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INFORMATIVA DEL MINISTRO DELLA DIFESA SUI RECENTI ATTACCHI ALLE SEDI DELLA MISSIONE UNIFIL IN LIBANO

L’Italia ha detto e ribadito con chiarezza, non da oggi, che riconosciamo il diritto di Israele di esistere e difendersi dagli attacchi di chiunque, siano stati sovrani, organizzazioni terroristiche. Un’affermazione e una posizione in cui crediamo e non di prammatica. Allo stesso tempo, con la stessa forza, abbiamo chiesto e chiediamo a Israele di attenersi in modo rigoroso alle regole del diritto internazionale, come della convivenza civile tra Nazioni e Paesi, di proteggere l’incolpevole popolazione civile, a Gaza come in Libano, e di rispettare il personale e le basi, in questo caso di UNIFIL, schierati nel Libano del Sud su preciso mandato delle Nazioni Unite, per l’implementazione della risoluzione ONU n. 1701, che nel 2026 venne varata all’unanimità da tutti i Paesi del Consiglio di sicurezza e sottoscritta sia da Israele che dal Libano

È GIUSTO INFORMARE 

Legislatura 19ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 233 del 17/10/2024 (Bozze non corrette redatte in corso di seduta)

SENATO DELLA REPUBBLICA

—— XIX LEGISLATURA ——


233a
SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO STENOGRAFICO

GIOVEDÌ 17 OTTOBRE 2024

_________________

Presidenza del presidente LA RUSSA

RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del presidente LA RUSSA

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 9,03).

Si dia lettura del processo verbale.

SILVESTRONI, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del giorno precedente.

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. L’elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all’Assemblea saranno pubblicati nell’allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Informativa del Ministro della difesa sui recenti attacchi alle sedi della missione UNIFIL in Libano (ore 9,08)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca:

«Informativa del Ministro della difesa sui recenti attacchi alle sedi della missione UNIFIL in Libano»

Ha facoltà di parlare il ministro della difesa, signor Crosetto 

CROSETTO, ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli senatori, prendo la parola per un rapido quanto doveroso punto di situazione sugli eventi che hanno recentemente interessato il personale e le basi della missione UNIFIL in Libano.

Mi permetto una nota personale; sono qua per il profondo rispetto che nutro nei confronti del Parlamento e del suo ruolo. Come sapete, questa mattina subito dopo l’informativa al Senato, svolgerò un’informativa alla Camera dei deputati sul medesimo argomento, e poi raggiungerò Bruxelles, dove è in corso un vertice NATO che inizierà stamattina e si concluderà domani.

Come ho avuto modo di dire, quella in atto è una crisi gravissima, caratterizzata dal superamento progressivo di diverse linee rosse, nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale. Non da ultima, anzi, per prima l’Italia, dato che la prima lettera che inviai su questo tema specifico all’ONU al Lacroix è datata novembre 2023. Oggi, purtroppo, assistiamo al sistematico ricorso alle armi a Gaza e in Libano e le vittime sono soprattutto civili inermi già duramente provati dalla pioggia di missili, droni e bombe utilizzati da ambo le parti.

L’Italia ha detto e ribadito con chiarezza, non da oggi, che riconosciamo il diritto di Israele di esistere e difendersi dagli attacchi di chiunque, siano stati sovrani, organizzazioni terroristiche. Un’affermazione e una posizione in cui crediamo e non di prammatica. Allo stesso tempo, con la stessa forza, abbiamo chiesto e chiediamo a Israele di attenersi in modo rigoroso alle regole del diritto internazionale, come della convivenza civile tra Nazioni e Paesi, di proteggere l’incolpevole popolazione civile, a Gaza come in Libano, e di rispettare il personale e le basi, in questo caso di UNIFIL, schierati nel Libano del Sud su preciso mandato delle Nazioni Unite, per l’implementazione della risoluzione ONU n. 1701, che nel 2026 venne varata all’unanimità da tutti i Paesi del Consiglio di sicurezza e sottoscritta sia da Israele che dal Libano.

È bene ricordare sempre che Hezbollah come Hamas non è uno Stato né un popolo, ma un’organizzazione terroristica, dotata peraltro di una forza militare molto rilevante, che risponde alle logiche militari e politiche di chi non deve rendere conto al proprio popolo. Questa è la realtà dei fatti innegabile.

Un ulteriore aggravamento degli eventi, peraltro in parte già in atto, sarebbe però foriero di conseguenze drammatiche per tutti, genererebbe uno scenario che non avrebbe né vincitori né vinti, con incalcolabili conseguenze per il Medio Oriente e probabilmente per gli equilibri mondiali.

Per questo motivo il Governo continua a lavorare per una soluzione diplomatica che, per quanto difficile, resta l’unica possibile. Lo fa con il viaggio oggi in corso della Presidente del Consiglio in Libano, con le iniziative del ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Tajani, con una serie di viaggi, chiamate e contatti continui, assidui e quotidiani, che io stesso ho fatto, sto facendo e farò in questi giorni e nelle prossime settimane.

Non ultima, proprio ieri, una videoconferenza che ho fortemente voluto con il collega francese con i 16 Paesi dell’Unione europea, che fanno parte dei 50 contributori della missione UNIFIL. Da tale Conferenza è venuto fuori un messaggio unanime e condiviso da tutti: la missione UNIFIL in Libano non solo va rafforzata, ma supportata e, allo stesso tempo, vanno rafforzate e rese credibili le forze armate libanesi. Per dirla in una battuta, servono nuove regole d’ingaggio che puntino a modificare e rafforzare la risoluzione n. 1701, datata 2006, che non solo vanno prese in modo unanime condiviso, ma devono essere sempre fatte rispettare.

A Israele, diciamo con la schiettezza, come si fa tra amici, di aiutarci a rafforzare UNIFIL e le forze armate libanesi per poter svolgere il loro mandato e poter fare in modo pacifico ciò che hanno iniziato a fare adesso con le armi.

Veniamo ora ad una rapida descrizione degli eventi più importanti degli ultimi giorni. Il 1° ottobre scorso Israele ha avviato una serie di operazioni militari di terra nel Sud del Libano, con limitate incursioni condotte da unità di ricognizione e sporadici scontri con le linee di difesa della resistenza islamica libanese, in prossimità della Blue line. Le Israel defense forces hanno inoltre sviluppato un’intensa azione di fuoco, colpendo ripetutamente i villaggi di Yarun, Marun Al Ras nel settore ovest e Adassiyeh nel settore est, giungendo progressivamente fino alla parte meridionale di Beirut al fine di saggiare l’organizzazione difensiva di Hezbollah, degradare la capacità di comando e controllo e colpire gli stock di armamenti di maggior pregio. Per contro, la resistenza islamica ha lanciato centinaia di missili contro il territorio di Israele, per la verità, quasi sempre con effetti trascurabili a causa della loro imprecisione e dell’efficacia della difesa aerea israeliana.

Dal canto loro, le unità della Lebanese armed forces, dislocate a ridosso della Blue line, sono arretrate di alcuni chilometri con posizioni in dominio di quota, al fine di non essere coinvolte negli scontri e mantenere una buona conoscenza informativa.

Il 6 ottobre scorso, per la prima volta, è stato registrato fuoco di artiglieria e movimenti di unità terrestri dell’IDF (Israeli Defense Forces) a ridosso delle basi avanzate UNIFIL 1-31, 6-50 e 6-52, nel settore ovest, nonché nei pressi di Blida, nel settore est. Due giorni dopo, la Marina israeliana ha interdetto l’area al largo del Libano e ha iniziato un’azione di fuoco contro obiettivi ubicati nella fascia costiera. Il 10 ottobre le Forze armate israeliane hanno circondato e osservato con droni la base UNIFIL 1-31, ubicata lungo la “Blue line” e occupata da personale italiano. In aggiunta a ciò, le Forze israeliane hanno più volte aperto il fuoco con armi portatili, danneggiando telecamere, sistemi di comunicazione e alcuni serbatoi.

Ulteriori azioni di fuoco da parte dell’IDF si sono verificate presso le basi 1-32, presso il quartier generale di Naqura. Nel primo caso, che ha coinvolto personale italiano, non è stato registrato alcun ferito, in quanto i nostri militari si trovavano già, per ragioni di sicurezza, al riparo nelle postazioni protette nei bunker, a seguito dell’innalzamento del livello di force protection. Nel secondo caso è stato invece è riportato il ferimento di due caschi blu indonesiani; in ambedue le installazioni era comunque presente anche personale italiano.

Sia nel settore ovest che in quello est UNIFIL, vi sono stati pesanti scontri tra l’IDF e la resistenza islamica. L’11 ottobre scorso sono state registrate azioni di fuoco dell’IDF contro il quartier generale di UNIFIL in Aqura, che hanno causato il ferimento di due militari dello Sri Lanka. Inoltre, nella base 1-31 a guida italiana, tre T-wall, componenti modulari del muro di cinta, precedentemente danneggiati, sono stati abbattuti. Nella serata dello stesso giorno il fuoco aereo israeliano, in prossimità della base UNP 5-42, occupata da personale ghanese, ha provocato significativi danni infrastrutturali.

Il 13 ottobre due carrarmati israeliani hanno fatto irruzione nella base 5-42, con l’intento di recuperare alcuni feriti, sfondando il cancello principale. Dopo un’ora, a seguito delle richieste di UNIFIL, i mezzi hanno lasciato la base. Nel contempo, l’IDF ha condotto molteplici attacchi aerei nella parte meridionale del Libano, colpendo circa 200 obiettivi di Hezbollah.

La sera del 15 ottobre, un carro armato israeliano Merkava ha aperto il fuoco contro la base avanzata UNIFIL sotto il comando del contingente spagnolo a Kfarkela, settore est, colpendo una torretta della base e danneggiando le telecamere di sorveglianza montate su di essa. Nell’evento non risulta sia rimasto ferito personale delle Nazioni Unite. Al momento le IDF hanno suddiviso il loro dispositivo militare in quattro settori di responsabilità, a ognuno dei quali è stata assegnata una divisione per un totale di 13 brigate. Sei ulteriori brigate sono attualmente dislocate nella Striscia di Gaza.

Tra attacchi e contrattacchi, i due attori principali, Israele e Hezbollah, di cui il legame con l’Iran è evidente e palese, si muovono su un filo sottilissimo e mai come ora il rischio di un conflitto aperto che coinvolgerebbe e forse trascinerebbe l’intero Libano è diventato reale. La scintilla che ha avviato questa nuova fase è stata probabilmente l’uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che stava presenziando alla cerimonia del giuramento del nuovo presidente iraniano Pezeshkian.

Ricordo inoltre che gli attacchi israeliani sono stati preceduti da un’inedita operazione condotta attraverso esplosioni coordinate di cercapersone e walkie talkie, appartenenti ai membri del Partito di Dio. Ciò ha dato un ulteriore impulso al conflitto, consentendo a Tel Aviv di colpire la leadership e in generale frustrazione e sfiducia in Hezbollah.

Sul piano degli effetti collaterali, i bombardamenti israeliani hanno causato un elevato numero di vittime e feriti tra i civili, che hanno sovraccaricato le strutture sanitarie libanesi e aggravato quella crisi umanitaria che rischia di divenire ancor più ampia di quella di Gaza, che, secondo fonti palestinesi, ha provocato ad oggi oltre 40.000 vittime. Hezbollah, di contro, ha lanciato – ed è una novità – missili balistici a medio raggio verso Tel Aviv, che, seppur largamente intercettati, segnano un ulteriore cambio di passo nelle tecniche di attacco.

Negli ultimi giorni sono inoltre emerse alcune vulnerabilità per la prima volta nel sistema di difesa aerea israeliano, che hanno presumibilmente indotto all’annuncio degli Stati Uniti di voler schierare una batteria di difesa aerea Thaad. È chiaro che le azioni israeliane contro le basi delle Nazioni Unite sono state rilevanti e gravissime, come ho avuto modo di dire, violazioni del diritto internazionale e non semplice errori ed incidenti. Israele ha dichiarato di aver ripetutamente invitato UNIFIL a lasciare temporaneamente la zona prossima alla Blu line e che ha chiesto all’ONU di spostarsi più a nord di circa 5 chilometri per evitare che la missione potesse divenire scudo involontario delle milizie di Hezbollah, che usano le loro posizioni avanzate per proteggersi.

Da quanto emerge, tuttavia, dalle dichiarazioni del gabinetto di guerra di Tel Aviv, che mi sono state anche personalmente confermate dal mio omologo Gallant, le azioni israeliane non puntano a occupare la parte sud del Paese confinante, quanto a ripristinare la sicurezza per consentire il rientro ai circa 80.000 israeliani che sono dovuti sfollare dalle zone di confine con il Libano, implementando, di fatto con la forza, ciò che la risoluzione n. 1701 avrebbe dovuto fare e che purtroppo è rimasta per troppo tempo lettera morta.

Subito dopo tali eventi, ho personalmente voluto esprimere al ministro della difesa Gallant e all’ambasciatore israeliano il fortissimo disappunto dell’Italia, richiamando la necessità di astenersi da condotte aggressive contro le forze di UNIFIL. L’ho fatto in modo schietto e accorato, com’è mio costume, consapevole della drammaticità della situazione e del momento che stiamo vivendo.

Tali preoccupazioni sono state da me illustrate anche con uguale forza e convinzione al vicesegretario per le operazioni di pace delle Nazioni Unite Lacroix, che avevo già incontrato e interessato nei mesi passati, rappresentando già mesi fa le difficoltà dell’ONU ad operare efficacemente in un contesto come quello libanese, e dei rischi conseguenti a queste difficoltà.

UNIFIL è una missione complessa con un mandato di difficile implementazione, con regole d’ingaggio inadeguate e forse non equipaggiate per l’attuale situazione e il conflitto in essere, ma che, come avevo detto più volte all’ONU, erano già da tempo – quindi non soltanto oggi che c’è una guerra in quelle zone – in questa situazione. Questi presupposti hanno reso l’attuazione di quella risoluzione poco aderente alla situazione sul campo, che è diventata ormai un conflitto tradizionale e aperto. Lo scollamento pratico tra la missione assegnata e la capacità di implementarla rende ora più che mai necessario ripensare e rafforzare UNIFIL, rendendola credibile ed efficace: è l’unica alternativa a una guerra sul campo.

Sin dall’inizio della crisi scaturita dagli eventi del 7 ottobre 2023, ho sollecitato una riflessione alle Nazioni Unite per adottare misure concrete e garantire la sicurezza del personale, assicurando nel contempo l’efficacia operativa della missione. Ho voluto anche segnalare la necessità di un incisivo e rapido intervento delle Nazioni Unite che metta UNIFIL nelle condizioni di esercitare una reale deterrenza all’uso della forza. Questo potrebbe essere ottenuto prevedendo diverse opzioni operative, quali ad esempio la presenza di una riserva rischierabile rapidamente nel sud del Libano, garantendo così la piena libertà di manovra delle unità e adeguando l’equipaggiamento in dotazione all’ambiente in cui operano.

A prescindere da questo, ad oggi – voglio che sia chiaro e che resti agli atti – non è messa in discussione la nostra partecipazione all’UNIFIL, che proseguirà fino a quando ve ne sarà la necessità e le Nazioni Unite, insieme ai cinquanta Stati contributori, non decideranno diversamente. Andare via ora non porterebbe alcun beneficio e minerebbe forse definitivamente la credibilità delle Nazioni Unite. La possibilità della soluzione multilaterale nelle crisi del mondo ha un valore che va al di là del fatto contingente. La presenza dei soldati di UNIFIL può invece ancora costituire un elemento fondamentale per prevenire nuovi e peggiori scontri diretti, nuovi e peggiori conflitti. I caschi blu possono fungere da fattore di pacificazione necessario in questo momento. Inoltre, la loro presenza tornerà ad essere determinante nella fase di stabilizzazione, quando – speriamo tutti molto presto – si potrà abbassare il livello dello scontro.

Israele deve comprendere che questi soldati non lavorano per una delle parti, sono lì per aiutare a mantenere la pace e promuovere la stabilità regionale. L’imparzialità dei caschi blu è e deve rimanere uno dei pilastri di UNIFIL. Ecco perché le Nazioni Unite non possono accettare di prendere ordini da nessuna delle due parti. (Applausi).

Passando ora alle azioni intraprese dalla Difesa, voglio prima di tutto rimarcare che la priorità mia, del Governo e presumo di tutto il Parlamento, rimane la sicurezza e la tutela dei nostri militari del contingente italiano UNIFIL. Sono in costante contatto con il Capo di stato maggiore della difesa, il Comando operativo di vertice interforze e con il comandante italiano per monitorare, ora dopo ora, ciò che accade lungo la blue line. A giorni, subito dopo il G7 della difesa, dove, a partire da domani, dedicheremo ampio spazio al Medio Oriente e al Libano, con ulteriori riflessioni e considerazioni, andrò a Beirut e a Tel Aviv. Inoltre, seguirà presto una conferenza in Italia per rendere concreto il sostegno alle forze armate libanesi in termini finanziari, addestrativi e di equipaggiamento.

Una prima conferenza virtuale, con la presenza di ben 16 Paesi contributori, si è tenuta ieri, a seguito di un’iniziativa congiunta mia e del collega francese Sébastien Lecornu.

Ricordo che oggi la presenza nell’area è molto significativa e che noi contribuiamo con oltre 1.000 militari e con circa 20 unità impegnate a Beirut nella Missione bilaterale italiana in Libano, conosciuta come MIBIL. Il contingente della Missione bilaterale è stato recentemente ridotto per motivi di sicurezza; ci aspettiamo che possa tornare a operare a pieno regime non appena le condizioni lo permetteranno. Nel frattempo abbiamo adottato tutte le misure necessarie per gestire i rapidi cambiamenti di situazione, rafforzando le misure di protezione attiva e passiva. Inoltre, i piani di evacuazione sono stati aggiornati, testati, pronti ad essere attuati se fosse necessario.

Come Difesa siamo pronti a fare la nostra parte e, qualora necessario, in grado di condurre operazioni di estrazione del contingente nazionale dei nostri connazionali in Libano, anche in modo autonomo. In tal senso, sono già stati preallertati assetti aero-navali per tale scopo e il loro livello di prontezza è stato recentemente innalzato e adeguato alla situazione sul campo.

Accennavo prima all’impegno italiano a sostegno alle forze armate libanesi, affinché assumano un ruolo maggiore per la sicurezza e la stabilità del confine israelo-libanese e all’interno del Paese. L’Italia ha sempre cercato di coinvolgere più Nazioni europee, gli Stati Uniti, altre Nazioni e i Paesi arabi in un progetto di assistenza concreta allo sviluppo delle forze armate libanesi. L’impianto iniziale era quello di costituire un fondo internazionale per reclutare, formare, addestrare ed equipaggiare le forze armate libanesi. In questo senso, da mesi stiamo organizzando una conferenza dei donatori necessaria a reperire i fondi per finanziare tali progetti. L’obiettivo è collaborare con i vertici della difesa libanese per identificare programmi, attività e iniziative mirate a rafforzare le forze armate, permettendo loro di crescere in capacità operativa, credibilità e indipendenza, sottraendole all’influenza e sottraendo il Paese all’influenza di Hezbollah.

Con lo stesso spirito, improntato a massimizzare le attività di capacity building, stiamo valutando l’ipotesi dell’invio di 200 carabinieri per formare le forze di polizia palestinesi a Gerico.

Questa iniziativa risponde a una richiesta avanzata dal segretario di Stato USA Blinken, nella considerazione che gli eventi in Palestina siano estremamente connessi a quanto accade nell’intera area mediorientale. Tuttavia la sua attuazione è subordinata a una condizione essenziale, che io ho messo: la garanzia totale che tutte le parti coinvolte accettino di buon grado la presenza dei nostri militari.

Ritengo che il Libano sia un tassello chiave per la stabilità di tutto il Medio Oriente.

Dobbiamo continuare a garantire la nostra piena e costruttiva collaborazione a tutte le iniziative volte a favorire una de-escalation della situazione, ma Israele deve comprendere l’importanza di rispettare pienamente il diritto internazionale. In definitiva, l’obiettivo della nostra azione deve essere quello di stabilire un orizzonte condiviso e delineare un percorso comune per evitare che possa scatenarsi un ulteriore conflitto su una scala sempre più alta in Medio Oriente, con gravissime ripercussioni per tutti. Per questa ragione dobbiamo convincere Israele, un Paese amico nonostante abbiamo censurato oggi alcune condotte, affinché riprenda ad essere un interlocutore con cui dialogare, anche in modo duro, ma con spirito costruttivo, nell’interesse della pace e della stabilità.

Non esiste una sola agenda e non esiste un’agenda che qualcuno possa imporre a tutti gli altri. Le crisi internazionali si risolvono dialogando; non accettiamo che l’unico modo di risolvere le crisi internazionali sia quello della forza o quello militare.

Ci ostineremo a farlo sempre e comunque, perché accettare che solo la forza e solo la guerra siano il modo di risolvere le controversie internazionali significa negare l’utilità di qualunque organizzazione sovranazionale e multilaterale; e questo noi non lo faremo mai. (Applausi).

La mia, la nostra idea, non del Governo, ma vorrei dire del Paese, da cui non recediamo e sulla quale lavoriamo ogni giorno, in modo silenzioso e concreto, è quella di promuovere spazi di pace, rifiutando l’idea che quel territorio sia destinato a un conflitto permanente. L’esperienza ci insegna che, quando una guerra si protrae senza soluzione, poi diventa difficile porvi fine. L’esperienza ci dimostra – io cito sempre l’esempio del Kosovo – quanto sia lungo il tempo con cui poi riusciamo a rimarginare le ferite.

Noi siamo in Kosovo da venticinque anni e la situazione di quel Paese non è minimamente paragonabile a quella di Gaza e Israele.

La ferita del Kosovo non è minimamente paragonabile alle ferite che ci sono in Medio Oriente, eppure da venticinque anni siamo in Kosovo e ancora oggi vediamo che quelle ferite non sono rimarginate.

Dobbiamo abituarci ad affrontare le crisi internazionali che stiamo vivendo con quest’ottica, che è quella non delle cadenze elettorali, ma di come si muovono il mondo e l’umanità. Le ferite si rimarginano in decenni: devono cambiare le generazioni perché cambino i popoli. Dobbiamo partire da questo, che deve essere non un ostacolo, ma un motivo per partire subito. I tempi e le difficoltà con cui si rimarginano le ferite degli scontri tra i popoli sono così lunghe e di così lunga scadenza che noi dobbiamo accelerare la fine della guerra che amplia e aumenta le ferite e allontana di più i popoli.

Parlando del Libano, per quanto sia difficile spiegarlo, è necessario che l’ONU non molli e, per quanto sia difficile spiegare la surreale presenza in questo momento di forze militari che non possono agire come dovrebbero, noi sappiamo che una rinuncia sarebbe peggio e metterebbe fine alla possibilità del mondo e delle organizzazioni sovranazionali di intervenire nelle crisi regionali.

Ciò è fondamentale e lo è altrettanto difendere in ogni modo Unifil dalle due parti: oggi da Israele, perché oggi è stato Israele a metterla in difficoltà. Con la schiettezza che usa con gli amici, gliel’abbiamo detto senza peli sulla lingua: rispettare Unifil significa rispettare anche la vostra futura possibilità di avere una pace che non preveda sempre schieramenti di truppe israeliane nel Nord. È un compito che la comunità internazionale ha assunto sulle sue spalle. Certo, la comunità internazionale deve dimostrare di saperlo assolvere. Allo stesso modo, Israele ha il diritto di poter rimandare nelle loro case le 80.000 persone sfollate dal Nord, così come i libanesi sfollati dall’attuale zona di guerra hanno il diritto di ritornare nelle loro case. È la comunità internazionale che deve garantire la sicurezza degli uni e degli altri nel loro diritto di tornare nelle proprie case.

È un compito importante e per il quale occorre unità. Per questo ieri abbiamo messo insieme, in una riunione, 16 Paesi europei e vogliamo farlo nell’ ONU.

Vogliamo spingere la comunità internazionale ad assumersi sempre di più un ruolo in queste crisi, perché è l’unico modo con cui possiamo affrontare queste soluzioni. L’alternativa sarebbe osservare da fuori scontri sempre più violenti, che non possono che aumentare e coinvolgere altre nazioni.

Parliamo del Libano, di una nazione martoriata dai profughi siriani, che sta ospitando più profughi di qualunque altra nazione al mondo, a cui si aggiungono oggi i profughi interni. Se non riusciamo nemmeno in un luogo come quello a trovare la forza di avere un’azione internazionale comune forte, probabilmente non ci riusciremo da nessuna parte.

Io non voglio rinunciare all’idea che ci sia la possibilità per il mondo e per le nazioni, sedendosi intorno a un tavolo, di risolvere in modo pacifico le crisi. (Applausi).

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sull’informativa del Ministro della difesa.

È iscritta a parlare la senatrice Petrenga. Ne ha facoltà.

PETRENGA (Cd’I-NM (UDC-CI-NcI-IaC)-MAIE). Signor Presidente, pensando alla delicata e complessa situazione in Medio Oriente, a cui tutti noi assistiamo preoccupati in questi giorni, mi rendo conto di come la storia tenda a ripetersi e di come, in ultima istanza, le dinamiche umane, le relazioni antropologiche tra gruppi identitari, culturali e religiosi differenti possano condurre ciclicamente a scontri e violenze, con vittime anche civili. Purtroppo questa premessa – permettetemi di dire, colleghi – è fondamentale perché, proprio in virtù di questa consapevolezza e dell’attenta analisi del quadro politico, culturale e religioso-identitario di questa bellissima e martoriata terra, occorre calibrare con attenzione, con cautela e in modo ponderato, l’azione che l’Italia come sistema Paese intende portare avanti senza cedere a decisioni avventate proprio sulla scorta dell’emotività. È proprio in tal senso che il Governo si muove in questa fase di grande concitazione, di tensione e di apprensione nei confronti dei nostri soldati che anche in questo caso, a riprova della grande considerazione di cui godono a livello nazionale e internazionale, portano avanti la loro missione con coraggio, con dignità e con professionalità. C’è un pezzo della nostra Italia migliore lì oggi in Libano, uomini e donne in uniforme che portano orgogliosamente sul braccio il tricolore italiano, ricordando a tutti quello che fa il nostro Paese in quel settore come altrove, ossia contribuire al raggiungimento di una pace giusta, schierandosi con gli alleati e con le organizzazioni internazionali in modo attivo, per far sì che ci sia un cessate il fuoco, che sia assicurato il rispetto del diritto internazionale e che vengano garantite le minime necessarie misure umanitarie.

Ben consci delle stringenti regole di ingaggio dettate dalla risoluzione n. 1701 del 2006, che istituì la missione UNIFIL, e consapevoli di quanto la situazione sia divenuta rischiosa, la reazione forse più istintiva e peraltro con buona probabilità ricercata da coloro che hanno perpetrato quegli ingiustificati attacchi su alcune basi dei nostri militari, sarebbe stato di ritirare il contingente e non vi nascondo che il primo pensiero del Governo sia stato e sia proprio quello di garantire la sicurezza ai nostri soldati. In questi casi, però, come in tutte le situazioni più difficili, fermo restando il massimo impegno, la massima accortezza e attenzione nel predisporre i necessari piani di contingenza monitorando costantemente la situazione e regolando di conseguenza la postura, occorre ragionare, occorre mantenere i nervi saldi, chiedendosi quali siano le conseguenze e gli effetti delle nostre scelte. Ecco che allora rimanere rappresenta il messaggio più potente che al momento si possa dare come Paese, anche se la situazione è difficile, anche se la missione è per sua natura difficilmente conciliabile con l’ostilità tra le parti. Rimanere significa tenere gli occhi delle Nazioni Unite e quindi del mondo sul conflitto, significa scoraggiare atti di barbarie, limitare, per quanto possibile, reazioni bellicose, proteggere e stabilizzare quell’ormai iconica linea blu, che le Nazioni Unite istituirono nel 2006 al confine tra il Libano e Israele per conciliare e agevolare una pacificazione tra le parti. Il Governo ha una visione chiara e condivisa sulla complessità dello scenario nella sua interezza, sulla necessità di incoraggiare una soluzione basata sul principio “due popoli, due Stati” quale unico modo per raggiungere un giorno una civile convivenza tra Israele e Palestina, pacificando così l’intera area e disinnescando forme di estremismo e di fondamentalismo.

L’Italia c’è e fa la sua parte, da grande Nazione qual è fa sentire la sua voce con fermezza e risolutezza, con tutte le sue articolazioni, dai suoi coraggiosi soldati fino al Presidente del Consiglio, che si recherà nei prossimi giorni proprio nel Libano per portare quel messaggio di presenza al personale italiano in primis e a tutti gli altri, dal popolo libanese alle parti in conflitto. (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scalfarotto. Ne ha facoltà.

SCALFAROTTO (IV-C-RE). Signor Ministro, la ringrazio di questa informativa. Desidero iniziare mandando innanzitutto, attraverso lei, un messaggio di solidarietà e affetto ai nostri militari impegnati in Libano e in genere in tutto il mondo. (Applausi). Approfittiamo della sua presenza per mandare loro questo messaggio. Devo dire che ho apprezzato, come dicevo, il fatto che lei sia venuto in Aula a informarci.

È importante che il Parlamento sia informato in genere, ma sulle questioni della difesa nazionale ovviamente ancor di più. Ci piacerebbe, per esempio, che ci informaste non dai giornali del pensiero di acquistare i sistemi satellitari per le comunicazioni che hanno a che fare con la nostra difesa e non vorremmo leggerlo – appunto – i giornali, né sapere che sono cose segrete o patti segreti. Bisognerebbe che il Parlamento ne fosse informato nel dettaglio.

Vorrei ringraziarla anche per la sua reazione nei confronti del Governo israeliano quando Israele ha colpito le postazioni di UNIFIL, precisando che anche in questo caso chi parla è un amico di Israele. Penso, infatti, che la sua reazione ferma fosse doverosa. Le Nazioni Unite non hanno sempre brillato. Purtroppo, una delle pagine più nere della storia del nostro continente risale al 1995, al massacro di Srebrenica, che si consumò sotto gli occhi dei caschi blu olandesi: il rischio è, infatti, che le missioni delle Nazioni Unite risultino inutili o addirittura dannose, perché è chiaro che quando succedono massacri di quel genere sotto i tuoi occhi, ne porti anche tu la responsabilità. Si tratta, quindi, di un rischio grave ed è giusto che si lavori per migliorare l’efficienza della missione UNIFIL, perché, signor Ministro, diciamoci chiaramente che in questi anni è servita a poco; anche le cose che lei ci ha detto oggi sanno un po’ dei buoi già scappati dalla stalla.

Infatti, se ci pensiamo, se la risoluzione 1701 del 2006 fosse stata rispettata dal 2006, in questo momento non ci sarebbe probabilmente la guerra tra il Libano e Israele, per come la conosciamo. Se le truppe di Hezbollah fossero rimaste a Nord del fiume Leonte, se non fossero partiti decine di migliaia di missili (noi giustamente ricordiamo le azioni di Israele, ma io vorrei sempre ricordare i 12 bambini drusi morti a settembre, vittime di un razzo che arrivava dal Sud del Libano); ebbene, se quella zona tra la linea blu e il fiume Leonte non fosse stata occupata da Hezbollah sotto il naso dei caschi blu, probabilmente le cose non starebbero come stanno.

Pertanto, il senso del suo intervento, anche quando parla di rafforzare la missione UNIFIL, ha sicuramente una sua logica; tuttavia, per poterla davvero rafforzare e in genere poter contribuire al rafforzamento della presenza delle Nazioni Unite e all’importantissima funzione che lei ha giustamente illustrato e che condivido in pieno, bisogna che alla politica della difesa si affianchi anche una politica estera del medesimo livello: sono due gambe che devono muoversi in modo sincronico, altrimenti non se ne viene a capo.

Le dico la verità: nonostante l’orgoglio per l’azione dei nostri militari, la preoccupazione per la vacuità assoluta della nostra politica estera non può essere taciuta in questa sede. Io vorrei ricordare che tra pochi giorni si svolgerà un vertice del formato Quint, che forse dovremmo chiamare quart o quattr, perché l’Italia non viene più invitata: è la seconda volta che la presidente del Consiglio Meloni non viene coinvolta in questo vertice con Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti e questo ci dice di un isolamento e di una difficoltà. Vediamo che il ministro Tajani di fatto è assente, nonostante sia il Presidente del G7 esteri; non c’è uno straccio di proposta italiana, non c’è un ruolo, anzi c’è un’assenza o un’emarginazione. È chiaro che, per quanto i nostri soldati possano fare del proprio meglio in una situazione nella quale non hanno un mandato chiaro, in una situazione nella quale l’inefficacia della missione, per come è costruita, è sotto gli occhi di tutti, se non è accompagnata da una politica estera incisiva e da protagonisti, ovviamente ciò si tradurrà anche in un maggiore rischio per le nostre truppe.

Quindi va bene la missione, se viene ridisegnata; tuttavia, se non siamo autorevoli nello spingere perché venga ridisegnata e rafforzata, il rischio alla fine ricadrà anche sui nostri militari. (Applausi).

#sapevatelo2024 

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