriamo sul tema del Medio Oriente, mi ha chiesto di fare alcune cose che io ho già fatto, chiaramente in riferimento alla condanna di quanto avvenuto nei confronti dei nostri militari in Libano. Su questo, come avete visto, il Governo è stato molto chiaro. Noi pretendiamo la sicurezza per i nostri militari che per anni hanno garantito la stabilità del confine israelo-libanese. Quello che chiediamo è una piena applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’ONU. È un tema che non ho problemi a dirlo, ho discusso anche personalmente con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu nella giornata di domenica. Voi sapete che la posizione oggi del Governo israeliano è quella di sostanzialmente un ritiro della missione UNIFIL.
Io ritengo che un ritiro sulla base di una richiesta unilaterale di Israele sarebbe un grave errore, minerebbe la credibilità della missione stessa, la credibilità delle Nazioni Unite e penso anche che i nostri soldati, come sono stati preziosi in tutti questi anni, saranno preziosi anche quando riusciremo a ottenere un cessate il fuoco. 

Dopodiché, sempre collega Del Barba mi invitava ad andare in Libano, io dovrei essere in Libano venerdì, mi invitava a destinare i nostri sforzi a una de-escalation, ovviamente in una situazione che è facile non è, cerchiamo di fare dall’inizio e che facciamo a tutti i livelli, che il nostro continuo a portare avanti sia sul piano bilaterale sia sul piano multilaterale così come ho detto stamattina ribadisco che ci siamo moltissimo concentrati soprattutto sulla materia del sostegno umanitario alle popolazioni colpite, voglio ringraziare ancora una volta particolarmente il lavoro che sta portando avanti il Ministro degli esteri Antonio Tajani, abbiamo aperto anche un altro tema di discussione, di riflessione che è quello che riguarda la questione dei profughi siriani in Libano, dei profughi siriani in Giordania, nell’ attuale situazione particolarmente libanese ma in generale della regione chiaramente questo è un altro elemento di destabilizzazione. 

L’Italia, noi ci siamo fatti promotori di una riunione durante il MED9 di Cipro alla quale hanno partecipato il re di Giordania, il presidente di Cipro, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la posizione del Governo italiano è che l’Europa debba rivedere il suo approccio alla questione siriana, che noi si debba lavorare per creare le condizioni per consentire a questi profughi di rientrare in Siria, chiaramente su base volontaria e sotto l’ombrello della protezione e della comunità internazionale. 
Ci sono molti sforzi importanti fatti dall’UNHCR in questo senso, può essere un primo passo, l’Italia ha rafforzato la sua presenza diplomatica a Damasco con questo obiettivo, ma cerchiamo, come vedete, di lavorare anche sulle singole questioni che possono abbassare la tensione, possono aiutarci ad arrivare a una de-escalation in maniera estremamente puntuale. 

Poi dicevo, la questione è di estrema complessità. Io non ho fatto mistero di essere preoccupata dalla crisi medio orientale. Quello che noi possiamo fare è continuare a dedicare tutte le nostre energie per evitare che la situazione sfugga di mano, consapevoli del fatto che l’equilibrio che non viene riconosciuto spesso in quest’Aula, ma ci viene riconosciuto come Italia, da tutti gli attori regionali, è il nostro maggiore punto di forza in questa vicenda. 

Noi dobbiamo continuare a mantenere un dialogo aperto con tutti, un dialogo franco, è quello che facciamo, certo, e non possiamo fare, secondo me, l’errore di rispondere con l’istinto a materie che necessitano dell’uso della ragione. 

Io comprendo le ragioni di Israele, lo dicevo anche stamattina, che vuole impedire che quanto accaduto lo scorso 7 ottobre possa ripetersi, ma non vuol dire che sia d’accordo con tutte le scelte di Israele, come si è visto. 

Però ho detto, e ripeto, attenzione anche ai rischi che correremmo se dessimo il segnale di abbandonare, di isolare Israele, perché io continuo ad essere convinta che questa sia la strategia a monte degli attacchi terroristici di Hamas e di chi ha ispirato gli attacchi terroristici di Hamas. 
Da sempre la strategia del fondamentalismo per distruggere Israele, è isolare Israele. 

Ve l’ho detto tante volte in quest’aula, è quello che penso sinceramente e quindi penso che dobbiamo essere prudenti perché se la strategia del fondamentalismo alla base degli attacchi di Hamas era isolare Israele

per poter finalmente cancellare lo Stato ebraico, allora noi dobbiamo avere la lucidità di distinguere il tema del governo dal tema del diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Dobbiamo temere le conseguenze di un isolamento eccessivo di Israele, ecco perché noi continuiamo a mantenere una posizione ragionata, equilibrata, che guarda alle conseguenze di ogni singola scelta, perché su queste cose io penso che, ripeto, quando si corrono dei rischi si deve sempre ragionare molto bene su quello che si fa e su quello che si dice.

Dopodiché anche sull’esportazione di armi ho già risposto questa mattina. Voi sapete che l’Italia, dopo l’avvio delle operazioni israeliane, ha sospeso immediatamente la concessione di ogni nuova licenza di esportazione secondo la legge del 1990. I contratti quindi che sono stati firmati dopo il 7 ottobre non hanno trovato applicazione.

Le licenze che invece erano state autorizzate prima del 7 ottobre, che sono molte, soprattutto grazie al lavoro fatto dal Governo Conte, solo nel 2019, 28 milioni di euro di autorizzazione all’export di armamenti, 10 in più dell’anno precedente, quindi c’è un grande lavoro da fare sulle vecchie licenze, però quelle sono state tutte analizzate caso per caso dall’autorità competente che è la UAMA, applicando la normativa italiana ed europea internazionale. Quando noi riteniamo che queste armi possano essere, o componenti, perché noi lavoriamo soprattutto sulla componentistica di altro, che possano essere ragionevolmente impiegate nella crisi, noi sospendiamo o revochiamo la licenza. 

Quando abbiamo la certezza che questo non possa accadere, la UAMA non lo fa, il Governo lo fa, un’autorità che è preposta a questo, quindi non sono scelte politiche che il Governo fa, noi quando abbiamo la certezza che invece non possano essere utilizzate all’interno dello scenario di crisi chiaramente diamo seguito, ma se ci sono segnalazioni da parte di colleghi, ho letto qualche collega che insomma diceva che quello che abbiamo sostenuto non è vero, ce le segnali tranquillamente, se qualche svista ci dovesse essere stata da parte della UAMA ne prenderemo atto e correremo ovviamente ai ripari. 
Dopodiché vi ricordo e chiudo anche rispetto al tema di dire l’Italia si faccia promotrice. Guardate, io penso che nella vita conti soprattutto l’esempio.
Noi siamo stati una Nazione, una delle Nazioni, particolarmente d’Europa, su questo tema delle esportazioni di armi più rigide in assoluto ci è stato anche riconosciuto in quest’Aula, ringraziando Dio, e penso che sia la cosa più importante che si possa fare. Nazioni che oggi chiedono la moratoria sull’esportazione di armi a Israele non hanno avuto la stessa posizione che aveva l’Italia. 

Tra le due cose io credo che sia, diciamo, sempre più efficace dare il buon esempio e fare le cose invece di chiedere agli altri di farle. Dopodiché, sul tema del riconoscimento dello Stato della Palestina, io anche qui voglio ricordare che questo Governo si è posto in una linea di assoluta continuità su questo punto con tutti i Governi italiani precedenti, di qualsiasi colore politico, perché anche qua insomma è giusto sempre fare un po’ di storia. Noi siamo da sempre tutti, per la soluzione a due Stati. A tal fine tutti abbiamo sostenuto, continuiamo a sostenere l’autorità palestinese, abbiamo sempre, così come dall’altra parte, affermato il diritto di Israele di esistere in pace e sicurezza.

Sulla questione specifica del riconoscimento dello Stato della Palestina, io penso che questo debba nascere nei fatti, non nelle parole, all’esito di un processo politico e negoziale tra le parti che secondo me dovrebbe essere fortemente sostenuto, aiutato e reso concreto dalla Unione Europea. Su questo ho detto tante volte in quest’Aula ma ho detto anche al Consiglio Europeo che su questo punto specifico ritengo che l’Europa possa e debba giocare un ruolo da protagonista.

La nostra posizione è una posizione condivisa dalla maggioranza degli Stati Ue, dalla totalità dei Paesi G7, il tanto vituperato blocco di Visegrád, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, come tutti gli Stati dell’ex blocco sovietico hanno riconosciuto la Palestina nel 1988, ma tra i Paesi dell’Europa occidentale, come intesa prima della caduta del muro di Berlino solo in tre hanno fatto questa scelta, sono Spagna, Svezia, Irlanda, mentre non hanno per esempio fatto questa scelta anche Francia o Germania, insomma altre grandi Nazioni dell’Europa occidentale. 
Dopodiché, ovviamente io rispetto la posizione delle forze politiche che ora chiedono il riconoscimento della Palestina come segnale, come sprone – ecco la leggo così -, però ringrazio anche il collega Fratoianni per aver specificato che un’iniziativa in questo senso, concretamente, non risolve la crisi medio orientale. E questo è un po’ il tema.

Io penso che, escluso il collega Fratoianni perché su questo punto è stato molto preciso, per gli altri sia – perché delle volte ho sentito anche altri ragionamenti – un po’ fuorviante far credere che se noi riconoscessimo la Palestina nel mezzo della crisi si avvicinerebbe una soluzione, perché tutti sappiamo che non è così.

Ecco io credo che in questo momento – e quindi torno al punto – i nostri sforzi debbano essere concentrati su una de-escalation, che significa soprattutto mantenere un dialogo anche franco con tutti gli attori, Israele compreso. 
Dopodiché, sui toni che mi accusano di ogni nefandezza anche in rapporto alla crisi israeliana, non ritengo di dover rispondere e quindi mi perdoneranno alcuni colleghi se non risponderò.
Collega Pellegrini, mi colpisce la discrasia che esiste tra “l’attacco di Hamas è folle” e “Israele è criminale”. Credo che questa distanza di giudizio in qualche maniera tradisca, come dicevo stamattina, altro. 

Dopodiché, passiamo al tema dell’Unione europea. Collega Rosato condivido la sua valutazione di partenza sulla situazione nella quale versa l’Europa in termini di centralità, di peso specifico. Quando venni per uno dei precedenti Consigli europei ricordai questo dato che a me ha colpito molto: nel 1990 l’Unione europea a 12 Stati membri valeva il 26,5% del prodotto interno lordo mondiale, la Cina l’1,8%; oggi l’Unione europea a 27 Stati membri pesa circa il 16% del PIL mondiale, la Cina circa il 18%. Lo dicevo per dire cosa? Una volta quando noi ci occupavamo di noi stessi, del nostro interno, e pensavamo così risolvere i problemi di tutto il mondo aveva un senso, perché oggettivamente il peso specifico che l’Europa aveva era un altro. Oggi non è più così. Oggi pensare che quando noi ci occupiamo del nostro interno, senza guardare al quadro che si muove intorno a noi, risolviamo i problemi che abbiamo, rischiamo di essere miopi. È un po’ la critica che io muovo rispetto al tema di non concentrare le nostre energie su quello che davvero deve essere fatto in una dimensione europea, e magari passare tutto il proprio tempo a iper-regolamentare anche materie che gli Stati nazionali potrebbero governare meglio di quanto non possa fare il livello europeo. Ma certamente la vicenda di ridefinire il nostro ruolo e di stabilire le priorità è una vicenda che ci deve stare a cuore. 

Dopodiché, lei citava il parere sulla vostra risoluzione e, particolarmente, la questione del nucleare. Lei sa come la penso io, sono per la neutralità tecnologica per cui si figuri se su questo posso avere alcun tipo di preclusione ideologica, però nelle premesse della vostra risoluzione ci sono anche molte altre cose, su alcune delle quali non siamo d’accordo e quindi da qualche parte un parere si deve dare. Poi magari si può parlare, come sempre, insomma di riformulare – il Ministro Ciriani è qui a disposizione se ci tiene particolarmente.
Vorrei arrivare al tema del voto su Fitto. Sempre il collega Rosato, in riferimento a quello che fece il Presidente Berlusconi ai tempi della votazione di Paolo Gentiloni, diceva che Berlusconi si è assunto una responsabilità più grande che è stata quella di contribuire alla formazione di una maggioranza. Corretto, queste sono scelte politiche però, nel senso che si possono condividere, si possono non condividere, si possono fare, si possono non fare.

La domanda che io pongo – perché secondo me la domanda qui è un’altra ed è una domanda che faccio ai colleghi anche per capire che cosa accadrà quando si andrà a votare per la Commissione – è: nella costruzione europea, il peso degli Stati membri è più importante o meno importante del peso dei partiti politici? 

Perché vede, collega Rosato, quando io sento dire oggi, dai colleghi del Partito Socialista, che loro sono contrari al fatto che all’Italia venga riconosciuta una Vicepresidenza perché l’Italia non ha fatto parte della maggioranza che ha sostenuto Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, mi preoccupo. Penso che si debba preoccupare più il Partito Democratico che sta sostenendo un’altra tesi, perché il Partito Democratico ci dice in buona sostanza che per l’interesse nazionale, possono avere tutte le critiche da fare al governo, ma Raffaele Fitto domani è un Commissario italiano, non è mica il commissario di Giorgia Meloni o di Fratelli d’Italia, è il commissario italiano come lo era Paolo Gentiloni. Io rivendico quello noi abbiamo fatto cinque anni fa.

Cinque anni fa noi non eravamo d’accordo con Ursula von der Leyen Presidente della Commissione europea, con la Commissione Europea, non votammo a favore della Commissione europea ma votammo a favore di Paolo Gentiloni, è chiaro? Per noi, anche in un quadro che non condividevamo, il Commissario italiano andava difeso. 

Oggi se il Partito Democratico facesse la stessa cosa io non avrei nulla da dire, mi spaventa di più se si fa il contrario. Mi spaventa cioè che il gruppo socialista – ma spero che la segretaria Ellis Schlein nella sua replica su questo metta una parola definitiva – che è a favore della Commissione, ci dice che loro non accetteranno che all’Italia venga riconosciuto un Vicepresidente. Poiché io non credo che questa sia la posizione del Partito Democratico, spero che il Partito Democratico voglia farsi sentire con il Partito Socialista europeo, atteso che sono anche la delegazione più numerosa all’interno del Partito Socialista europeo, e non mi sembra prassi che un partito decida senza tenere conto della sua delegazione più numerosa, segnatamente italiana, quando deve decidere la posizione sul Commissario italiano. E quindi confido che questa posizione cambierà.

Non ho nulla da aggiungere sulla vicenda ucraina perché la mia posizione è sempre la stessa. Continuiamo a fare il nostro lavoro: come sapete ho ricevuto la scorsa settimana il presidente Zelensky; stiamo lavorando per organizzare nel 2025, il 10 e 11 luglio, la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, vicenda sulla quale spero che si possa contare sulla collaborazione appunto di tutti in quest’aula, di tutto il sistema Italia perché parlare di ricostruzione dell’Ucraina vuol dire, come ho detto tante volte, scommettere sulla pace, che però deve essere – come pure ho già detto – una pace giusta. 

Ho un paio di cose spot e chiudo. Collega Fratoianni, non ho fatto in tempo a segnare tutto, per cui mi manca un pezzo, però ci parlava delle banche, extraprofitti: vedremo con la legge di bilancio. Collega Fratoianni potrebbe scoprire che questo Governo ha più coraggio di quello che la sinistra ha avuto su questo quando era al Governo. Sul salario minimo sa come la penso, ma mi sfugge perché la sinistra pure non lo abbia fatto quando era al Governo. 
Collega Baldino, mi consentirà di non argomentare su Conte protagonista della più grande svolta culturale europea. 

Invece al collega Ricciardi voglio dire – e chiudo – Poste italiane: temo che anche qui non abbiate compreso, non conosciate la vicenda. Blackrock non c’entra assolutamente nulla. Noi ragioniamo della gestione di una percentuale superiore alla maggioranza, quindi di una quota insomma abbastanza minoritaria, dedicata esclusivamente ai retailer, cioè ai piccoli risparmiatori italiani e ai dipendenti di Poste. Poste in ogni caso deve rimanere nelle mani degli italiani, è come il governo si sta muovendo perché, a differenza di quello che abbiamo visto fare spesso in questa Nazione, non intendiamo svendere niente dei gioielli di famiglia. Ma voglio dire al collega Ricciardi che per il resto io parlo con tutti, come possono fare le persone che sanno di che cosa stanno parlando. Parlo con tutti e non sono abituata a svendermi o a svendere, ma considero sì una mia responsabilità cercare di attrarre in Italia investimenti esteri, ricchezza, posti di lavoro, aumento del PIL, perché è esattamente quello che fanno i patrioti.

Grazie.

#sapevatelo2024 
 

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com
error: Contentuti protetti