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TRIBUNALE DI BOLOGNA : RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA ~ TESTO ORDINANZA

Pubblichiamo in allegato l’ordinanza con cui il Tribunale di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione, all’esito della Camera di consiglio del 25 ottobre 2024, ha proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di due questioni riguardanti la individuazione delle condizioni sostanziali che consentono la designazione di un paese di origine come ‘sicuro’, alla luce del d.l. 23 ottobre 2024, n. 158

È GIUSTO INFORMARE

Trib. Bologna – Sez. Immigrazione, ord. 25 ottobre 2024, Pres. Rel. Gattuso

  • Rinvio pregiudiziale Tribunale di Bologna

1. Pubblichiamo in allegato l’ordinanza con cui il Tribunale di BolognaSezione specializzata in materia di immigrazione, all’esito della Camera di consiglio del 25 ottobre 2024, ha proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di due questioni riguardanti la individuazione delle condizioni sostanziali che consentono la designazione di un paese di origine come ‘sicuro’, alla luce del d.l. 23 ottobre 2024, n. 158 (cd. ‘d.l. Paesi sicuri’).

 TRIBUNALE DI BOLOGNA : RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA ~ TESTO ORDINANZA  

Brevemente, il Tribunale di Bologna era stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato da un richiedente asilo cittadino del Bangladesh contro la decisione della Commissione territoriale di Bologna che, all’esito di una trattazione con procedura accelerata, aveva dichiarato la sua domanda di protezione internazionale manifestamente infondata  in ragione della sua provenienza da un paese di origine sicuro e della mancata indicazione di gravi motivi per ritenere che il Bangladesh non  fosse sicuro per la particolare situazione in cui il richiedente si trovava.

Ad avviso del Tribunale, tuttavia, vi sono i presupposti per la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, dovendosi preliminarmente risolvere«alcuni contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’ordinamento italiano e che attengono alla disciplina rilevante contenuta nella Direttiva n. 2013/32/UE e, più in generale alla regolazione dei rapporti fra il diritto dell’Unione europea e il diritto nazionale». Dal momento, poi, che tali divergenze – tanto in materia di protezione internazionale che in relazione alla gerarchia delle fonti di diritto – hanno trovato «specifica espressione nel d.l. del 23 ottobre 2024», per il Tribunale sussiste «un interesse generale ad un chiarimento della Corte di Giustizia diretto ad assicurare l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione»

Come evidente, il caso a quo non riguarda uno dei dodici richiedenti asilo coinvolti nella vicenda dei centri in Albania; tuttavia, il diretto coinvolgimento del Bangladesh (ossia il Paese, insieme all’Egitto, da cui provenivano i richiedenti asilo condotti in Albania) nonchè la stretta comunanza dei temi coinvolti, rendono la questione cruciale per il futuro funzionamento dei centri dislocati sul territorio albanese destinati al trattenimento dei soli migranti provenienti da paesi “sicuri”, requisito che consente nei loro confronti l’applicabilità della cd. procedura accelerata per l’esame delle richieste di asilo. 

2. L’ordinanza richiama il contesto normativo italiano ed europeo (§§ 2 ss), nonché il contrasto interpretativo sorto intorno alla decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024 (§ 3.2) e, in particolare, al dovere del giudice italiano di disapplicare il provvedimento nazionale di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro quando, dalle informazioni fornite dalle organizzazioni internazionali competenti e acquisite dal giudice, emerga che in tale paese vi sono categorie di persone esposte al rischio concreto di persecuzioni o di danno grave.  

Da qui, la formulazione delle seguenti due questioni pregiudiziali.

2.1. Il primo quesito riguarda la possibilità di designare un paese come sicuro anche in presenza di forme generalizzate e costanti di persecuzione e rischi di danno grave nei confronti di gruppi minoritari presenti in tale paese.  La richiesta di chiarimento, dunque, attiene alla corretta interpretazione del diritto europeo e, in particolare se «ai sensi degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, il parametro sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro debba essere inderogabilmente individuato nella carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi reali di danno grave come definito nell’Allegato I uno della direttiva 2013/32/UE, in particolare se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione – quali ad esempio le persone LGBTIQA+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc. – esclude detta designazione»

Il Tribunale – nell’argomentare la propria posizione sul punto – ricorda che «il sistema della protezione internazionale è per natura sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti statuali o meno» e, richiamando il caso della Germania nazista e dell’Italia fascista (ossia paesi sicuri per la stragrande maggioranza della popolazione) osserva che «se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione la nazione giuridica di paesi di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo e sarebbe dunque una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica»

2.2. Il secondo quesito, invece, chiama il giudice europeo a chiarire «se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea imponga di assumere che, in caso di contrasto fra le disposizioni della direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e le disposizioni nazionali, sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime,in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria»

SISTEMA PENALE 30 Ottobre 2024

Richiedenti asilo e decreto “paesi sicuri”: il Tribunale di Bologna propone un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE 🇪🇺

🔹N. R.G. 14572-1/2024

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA

Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini UE

Nella causa civile iscritta al n. r.g. 14572/2024 promossa da:

con l’avv. FURNARI FRANCESCO UMBERTO (codice CUI:

RICORRENTE

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA – SEZIONE FORLI-CESENA – MINISTERO INTERNO

RESISTENTE

Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Marco Gattuso Presidente Relatore

dott. Maria Cristina Borgo Giudice

dott. Rada Vincenza Scifo Giudice

letti gli atti ha pronunciato la seguente ordinanza di

RINVIO PREGIUDIZIALE

alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E.

1. Procedimento principale.

Con ricorso depositato in data 18 ottobre 2024, il richiedente asilo cittadino del Bangladesh, ha tempestivamente impugnato il provvedimento emesso in data 17 settembre 2024 dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, sezione di Forli-Cesena, notificato in data 4 ottobre 2024, con il quale la sua domanda di protezione internazionale è stata dichiarata manifestamente infondata (art. 28-ter, comma 1, lettera b), D.L.vo 28 gennaio 2008, n. 25) in ragione della sua provenienza da paese di origine perla sedeli ne puri dare in ui do saciso richiedente si ti per rienere che quel Pase non è sicuro Il ricorrente ha richiesto altresi la sospensione del provvedimento impugnato (art. 35-bis, comma 4, D.L.vo 25/2008).

Il tribunale è chiamato dunque a valutare se nel caso di specie la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale abbia prodotto l’automatica sospensione del provvedimento impugnato o se, in ogni caso, ricorrano gravi e circostanziate ragioni che ne impongano la sospensione da parte del giudice adito (art. 35-bis, comma 4, D.L.vo 25/2008).

Nelle more del procedimento cautelare è stato emanato il decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158 (Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 ottobre 2024 e in vigore dal giorno successivo, che ha inciso sulla procedura relativa alle istanze di sospensiva, determinandone una diversa cadenza. Le nuove regole procedurali non hanno tuttavia immediata applicabilità, posto che vi è espressa deroga (art. 2, comma 2 del decreto-legge) al principio proprio del diritto italiano per cui vanno applicate le regole procedurali vigenti al momento della decisione.

Il tribunale, dovendo decidere su tale istanza cautelare, ritiene che sussistano i presupposti per la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dovendosi risolvere alcuni contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’ordinamento italiano e che attengono alla disciplina rilevante contenuta nella Direttiva n. 2013/32/UE e, più in generale, alla regolazione dei rapporti fra il diritto dell’Unione Europea e il diritto nazionale.

Si sono invero palesate alcune manifeste divergenze fra le diverse Autorità nazionali chiamate a dare applicazione alla rilevante disciplina dell’Unione, tanto in materia di protezione internazionale che in relazione alla gerarchia delle fonti di diritto, le quali hanno ricevuto specifica espressione nel D.L. del 23 ottobre 2024, sicché sussiste un interesse generale ad un chiarimento della Corte di Giustizia diretto ad assicurare l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, oltre ad una diretta incidenza nel caso sottoposto all’esame di questo giudice.

2. Contesto normativo.

2.1. Diritto dell’Unione rilevante.

2.1.1. Articolo 47 Carta dei Diritto Fondamentali dell’Unione Europea.

Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.

2.1.2. Considerando n. 42, 46, 47 e 48 della Direttiva 2013/32/UE.

42. La designazione di un paese terzo quale paese di origine sicuro ai fini della presente direttiva non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese. Per la sua stessa natura, la valutazione alla base della designazione può tener conto soltanto della situazione civile, giuridica e politica generale in tale paese e se in tale paese i responsabili di persecuzioni, torture o altre forme di punizione o trattamento disumano o degradante siano effettivamente soggetti a sanzioni se riconosciuti colpevoli. Per questo motivo è importante che, quando un richiedente dimostra che vi sono validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione del paese come sicuro non può più applicarsi al suo caso.

46. Qualora gli Stati membri applichino i concetti di paese sicuro caso per caso o designino i paesi sicuri adottando gli elenchi a tal fine, dovrebbero tener conto tra l’altro degli orientamenti e dei manuali operativi e delle informazioni relative ai paesi di origine e alle attività, compresa la metodologia della relazione sulle informazioni del paese di origine dell’EASO, di cui al regolamento (UE) n. 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (1), nonché i pertinenti orientamenti dell’UNHCR.

Per favorire lo scambio sistematico di informazioni sull’applicazione nazionale dei concetti di paese di origine sicuro, paese terzo sicuro e paese terzo europeo sicuro nonché un riesame periodico da parte della Commissione dell’uso di tali concetti da parte degli Stati membri, e per preparare un’eventuale nuova armonizzazione in futuro, è opportuno che gli Stati membri notifichino alla Commissione o comunque la informino periodicamente dei paesi terzi a cui applicano i concetti. È opportuno che la Commissione informi periodicamente

Al fine di garantire l’applicazione corretta dei concetti di paese sicuro basati su informazioni aggiornate, gli Stati membri dovrebbero condurre riesami periodici sulla situazione in tali paesi sulla base di una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni di altri Stati membri, dell’EASO, dell’UNHCR, del Consiglio d’Europa e di altre pertinenti organizzazioni internazionali. Quando gli Stati membri vengono a conoscenza di un cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani in un paese designato da essi come sicuro, dovrebbero provvedere affinché sia svolto quanto prima un riesame di tale situazione e, ove necessario, rivedere la designazione di tale paese come sicuro.

2.1.3. Articoli 31, paragrafo 8; 36; 37; 46 paragrafi 1, 3, 4, 5 e 6 della Direttiva 2013/32/UE.

Articolo 31(Procedura di esame), § 8. Gli Stati membri possono prevedere che una procedura d’esame sia accelerata elo svolta alla frontiera o in zone di transito a norma dell’articolo 43 se:

b) il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; o

(…)

Articolo 36 (Concetto di paese di origine sicuro) 1. Un paese terzo designato paese di origine sicuro a norma della presente direttiva può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se:

  • questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero
  • è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese, e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE.

2. Gli Stati membri stabiliscono nel diritto nazionale ulteriori norme e modalità inerenti

all’applicazione del concetto di paese di origine sicuro.

Articolo 37 (Designazione nazionale dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri)

  1. Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato 1, di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale.
  2. Gli Stati membri riesaminano periodicamente la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri conformemente al presente articolo.
  3. La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.
  4. Gli Stati membri notificano alla Commissione i paesi designati quali paesi di origine sicuri
  5. a norma del presente articolo.

Articolo 46 (Diritto a un ricorso effettivo), 1. Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

a) la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

i) di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato elo allo status di protezione sussidiaria;

ii) di considerare la domanda inammissibile a norma dell’articolo 33, paragrafo 2; iii) presa alla frontiera o nelle zone di transito di uno Stato membro a norma dell’articolo 43, paragrafo 1;

iv) di non procedere a un esame a norma dell’articolo 39; b) il rifiuto di riaprire l’esame di una domanda, sospeso a norma degli articoli 27 e 28;

c) una decisione di revoca della protezione internazionale a norma dell’articolo 45.

(…)

  1. Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE, quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado.
  2. Gli Stati membri prevedono termini ragionevoli e le altre norme necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto ad un ricorso effettivo di cui al paragrafo 1. I termini prescritti non rendono impossibile o eccessivamente difficile tale accesso. Gli Stati membri possono altresì disporre il riesame d’ufficio delle decisioni adottate ai sensi dell’articolo 43.
  3. Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.
  4. Qualora sia stata adottata una decisione:
  • di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’articolo 32, paragrafo 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h):
  • di ritenere inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b)|

o d);

c) di respingere la riapertura del caso del richiedente, sospeso ai sensi dell’articolo 28;

o d) di non esaminare o di non esaminare esaurientemente la domanda ai sensi dell’articolo

39, un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso.

2.1.5. Allegato I della Direttiva 2013/32/UE.

Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di «non-refoulement» conformemente alla convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà

2.1.6. Articolo 30 della Direttiva 2005/85.

  1. Fatto salvo l’articolo 29, gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che consenta, a norma dell’allegato II, di designare a livello nazionale paesi terzi diversi da quelli che figurano nell’elenco comune minimo quali paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di asilo. È anche possibile designare come sicura una parte di un paese, purché siano soddisfatte le condizioni di cui all’allegato Il relativamente a tale parte.
  2. In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri possono mantenere la normativa in vigore al lo dicembre 2005 che consente di designare a livello nazionale paesi terzi diversi da quelli figuranti nell’elenco comune minimo quali paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di asilo, se hanno accertato che le persone nei paesi terzi in questione non sono in genere sottoposte a: a) persecuzione quale definita nell’articolo 9 della direttiva 2004/83/CE; o b) tortura o altra forma di pena o trattamento disumano o degradante.
  3. Gli Stati membri possono altresì mantenere la normativa in vigore al 1º dicembre 2005, che consente di designare a livello nazionale una parte di un paese sicura o di designare un paese o parte di esso sicuri per un gruppo determinato di persone in detto paese, se sono soddisfatte le condizioni di cui al paragrafo 2 relativamente a detta parte o a detto gruppo.
  4. Nel valutare se un paese è un paese di origine sicuro a norma dei paragrafi 2 e 3, gli Stati membri considerano lo status giuridico, l’applicazione della legge e la situazione politica generale del paese terzo in questione. 5. La valutazione volta ad accertare che un paese è un paese di origine sicuro a norma del presente articolo si basa su una serie di fonti di informazioni, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti. 6. Gli Stati membri notificano alla Commissione i paesi designati quali paesi di origine sicuri a norma del presente articolo.

2.1.6. Articolo 61 del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024, n. 2024/1348/UE

Concetto di paese di origine sicuro

1.Un paese terzo può essere designato paese di origine sicuro a norma del presente

regolamento soltanto se, sulla base della situazione giuridica, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono persecuzioni quali definite all’articolo 9 del regolamento (UE) 2024/1347, né alcun rischio reale di danno grave quale definito all’articolo 15 di tale regolamento.

  1. La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili.
  2. La valutazione volta a stabilire se un paese terzo sia un paese di origine sicuro a norma del presente regolamento si basa su una serie di fonti d’informazione pertinenti e disponibili, compresi gli Stati membri, l’Agenzia per l’asilo, il servizio europeo per l’azione esterna, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e altre organizzazioni internazionali pertinenti e tiene conto, se disponibile, dell’analisi comune delle informazioni sui paesi di origine di cui all’articolo 11 del regolamento (UE) 2021/2303.
  3. Per effettuare la valutazione di cui al paragrafo 3 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni e il danno grave mediante:
  • le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese e il modo in cui sono applicate;
  • il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici o nella convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea;
  • l’assenza di espulsione, allontanamento o estradizione di propri cittadini verso paesi terzi in cui, tra l’altro, sarebbero esposti al grave rischio di essere sottoposti alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, ovvero in cui la loro vita o libertà sarebbero minacciate a motivo della razza, della religione, della nazionalità, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche o ancora in cui sarebbero esposti al grave rischio di espulsione, allontanamento o estradizione verso un altro paese terzo;
  • un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

5.Si può applicare il concetto di paese di origine sicuro solo a condizione che:

a) il richiedente abbia la cittadinanza di quel paese oppure sia un apolide che in precedenza

aveva dimora abituale in quel paese;

  • il richiedente non appartenga a una categoria di persone per le quali è stata fatta
  • un’eccezione al momento di designare il paese terzo come paese di origine sicuro;
  • il richiedente non possa fornire elementi che giustifichino il motivo per cui il concetto di paese di origine sicuro non è applicabile nei suoi confronti, nel quadro di una valutazione individuale.

2.2. Diritto nazionale rilevante.

2.2.1. Articolo 10, comma 3 della Costituzione.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

2.2.2. Articolo 24 della Costituzione.

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

2.2.3. Articolo 113 della Costituzione.

Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

2.2.4. Articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (formulazione

antecedente alla modifica di cui al decreto-legge 23 ottobre 2024 n. 158).

Articolo 2-bis 1. Con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, è adottato l’elenco dei Paesi di origine sicuri sulla base dei criteri di cui al comma 2. L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea.

  1. Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.
  2. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:

le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate;

il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea;

  • il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra;
  • un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione europea è un

Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’articolo 5, comma 1, nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

  1. Un Paese designato di origine sicuro ai sensi del presente articolo può essere considerato
  2. Paese di origine sicuro per il richiedente solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese o è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova.

2.2.5. Articolo 9 co. 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.

Articolo 9 co. 2-bis La decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente di cui all’articolo 2-bis, comma 5, è motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso.

2.2.6. Articolo 28-bis co.2, lett. c) del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.

La Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione e decide entro i successivi due giorni, nei seguenti casi:

c) richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura, ai sensi dell’articolo 2-bis

2.2.7. Articolo 28-ter co.I, lett b) del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.

La domanda è considerata manifestamente infondata, ai sensi dell’articolo 32, comma 1,

lettera bbis), quando ricorra una delle seguenti ipotesi:

b) il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro ai sensi dell’articolo 2-bis

2.2.8. Articolo 32 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.

1. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 23, 29 e 30 la Commissione territoriale adotta una delle seguenti decisioni:

  • riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, secondo quanto previsto dagli articoli 11 e 17 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251;
  • rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale previste dal medesimo
  • decreto legislativo;

b-bis) rigetta la domanda per manifesta infondatezza nei casi di cui all’articolo 28-ter;

b-ter) rigetta la domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi, può legalmente e senza pericolo recarvisi ed esservi ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca.

2.2.9. Articolo 35-bis, secondo, terzo e quarto comma del decreto legislativo 28 gennaio

2008, n. 25 (formulazione vigente al momento della presente decisione)

2. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente si trova in un Paese terzo al momento della proposizione del ricorso, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana. In tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare.

Nei casi di cui all’articolo 28-bis, commi 1 e 21, e nei casi in cui nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, i termini previsti dal presente comma sono ridotti della metà.

3. La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto:

  • da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento nelle strutture di cui all’articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero nei centri di cui all’articolo 14 del medesimo decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
  • avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della
  • protezione internazionale;
  • avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettera b-bis);

d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettere b), b-bis), c) ed e):

d-bis) avverso il provvedimento relativo alla domanda di cui all’articolo 28-bis, comma 1, lettera b).

4. Nei casi previsti dal comma 3, lettere a), b), c), d) e d-bis), l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può tuttavia essere sospesa, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni, con decreto motivato, adottato ai sensi dell’articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46, e pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell’istanza di sospensione e senza la preventiva convocazione della controparte. Il decreto con il quale è concessa o negata la sospensione del provvedimento impugnato è notificato, a cura della cancelleria e con le modalità di cui al comma 6, unitamente all’istanza di sospensione.

Entro cinque giorni dalla notificazione le parti possono depositare note difensive. Entro i cinque giorni successivi alla scadenza del termine di cui al periodo precedente possono essere depositate note di replica. Qualora siano state depositate note ai sensi del terzo e quarto periodo del presente comma, il giudice, con nuovo decreto, da emettersi entro i successivi cinque giorni, conferma, modifica o revoca i provvedimenti già emanati. Il decreto emesso a norma del presente comma non è impugnabile. Nei casi di cui alle lettere b), c) e d), del comma 3 quando l’istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo.

2.2.10. Decreto Interministeriale del 17 marzo 2023.

Il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale di concerto con il Ministro dell’Interno ed il Ministro della Giustizia

Visto il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, di attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e, in particolare, l’articolo 2-bis, che prevede, con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, l’adozione di un elenco dei Paesi di origine sicuri;

Visto il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, di attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, di attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale;

Visto il decreto n. 1202/606 del 4 ottobre 2019 del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di concerto con il Ministro dell’interno e il Ministro della giustizia, che istituisce una lista di Paesi di origine sicuri per richiedenti protezione internazionale;

Considerata la necessità di effettuare l’aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri ai sensi dell’art. 2 del decreto n. 1202/6060 del 4 ottobre 2019;

Visto l’appunto n. 181962 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il quale sono state trasmesse le schede contenenti le determinazioni relativamente ai seguenti Paesi: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia;

Tenuto conto dell’esigenza di assicurare il pieno rispetto delle disposizioni costituzionali concernenti i diritti inviolabili dell’uomo, di tutelare le specifiche situazioni personali del singolo richiedente protezione internazionale a prescindere dal Paese di provenienza e di dare attuazione alla previsione di cui all’art. 2-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008;

Decreta:

Art. I Paesi di origine sicuri

1. Ai sensi dell’art. 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono considerati Paesi di origine sicuri: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia.

2. Nell’ambito dell’esame delle domande di protezione internazionale, la situazione particolare del richiedente é valutata alla luce delle informazioni contenute nelle schede sul Paese di origine indicate nell’istruttoria di cui in premessa.

2.2.11. Decreto Interministeriale del 7 maggio 2024.

Visto il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, di attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e, in particolare, l’art. 2-bis, che prevede, con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, l’adozione di un elenco dei Paesi di origine sicuri;

Visto il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, di attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, di attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale;

Visto il decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale 17 marzo

2023, adottato di concerto con il Ministro dell’interno e il Ministro della giustizia e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 72 del 25 marzo 2023, che stabilisce una lista di Paesi di origine sicuri per richiedenti protezione internazionale;

Considerata la necessità di effettuare l’aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri ai sensi dell’art. 2 del decreto 17 marzo 2023;

Visto l’appunto n. MAECI_1311_06/05/2024_0056895-1 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il quale sono state trasmesse le schede contenenti le determinazioni relativamente ai seguenti Paesi: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Peru’, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia;

Tenuto conto dell’esigenza di assicurare il pieno rispetto delle disposizioni costituzionali concernenti i diritti inviolabili dell’uomo, di tutelare le specifiche situazioni personali del singolo richiedente protezione internazionale a prescindere dal Paese di provenienza e di dare attuazione alla previsione di cui all’art. 2-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008;

Decreta:

Art. 1 Paesi di origine sicuri

1. Ai sensi dell’art. 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono considerati

Paesi di origine sicuri: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia,

Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord,

Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

2. Nell’ambito dell’esame delle domande di protezione internazionale, la situazione particolare del richiedente è valutata alla luce delle informazioni contenute nelle schede sul Paese di origine indicate nell’istruttoria di cui in premessa.

Art. 2 Aggiornamento periodico

1. L’elenco di cui all’art. I è aggiornato periodicamente conformemente all’art. 2-bis del

decreto legislativo n. 25 del 2008.

Art. 31

Notifica

1. L’elenco di cui all’art. I è notificato alla Commissione europea. Sono, altresì, comunicate alla Commissione europea le modifiche apportate all’elenco di cui all’art. la seguito dell’aggiornamento periodico di cui all’art. 2.

Art. 4

Norma transitoria e abrogazioni

  1. Ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, l’inclusione di Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka, nell’elenco di cui all’art. I non ha effetto sulle domande presentate da cittadini di detti Paesi prima dell’adozione del presente decreto.
  2. A decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto cessa di trovare applicazione il decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale 17 marzo 2023, adottato di concerto con il Ministro dell’interno e il Ministro della giustizia e pubblicato nella Gazzetta
  3. Ufficiale – Serie generale – n. 72 del 25 marzo 2023.

Art. 5 Entrata in vigore

1. Il presente decreto si applica dal quindicesimo giorno successivo a quello della sua

pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

2.2.12 Decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158.

VISTI gli articoli 77 e 87, quinto comma, della Costituzione;

VISTA la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri» e, in particolare, l’articolo 15; |

VISTO il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, recante «Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»;

VISTA la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013;

VISTA la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22), che dichiara che «l’articolo 37 della direttiva 2013/32/UE deve essere interpretato nel senso che osta a che un paese terzo sia designato come Paese di origine sicuro quando alcune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni materiali per tale designazione, stabilite nell’allegato I della predetta Direttiva»;

CONSIDERATA la straordinaria necessità ed urgenza di designare i Paesi di origine sicuri, tenendo conto della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22), escludendo i Paesi che non soddisfano le condizioni per determinate parti del loro territorio (Camerun, Colombia e Nigeria):

CONSIDERATO il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024,

n. 2024/1348/UE, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale dell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE e, in particolare, l’articolo 61, paragrafo 2 secondo cui «La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili» che, pur trovando applicazione a decorrere dal 12 giugno 2026, ha indicato l’orientamento condiviso da parte degli Stati membri dell’Unione europea;
VISTA la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 21 ottobre

2024;

SULLA PROPOSTA del Presidente del Consiglio dei ministri, dei Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell’interno e della giustizia;

EMANA il seguente decreto-legge:

ART. 1 (Paesi di origine sicuri)

1. All’articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. In applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti:

Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana,Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.»;

  • al comma 2, al secondo periodo, le parole «di parti del territorio o» sono soppresse;
  • al comma 4, la parola «EASO» è sostituita dalle seguenti: «Agenzia dell’Unione europea
  • per l’asilo»;
  • dopo il comma 4, sono inseriti i seguenti: «4-bis. L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea. Ai fini dell’aggiornamento dell’elenco di cui al comma 1, il Consiglio dei Ministri delibera, entro il 15 gennaio di ciascun anno, una relazione, nella quale, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali e tenuto conto delle informazioni di cui al comma 4, riferisce sulla situazione dei Paesi inclusi nell’elenco vigente e di quelli dei quali intende promuovere l’inclusione. Il Governo trasmette la relazione alle competenti
  • commissioni parlamentari».

ART. 2 (Modificazioni al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25)

1. Al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 35-bis:

1) il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Nei casi previsti dal comma 3 l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa, su istanza di parte, con decreto motivato, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni. L’istanza di sospensione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, con il ricorso introduttivo. Il ricorso è notificato, a cura della cancelleria e con le modalità di cui al comma 6. II Ministero dell’interno può depositare note difensive entro tre giorni dalla notifica. Se il Ministero deposita note difensive la parte ricorrente può depositare note di replica entro i successivi tre giorni. Il giudice decide sull’istanza di sospensione entro i successivi cinque giorni. Se il Ministero dell’interno non si avvale della facoltà prevista dal quarto periodo il termine per la decisione decorre dalla scadenza del temine per il deposito delle note difensive. Nei casi previsti dalle lettere

b), c) e d), del comma 3 quando l’istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo.»;

2) dopo il comma 4 è inserito il seguente:

«4-bis. Avverso il decreto di cui al comma 4 è ammesso reclamo alla corte d’appello nel termine di cinque giorni, decorrente dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. Si applicano gli articoli 737 e 738 del codice di procedura civile. Il reclamo è comunicato, a cura della cancelleria, alla controparte. La proposizione del reclamo non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento reclamato. La corte d’appello, sentite le parti, decide con decreto immediatamente esecutivo, entro dieci giorni dalla presentazione del reclamo. Il decreto è comunicato alle parti a cura della cancelleria. La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale non opera nei procedimenti di cui al presente comma.»;

b) all’articolo 35-ter

1) al comma 2, terzo periodo, le parole «in composizione monocratica» e le parole «non impugnabile» sono soppresse;

2) dopo il comma 2, è inserito il seguente:

«2-bis. Avverso il provvedimento adottato ai sensi del comma 2 è ammesso reclamo alla corte d’appello e si applicano le disposizioni dell’articolo 35-bis, comma 4-bis.».

2. Le disposizioni di cui al comma I si applicano ai ricorsi presentati decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 11 ottobre 2024, n.

145. ART. 3 (Entrata in vigore)

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

2. Motivi del rinvio pregiudiziale.

Il provvedimento di manifesta infondatezza oggetto di causa è stato emesso all’esito di una

procedura accelerata.

Ai sensi degli articoli 46, quinto e sesto paragrafo e 31, ottavo paragrafo della Direttiva 2013/32/UE, in ipotesi di procedura accelerata opera, in caso di proposizione di tempestivo ricorso giurisdizionale, una deroga al diritto dei richiedenti asilo di rimanere sul territorio del paese ospitante in attesa dell’esito del ricorso.

Dall’esame degli atti si rileva che la procedura accelerata è stata eseguita correttamente nelle sue varie articolazioni procedurali, sicché non ricorre una ipotesi di sospensione automatica del provvedimento impugnato secondo i canoni segnalati nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 11399 del 29 aprile 2024, emessa in seguito a rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art.

363-bis c.p.c. proposto da questo tribunale con ordinanza dell’11 giugno 2023.

Occorre tuttavia chiarire se nella specie ricorrano o meno i presupposti legali della scelta operata dall’Autorità di prima istanza di trattazione della domanda di asilo con procedura accelerata, motivata in ragione della designazione del paese di origine del richiedente asilo, il Bangladesh, quale paese sicuro. Se la manifesta infondatezza è stata dichiarata in una ipotesi in cui non poteva disporsi la procedura accelerata, per non essere il paese di origine un paese sicuro, il tribunale deve dichiarare difatti che nel caso di specie opera la detta sospensione automatica.

3.1. L’atto di designazione.

L’inclusione del Bangladesh nella lista dei paesi sicuri è avvenuta per la prima volta con decreto interministeriale del 7 maggio 2024.

Con il successivo decreto-legge del 23 ottobre 2024, il decreto interministeriale del 7 maggio 2024 è stato implicitamente abrogato e sostituito con la previsione di una nuova lista, che (eliminati il Camerun, la Colombia e la Nigeria in ragione della presenza di zone geografiche con conflitti suscettibili di esporre la popolazione a violenza indiscriminata) continua ad includere il Bangladesh.

Trattasi di disposizioni che regolano il procedimento avanti alla Commissione territoriale e del processo avanti al Tribunale (Corte di Giustizia, sentenza del 4 ottobre 2024, § 91: «la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra in tali aspetti procedurali delle domande di protezione internazionale in quanto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, siffatta designazione è atta a comportare ripercussioni sulla procedura di esame vertente su domande del genere»), sicché il principio del cd. tempus regit actum impone di assumere che al momento della presente decisione l’inclusione del Bangladesh nella lista dei paesi sicuri sia imposta dal detto D.L. n. 158/2024. Pur essendo noto il condivisibile indirizzo per cui, attese le evidenti ripercussioni di natura sostanziale, in caso di designazione del paese intervenuta nel corso del giudizio vanno applicate le disposizioni più favorevoli per il richiedente asilo, nel caso di specie ha carattere assorbente l’osservazione che la designazione è stata confermata nonostante la successione nel tempo di diverse disposizioni.

3.2. Il contrasto interpretativo.

Diverse corti di merito hanno dedotto dalla decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024 una chiara conferma del principio, imposto dalla Direttiva e acquisito da tempo da numerosi tribunali, per cui incombe sul giudice nazionale lo specifico dovere giuridico di disapplicare – o, come si suol pure dire in letteratura, di “non applicare”- il provvedimento di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, quando dalle informazioni fornite dalle organizzazioni internazionali competenti e acquisite dal giudice emerga che nel paese vi sono categorie di persone esposte al rischio concreto di persecuzioni generalizzate e sistematiche o di danno grave, in carenza di adeguata protezione interna.

È stato ritenuto, in particolare, che la designazione non possa avvenire con l’esclusione di alcune categorie personali. Si è ritenuto che tale conclusione sia oggi avvalorata dalle motivazioni esposte dalla Corte di Giustizia in detta decisione, le quali possono essere riferite in modo identico tanto alle ipotesi di esclusioni territoriali che personali. In special modo valgono in identica misura sia per le esclusioni personali che per quelle territoriali tanto l’osservazione della Corte in relazione all’onere per il paese che voglia includere un paese terzo nella lista nazionale dei paesi sicuri «di dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni» né alcun rischio reale di danno grave come definito nell’Allegato I (§ 67), quanto il rilievo evidenziato dalla Corte che la possibilità di specifiche esclusioni era consentita nella precedente Direttiva, non è più consentita nella Direttiva vigente e ritornerà con specifici limiti nel Regolamento di futura applicazione (§ da 73 a 81), sicché si deve concludere che nell’attualità il Legislatore europeo le abbia escluse del tutto.

Va osservato, inoltre, come, ad avviso di diverse corti di merito, dalla decisione della Corte debba desumersi la conferma che tale dovere del giudice di valutare le condizioni sostanziali della designazione sussista anche se l’atto non preveda alcuna causa di esclusione, quando dalle informazioni acquisite dal giudice in forza del suo dovere di cooperazione istruttoria risulti che il paese designato presenti «generalmente e costantemente persecuzioni» o sussistano comunque pericoli di danno grave. Se, difatti, è confermato il dovere di controllare la legittimità della designazione in presenza di (illegittime) eccezioni territoriali o personali, è evidente che tale dovere in capo al giudice nazionale permane anche quando lo Stato designante non abbia indicato eccezioni.

Determinandosi ad intervenire con decretazione di urgenza al dichiarato fine di ottemperare alla decisione della Corte (nel preambolo del decreto-legge si legge: «considerata la straordinaria necessità ed urgenza di designare i Paesi di origine sicuri, tenendo conto della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 4 ottobre 2024»), il Governo italiano ha invece interpretato la decisione della Corte del 4 ottobre 2024 in termini restrittivi, assumendo in primo luogo che né il dispositivo né le sue motivazioni consentano di inferire una interpretazione della Direttiva nel senso che la stessa escluda la designazione con eccezioni per determinate categorie di persone, come si evince dalla conferma di tale prescrizione nell’art. 2 bis, comma 2, D.L. vo 25/2008.

In secondo luogo, è sottesa al ricorso alla decretazione di urgenza l’indicazione che la designazione possa operare, quale scelta di natura evidentemente politica, anche nel caso in cui dalle informazioni fornite dalle organizzazioni internazionali competenti risultino all’interno del paese generalmente e costantemente persecuzioni o pericoli di danno grave, come rilevato per diversi paesi indicati nella lista dalle stesse “schede paese” allegate al precedente decreto interministeriale (e che debbono intendersi implicitamente richiamate dal nuovo art. 2-bis, comma 1, D.L.vo 25/2008). Tale ratio legis si evince con chiarezza dalla constatazione che la decretazione di urgenza è motivata dall’esigenza di preservare l’attuale linea interpretativa che ha condotto ad estendere la lista nazionale italiana dei paesi di origine sicuri alla gran parte dei paesi da cui provengono coloro che chiedono asilo in Italia (con l’eccezione, fra quelli più rilevanti, del Pakistan e, adesso, dei tre paesi che presentano conflitti interni), predisponendo per gli stessi un apposito apparato normativo conseguente ad accordi intervenuti con la Repubblica di Albania.

In terzo luogo, la scelta del Governo italiano di predisporre una lista dei paesi di origine sicuri non più con una fonte di normazione secondaria, quale il decreto interministeriale, ma con una fonte normativa primaria, come il decreto-legge, trova la propria ratio nell’affermazione ad essa sottesa, che il dovere del giudice nazionale di verificare la conformità della designazione al diritto europeo sia limitato al caso in cui la scelta sia operata con atto amministrativo e non permanga, o sia comunque compresso, quando la designazione sia operata, invece, con un atto di natura squisitamente politica formalizzato in un provvedimento di normazione primaria, quale una legge ordinaria o un decreto-legge.

Anche nella giurisprudenza nazionale si è evidenziato un analogo contrasto interpretativo, posto che secondo un indirizzo minoritario il giudice non potrebbe disapplicare il provvedimento di designazione in quanto espressione di scelte di natura discrezionale sottratte al sindacato giurisdizionale (v. Tribunale di Firenze, ordinanza del 10 gennaio 2024 che ha ritenuto che la «disapplicazione del D.M.A.E. Paesi Sicuri da parte del Giudice Ordinario operi di fatto come un sindacato di merito sostitutivo di poteri discrezionali riservati alla P.A. nella predisposizione della Lista paesi Sicuri previsti dalla Direttiva ‘Procedure’ e attuati nel nostro ordinamento interno»;

«In tutti i casi in cui il G.O. insista nel ritenere illegittimo l’atto amministrativo perché non recepisce fatti, a suo giudizio, rilevanti per l’uscita dalla lista Paesi Sicuri, appare evidente che con la sua valutazione esorbiti dallo svolgimento di un giudizio di mera legittimità esterna, sostituendosi alla P.A. nelle valutazioni di merito di sua esclusiva competenza. In definitiva, la disapplicazione della D.M.A.E. Paesi Sicuri, per mancata esclusione dalla Lista della Tunisia, in quanto non ritenuta aggiornata la valutazione di sicurezza, è una forma di sindacato di merito precluso al G.O., che in questa sede non si ritiene di poter operare»). In ragione di tale diversità di indirizzo, il Tribunale di Roma con ordinanza del 1º luglio 2024 ha proposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c., proponendo il seguente quesito: «se in caso di soggetto proveniente da paese di origine sicuro, nell’ambito del procedimento conseguente al provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28 ter. D.Lvo. n. 25/2008 emesso dalla Commissione territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, il giudice ordinario sia vincolato alla lista dei paesi di origine sicura approvata con il decreto interministeriale, o se il giudice debba, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, comunque valutare, sulla base di informazioni sui paesi di origine (COl) aggiornate al momento della decisione, se il Paese incluso nell’elenco dei “Paesi di origine sicuri” sia effettivamente tale alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia». La questione proposta dal tribunale romano alla Corte di Cassazione non si sovrappone tuttavia a quella proposta nel presente rinvio pregiudiziale, atteso che il quesito proposto in quella sede riguarda il dovere del giudice nazionale di disapplicare i provvedimenti amministrativi emessi in violazione della legge nazionale, mentre nel presente rinvio è in questione il dovere del giudice di non applicazione delle disposizioni nazionali contrastanti col diritto europeo.

Sussiste, dunque, un manifesto conflitto interpretativo che attraversa in parte gli stessi organi giurisdizionali e si estende nel complesso alle Autorità nazionali che sono chiamate ad interpretare e ad applicare il diritto dell’Unione.

Il presente rinvio pregiudiziale non concerne la prima questione, relativa alla legittimità o meno della previsione di cause di esclusione personali, questione non rilevante nella presente controversia alla luce della nuova designazione che, come si vedrà (§ 4.1), non contempla eccezioni, e per cui già pendono in ogni caso avanti alla Corte di Giustizia due rinvii pregiudiziali proposti dal Tribunale di Firenze [con i quali il tribunale fiorentino ha chiesto: In via principale, se il diritto dell’UE e, in particolare, gli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro designi uno Stato come Paese di Origine sicuro con esclusione di categorie di persone a rischio, nei confronti delle quali non si applica la presunzione di sicurezza e se, quindi, in tal caso, il Paese nel suo complesso non possa essere considerato un paese di origine sicuro ai fini della Direttiva. In via subordinata, nell’ipotesi in cui tale modalità di designazione non sia ritenuta vietata dal diritto dell’Unione in maniera assoluta, se il diritto dell’UE osti ad una norma nazionale che designi un Paese di Origine Sicuro con esclusioni personali che, per numero e tipologia, sono di difficile accertamento, considerati i tempi ristretti della procedura accelerata, (in particolare “Detenuti; Persone con disabilità fisiche o mentali; Albini; Sieropositivi; Comunità LGBT; Vittime di discriminazione sulla base dell’appartenenza di genere, incluse vittime e potenziali vittime di MGF; Vittime di tratta; IDPs;

Giornalisti; Membri dell’IMN; Esponenti dell’IPOB”) e se, quindi, in tal caso, il Paese nel suo complesso non possa essere considerato un Paese di origine sicuro ai fini della Direttiva)].

Il primo quesito oggetto del presente rinvio concerne, invece, la possibilità di designazione in presenza di forme generalizzate e costanti di persecuzione e rischi di danno grave nei confronti di gruppi minoritari presenti nel paese terzo, sicché la richiesta di chiarimento attiene alla interpretazione del diritto europeo nella parte in cui prevede che la designazione sia legittima soltanto quando «si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE» né rischi reali di danno grave come definiti nell’Allegato I della Direttiva 2013/32/UE. Il primo quesito posto alla Corte è dunque se ai sensi degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, la designazione sia consentita anche in presenza di persecuzioni e di pericoli di danno grave diretti in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali, in particolare se la presenza di forme persecutorie e di danno grave diretti generalmente e costantemente nei confronti di un solo gruppo sociale di difficile identificazione, quali ad esempio le persone Igbtiqa+, oppure gli appartenenti a minoranze sociali, etniche o religiose, o le donne esposte a violenza di genere o rischio di tratta, permetta comunque la designazione.

Con il secondo quesito è richiesto alla Corte di Giustizia di chiarire se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte imponga di assumere che in caso di contrasto fra le disposizioni della Direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione e le disposizioni nazionali sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se il dovere di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui la designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria.

3.3. Le ragioni del rinvio pregiudiziale.

Nonostante l’obiettivo contrasto sopra illustrato, il Collegio ha una precisa opinione in ordine alla corretta soluzione interpretativa, che, com’è prassi in caso di rinvio pregiudiziale, verrà illustrata in dettaglio (§ 4).

Considerata nondimeno la necessità di assicurare uniformità di applicazione del diritto europeo su tutto il territorio dell’Unione, rientra nella logica del rinvio pregiudiziale che la Corte di Giustizia sia invocata quando occorra dissipare gravissime divergenze interpretative del diritto europeo, manifestatesi nel caso di specie in modo obiettivo e virulento in seguito ad alcuni provvedimenti giurisdizionali sino alla decretazione d’urgenza di cui al D.L. n. 158/2024. In presenza di un gravissimo contrasto interpretativo del diritto dell’Unione, qual è quello che attualmente attraversa l’ordinamento istituzionale italiano, il rinvio alla Corte è opportuno al fine di conseguire un chiarimento sui principi del diritto europeo che governano la materia.

Al di là della soggettiva e indiscussa valutazione di questo Collegio in ordine alla corretta interpretazione delle disposizioni da applicare nel caso di specie, la presenza di tale oggettivo e grave dissidio esegetico non consente di escludere, in buona sostanza, che la corretta applicazione del diritto comunitario non si imponga, nell’attualità e in futuro, con la necessaria evidenza alle Autorità, giudiziarie e non, italiane e degli altri Stati membri (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza CILFIT, 6 ottobre 1982, causa 238/81: «la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia»).

3. Opinione del giudice remittente.

La provenienza del ricorrente dal Bangladesh è assolutamente pacifica, essendo stata accertata dalla Commissione territoriale. La provenienza è invero sempre oggetto di attento accertamento da parte dell’Autorità di prima istanza (in Italia, le Commissioni territoriali istituite presso il Ministero dell’Interno), tant’è che sono rarissimi i casi in cui in seconda istanza permangano dubbi sul paese d’origine del richiedente asilo.

La questione oggetto del presente rinvio pregiudiziale attiene, invece, alla individuazione delle condizioni sostanziali che hanno consentito la designazione del paese di provenienza del richiedente asilo come paese di origine sicuro.

4.1. Premessa: il D.L. del 23 ottobre 2024 e la decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024.

Il D.L. n. 158/2024 ha determinato l’inclusione nel primo comma dell’art. 2-bis del D.L.vo n. 25/2008 di una lista di paesi ritenuti sicuri, comprendente: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

Tale lista non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali. Mentre nel vigore del precedente decreto interministeriale si era dubitato se l’inclusione dei paesi nella lista fosse stata operata con alcune eccezioni, che potevano desumersi dalle “schede paese” richiamate nella motivazione del detto decreto, non può esservi dubbio alcuno che il decreto-legge abbia voluto includere i 19 paesi senza alcuna eccezione. Se è vero, difatti, che il secondo comma del menzionato art. 2-bis continua a prevedere in astratto che «la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di categorie di persone», essendo stata rimossa soltanto la possibilità di cause di esclusione territoriali (in ossequio al disposto della decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024), è pure vero che lo stesso effettua in concreto tale designazione senza contemplare alcuna causa di esclusione («sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti:…»).

Né a diversa conclusione può giungersi in ragione del richiamo, nel preambolo del detto decreto-legge, al Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024, n. 2024/1348/UE, il quale reintrodurrà la possibilità di eccezioni (prevedendo che «La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili»). L’indicazione nel preambolo del decreto-legge per cui tale futura disposizione «ha indicato l’orientamento condiviso da parte degli Stati membri dell’Unione europea» appare allo stato priva di un effettivo contenuto giuridico, posto che le designazioni effettivamente contenute nel testo della legge sono, come detto, prive di eccezioni, men che meno per «categorie di persone chiaramente identificabili», e posto che il Regolamento, seppure in vigore, non è ancora efficace essendo la sua applicazione nell’attualità interdetta ai sensi del suo art. 79, paragrafo 3. In conclusione, con il D.L. n. 158/2024 appare certo che la designazione del Bangladesh, cosi come di tutti gli altri 18 paesi inclusi nella lista, sia avvenuta senza eccezioni, né territoriali né personali.

II D.L. n. 158/2024 richiama espressamente nel preambolo la decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024, con la quale la stessa ha dato risposta allo specifico quesito posto con rinvio pregiudiziale del 20 giugno 2022 dalla Corte regionale di Brno, ad esito di un iter processuale che ha visto l’intervento dei governi della Repubblica Federale di Germania e dei Pacsi Bassi, ma nel quale il Governo italiano non ha ritenuto invece di intervenire. Nel D.L. si rileva difatti che il ricorso alla decretazione d’urgenza è giustificato «considerata la straordinaria necessità ed urgenza di designare i Paesi di origine sicuri, tenendo conto della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22), escludendo i Paesi che non soddisfano le condizioni per determinate parti del loro territorio (Camerun, Colombia e Nigeria)».

Nella decisione del 4 ottobre 2024, la Corte di Giustizia ha stabilito che:

1) L’articolo 37, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’allegato 1 della stessa direttiva, dev’essere interpretato nel senso che:

un paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato come paese di origine sicuro per il solo motivo che si avvale del diritto di derogare agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, in applicazione dell’articolo 15 di tale convenzione, le autorità competenti dello Stato membro che ha proceduto a siffatta designazione devono tuttavia valutare se le condizioni di attuazione di tale diritto siano atte a mettere in discussione detta designazione.

  1. L’articolo 37 della direttiva 2013/32 dev’essere interpretato nel senso che:
  2. esso osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro allorché talune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva.
  3. L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che:

quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo3, deve dedurre, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso.

Con riguardo al punto 2), relativo al contrasto di esclusioni territoriali con la Direttiva 2013/32, la Corte ha rilevato che:

68 (…) la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, come ricordato al punto 52 della presente sentenza, dalla possibilità di dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale

71 (…) interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente di designare paesi terzi come paesi di origine sicuri, eccezion fatta per talune parti del loro territorio, avrebbe l’effetto di estendere l’ambito di applicazione di tale regime speciale di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel testo di detto articolo 37 né, più in generale, in tale direttiva, riconoscere una facoltà del genere violerebbe l’interpretazione restrittiva di cui devono essere oggetto le disposizioni aventi carattere di deroga [v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015, Commissione/Lussemburgo, C-502/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ammissibilità di una domanda reiterata), C-216/22, EU:C:2024:122, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

72 (…) occorre rilevare che, prima dell’entrata in vigore della direttiva 2013/32, la facoltà di designare paesi terzi come paesi di origine sicuri, ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, era concessa agli Stati membri dalla direttiva 2005/85, in particolare dall’articolo 30 di quest’ultima.

  1. Tale articolo 30 prevedeva espressamente che gli Stati membri potessero designare come sicura anche una parte del territorio di un paese terzo se erano soddisfatte per quanto riguarda tale parte di territorio le condizioni previste all’allegato Il della direttiva 2005/85, le quali corrispondono, in sostanza, a quelle di cui all’allegato I della direttiva 2013/32. Sebbene l’allegato Il della direttiva 2005/85 richiedesse, al pari dell’allegato I della direttiva 2013/32, la prova che non ci sono «generalmente e costantemente» persecuzioni, dalla formulazione stessa di detto articolo 30 risultava che tale requisito si applicava, nel caso di una siffatta designazione parziale, solo alla parte di territorio designata come sicura.
  2. Conformemente all’articolo 53 della direttiva 2013/32, quest’ultima ha abrogato la direttiva 2005/85, il cui articolo 30, come risulta dalla tavola di concordanza di cui all’allegato III della direttiva 2013/32, è stato sostituito dall’articolo 37 di quest’ultima. Ebbene, in quest’ultimo articolo non compare più la facoltà di designare come sicuro una parte del territorio di un paese terzo.
  3. L’intenzione di sopprimere tale facoltà risulta dal testo stesso della modifica dell’articolo

30, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 contenuta nella proposta della Commissione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale [COM (2009) 554 definitivo, pag. 60], in cui tale facoltà, nella maggior parte delle versioni linguistiche, è stata esplicitamente espressamente barrata e, nelle altre versioni, eliminata.

76 Inoltre, una siffatta intenzione è confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta [COM (2009) 554 definitivo Annex, 14959/09 ADD 1, pag. 15], che la Commissione aveva fornito al Consiglio dell’Unione europea, la quale menziona espressamente la volontà di sopprimere la facoltà, per gli Stati membri, di applicare il concetto di paese di origine sicuro a una parte di un paese terzo e la conseguenza che deriva da siffatta soppressione, vale a dire che sia ormai richiesto che le condizioni materiali di una designazione del genere dovessero essere soddisfatte per tutto il territorio del paese terzo considerato.

  1. Il legislatore dell’Unione, nei limiti in cui, come rilevato al punto 78 della presente sentenza, mira a garantire, con la direttiva 2013/32, un esame delle domande di protezione internazionale rapido ed esaustivo, è tenuto, nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale di cui dispone ai fini dell’istituzione delle procedure comuni di riconoscimento e di revoca della protezione internazionale, a bilanciare questi due obiettivi in sede di determinazione delle condizioni alle quali gli Stati membri possono designare un paese terzo come paese di origine sicuro. Pertanto, il fatto che tale legislatore non abbia previsto, nell’ambito di tale direttiva, la facoltà per gli Stati membri di escludere una parte del territorio di un paese terzo ai fini di una designazione siffatta rispecchia tale bilanciamento e la sua scelta di privilegiare un esame esaustivo delle domande di protezione internazionale presentate da richiedenti il cui paese d’origine non soddisfa, per tutto il suo territorio, le condizioni sostanziali di cui all’allegato 1 di detta direttiva.
  2. Sebbene l’articolo 61, paragrafo 2, del regolamento 2024/1348, il quale abroga la direttiva 2013/32 con effetto dal 12 giugno 2026, reintroduca detta facoltà, disponendo che la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio, si tratta della prerogativa del legislatore dell’Unione di ritornare su tale scelta, procedendo a un nuovo bilanciamento, purché quest’ultimo rispetti le prescrizioni derivanti in particolare dalla Convenzione di Ginevra e dalla Carta. Occorre, peraltro, constatare che il fatto che il regime giuridico introdotto a tal fine da tale regolamento si distingua da quello che era stato previsto dalla direttiva 2005/85 corrobora l’interpretazione secondo la quale il legislatore dell’Unione non ha previsto tale facoltà nella direttiva 2013/32.

Con riguardo al punto 3), relativo al dovere imposto dalla Direttiva 2013/32 per il giudice nazionale di rilevare d’ufficio la violazione delle condizioni sostanziali della designazione di un paese come paese di origine sicuro, la Corte ha rilevato che:

87 (…) l’espressione «assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto» deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri sono tenuti, in forza di tale disposizione, ad adattare il loro diritto nazionale in modo che il trattamento dei ricorsi in questione comporti un esame, da parte del giudice, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentano di procedere ad una valutazione aggiornata del caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C-585/16, EU:C:2018:584, punto 110).

$90 (…) l’espressione «se del caso», contenuta nella parte di frase «compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva (2011/95]», evidenzia il fatto che l’esame completo ed ex nune incombente al giudice non deve necessariamente vertere sull’esame nel merito delle esigenze di protezione internazionale e che esso può dunque riguardare gli aspetti procedurali di una domanda di protezione internazionale (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C-585/16, EU:C:2018:584, punto 115).

91 (…) la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra in tali aspetti procedurali delle domande di protezione internazionale in quanto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, siffatta designazione è atta a comportare ripercussioni sulla procedura di esame vertente su domande del genere.

98 Da tutte le considerazioni che precedono risulta che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che, quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell’ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all’articolo 37 di tale direttiva, tale giudice, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto articolo 46, paragrafo 3, deve dedurre, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso.

I principi cosi chiaramente enunciati dalla Corte di Giustizia forniscono dunque una esegesi delle leggi europee del tutto conforme all’interpretazione più diffusa nella giurisprudenza di merito.

3.2. Il primo quesito.

Quando era stata immaginata la redazione di una lista devoluta al Consiglio dell’Unione curopea, la discussione sulle possibili designazioni era limitata ai pacsi europei per cui risultava pendente una domanda di adesione all’Unione (in questo senso cfir. Commissione Europea, Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council establishing an EU common list of safe countries of origin for the purposes of Directive 2013/32/EU of the European Parliament and of the Council on common procedures for granting and withdrawing international protection, and amending Directive 2013/32/EU, Bruxelles, 9 settembre 2015 che suggeriva di includere in suddetta lista: l’Albania, la Bosnia ed Erzegovina, la Macedonia, il Kosovo, il Montenegro, la Serbia e la Turchia). La competenza attribuita ai paesi aderenti ha condotto invece ad una progressiva estensione, da parte di alcuni pacsi, fra cui l’Italia, anche a pacsi extracuropei per cui le condizioni di sicurezza sono spesso assai dubbie.

Dovendosi verificare in cosa consista la «possibilità di dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95» né alcun rischio reale di danno grave come definito nell’Allegato I della Direttiva 2013/32/UE, ad avviso di questo Collegio è necessario gombrare innanzitutto il campo da un equivoco di fondo, quello per cui potrebbe definirsi sicuro un paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza.

Il sistema della protezione internazionaleè, per sua natura, sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti persecutori, statuali o meno. Salvo casi eccezionali (lo sono stati, forse, i casi limite della Romania durante il regime di Ceasescu o della Cambogia di Pol Pot), la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista. Se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica.

Al riguardo soccorrono due autorevoli precedenti.

Il Conseil d’État francese ha ritenuto illegittime le designazioni del Senegal e del Ghana, perché viè persecuzione delle persone Igbiqia+ (2ème-7ème Chambres Réunies, 2 luglio 2021,

437141), con decisione sostanzialmente fondata sul richiamo della disposizione interna per cui la sicurezza va assicurata «in generale e in modo uniforme per uomini e donne, indipendentemente dal loro orientamento sessuale» (art. 722-1, L. 18 settembre 2018; testo in vigore alla data della decisione).

La Corte Suprema inglese ha dichiarato illegittima la designazione della Giamaica in ragione della persecuzione delle persone Igbtqia+ (UK Supreme Court, R v Secretary of State for the Home Department, 4 marzo 2015), osservando come in questi casi non si tratti di superare la presunzione di sicurezza sulla base di una eccezione individuale, ma di verificare se il paese sia sicuro per intere categorie di persone e ritenendo al riguardo irrilevante che il paese sia, invece, sicuro per la maggioranza della popolazione. La Corte ha rilevato come la locuzione «in general» (contemplata nella legge inglese e sostanzialmente analoga ai termini «generalmente» previsto nell’Allegato 1 della Direttiva europea e «in generale» previsto nell’art. 2 bis, comma 2, D.L.vo 25/2008) sia intesa a differenziare uno stato di cose in cui la persecuzione è endemica, da uno in cui possono esserci isolati episodi di persecuzione (Punto 21: «I read the words “in general” as intended to differentiate a state of affairs where persecution is endemic, ie it occurs in the ordinary course of things, from one where there may be isolated incidents of persecution»). Secondo i giudici inglesi la nozione di “generale” va riferita dunque non alla generalità della popolazione, ma alla circostanza che la persecuzione non debba essere «endemica» o «sufficientemente sistematica».

In entrambi i casi non è stata introdotta una sorta di “clausola di esclusione” per chi sia (rectius: invochi di essere) Igbtqiat, ma, in ragione della persecuzione delle persone Igbtqiat, è stato negato che il paese possa essere incluso nella lista nazionale dei paesi di origine sicuri.

Mentre il riferimento alla condizione di sicurezza della generalità della popolazione è carente di base giuridica, la distinzione fra «situazione particolare» e persecuzione «sufficientemente sistematica e ordinaria» sembra in grado di garantire una distinzione chiara fra le due categorie giuridiche. La regola per cui chi proviene da un paese dove intere categorie di persone e gruppi sociali sono sottoposti a costante e sistematica persecuzione, possa essere oncrato di “invocare” al suo arrivo la propria appartenenza al gruppo sociale perseguitato al fine di escludere un provvedimento di rigetto immediatamente esecutivo, non appare invero realistica. La contrazione dei tempi della procedura di prima istanza può trovare giustificazione soltanto quando il paese di origine non presenti alcuna forma di persecuzione diretta contro gruppi sociali minoritari, sicché appare coerente che in tal caso la persona invochi da subito la propria specifica “situazione particolare” in ragione della quale il proprio paese non sia sicuro per lei. E, invece, meno ragionevole pretendere che una persona appena giunta nel paese ospitante sia subito in grado di chiarire in che termini sia attinta da rischi persecutori sistematicamente e ordinariamente presenti nel proprio paese. Ne sono esempi evidenti l’ipotesi di donne provenienti da paesi in cui vi siano endemici fenomeni di tratta di esseri umani, le quali sono sovente ancora oggetto di tratta al momento dell’arrivo, e l’ipotesi di donne o persone Igbtqia+ provenienti da paesi con fenomeni endemici di violenza di genere, matrimoni imposti, mutilazioni genitali o persecuzioni per l’orientamento sessuale o l’identità di genere, che possono non essere in grado di narrare immediatamente il proprio vissuto, in ragione della necessità di sottrarsi alla soggezione culturale dovuta al contesto di provenienza.

Va pure rilevato come in ipotesi di fenomeni sistematici di persecuzione o esposizione a danno grave di minoranze, tutta la popolazione appaia in qualche modo esposta a un rischio persecutorio, atteso che raramente una minoranza è segnata da confini netti e facilmente identificabili e che quando vi è persecuzione di un gruppo minoritario la stessa tende a colpire anche chi, pur non appartenendo al gruppo minoritario, sia entrato comunque per varie ragioni in relazione con appartenenti allo stesso.

Una chiara dimostrazione delle conseguenze del diverso approccio alla categoria emerge dalla situazione del Bangladesh, oggetto della presente controversia. Il presente rinvio pregiudiziale non è volto a chiarire se la Direttiva osti a che la normativa nazionale designi il Bangladesh come paese sicuro, posto che tale vaglio deve essere compiuto con giudizio ex nunc sulla base delle informazioni reperite al momento della decisione. Va tuttavia osservato come dall’esame della “scheda paese” datata 3 maggio 2024, che era stata richiamata al momento della designazione del Bangladesh del maggio 2024, costituendo la raccolta delle informazioni acquisite a tale fine, e che, a quanto risulta, non è stata aggiornata ai fini della sua ulteriore designazione del 23 ottobre 2024 (nonostante la gravissima crisi politica che da allora ha attraversato il paese), si rilevi al § 6 che «i casi in cui si riscontra un effettivo bisogno di protezione internazionale sono principalmente legati all’appartenenza alla comunità LGBTQI+, alle vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, alle minoranze etniche e religiose, alle persone accusate di crimini di natura politica e ai condannati a morte. Si segnala anche il crescente fenomeno degli sfollati “climatici”. costretti ad abbandonare le proprie case a seguito di eventi climatici estremi». Nelle conclusioni della stessa “scheda paese” si legge che «alla luce di quanto indicato e con riguardo alle disposizioni dell’art. 2-bis del d. Igs. n. 25/2018, il Bangladesh può essere considerato come un Paese sicuro. Tuttavia, poiché è possibile che vi siano fattispecie meritevoli di protezione internazionale, il Bangladesh è da ritenersi Paese sicuro ad eccezione delle fattispecie indicate al punto n. 6». Emerge dunque una vistosa contraddizione fra l’atto di designazione e gli atti istruttori propedeutici, posto che le informazioni raccolte ed il giudizio espresso negli atti interlocutori («il Bangladesh è da ritenersi Paese sicuro ad eccezione delle fattispecie indicate al punto n. 6») e la decisione finale adottata («in applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh») appaiono incompatibili già sul piano logico.

Tale incongruenza logica è spiegabile soltanto seguendo lo schema interpretativo, che evidentemente sottende anche al D.L. n. 158/2024 promosso dal Governo italiano, per cui la Direttiva 2013/32/UE consentirebbe la designazione se comunque la maggioranza della popolazione è in condizioni di sicurezza o per cui la designazione avrebbe in ogni caso natura giuridica di “atto politico”, determinata da superiori esigenze di governo del fenomeno migratorio e di difesa dei confini nazionali, prescindendo dalle informazioni e dai giudizi espressi dai competenti uffici ministeriali in ordine alle condizioni di sicurezza del paese designando.

In conclusione, ad avviso di questo Collegio un’interpretazione corretta dell’Allegato I della Direttiva, per cui ai fini della designazione occorre «dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95», né alcun rischio reale di danno grave come definito nell’Allegato I della Direttiva 2013/32/UE, dovrebbe condurre invece ad escludere la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro se nello stesso vi sono fenomeni endemici di persecuzione rivolta verso minoranze, anche piccole, della popolazione, in specie se le stesse non siano immediatamente identificabili.

4.3. Il secondo quesito.

Il secondo tema oggetto del presente rinvio pregiudiziale concerne il potere-dovere del giudice di disapplicare le disposizioni nazionali che contrastino con il diritto europeo.

Tale potere-dovere è stato dato per presupposto dalla Corte nella decisione del 4 ottobre 2024, ove la stessa ha riconosciuto la necessità di rilevare d’ufficio la questione della non conformità ai principi europei, anche in carenza di allegazione di parte.

Resta tuttavia la questione, implicitamente sollevata dalla decisione del Governo di procedere alla designazione con fonte di normazione primaria, se tale potere-dovere di disapplicazione sussista anche nei confronti di atti di tale natura. Con tale scelta il Potere esecutivo ha difatti inteso

sottolineare la menzionata natura “politica” della designazione, con l’effetto che a suo avviso tale scelta sarebbe sottratta al sindacato giurisdizionale.

Essendo i termini della questione ben noti, ci si può limitare in questa sede a rimandare alla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, ex multis alla sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa c. E.N.E.L. (per cui «il diritto nato dal trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa comunità. Il trasferimento, effettuato dagli stati a favore dell’ordinamento giuridico comunitario, dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del trattato implica quindi una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile col sistema della comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia») ed alla decisione del 9 marzo 1978, causa 106/77, Amministrazione delle finanze dello Stato c. SpA Simmenthal (in cui la Corte ha evidenziato che «2. L’applicabilità diretta del diritto comunitario significa che le sue norme devono esplicare pienamente i loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità le disposizioni direttamente applicabili sono una fonte immediata di diritti e di obblighi per tutti coloro che esse riguardano, siano questi gli stati membri ovvero i singoli, soggetti di rapporti giuridici disciplinati dal diritto comunitario. questo effetto riguarda anche tutti i giudici che, aditi nell’ambito della loro competenza, hanno il compito, in quanto organi di uno stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario. 3. In forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli stati membri, non solo di rendere ‘ipso jure’ inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche – in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli stati membri – di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie. II riconoscere una qualsiasi efficacia giuridica ad atti legislativi nazionali che invadano la sfera nella quale si esplica il potere legislativo della comunità o altrimenti incompatibili col diritto comunitario, equivarrebbe infatti a negare, solto questo aspetto, il carattere reale d’impegni incondizionatamente ed irrevocabilmente assunti, in forza del trattato, dagli stati membri, mettendo così in pericolo le basi stesse della comunità. 4. Il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale»).

Il diritto dell’Unione risulta dotato senz’altro di efficacia diretta sicché il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare la norma europea e di non applicare quella nazionale, dovendo a tal fine verificare che la fonte normativa europea sia chiara, precisa e incondizionata. A tale ultimo riguardo, il tenore della decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024 non lascia margini di dubbio sul carattere immediatamente precettivo delle disposizioni della Direttiva 2013/32/UE in materia di condizioni per la designazione di un paese terzo come paese sicuro, sicché ad avviso di questo Collegio l’indirizzo esegetico coltivato da diversi decenni dalla Corte di Giustizia è senz’altro confermato anche in presenza di un atto di normazione primaria.

Come si è già detto, pur essendo questa l’intima e ferma convinzione giuridica del Collegio (con l’effetto che nelle more del presente rinvio pregiudiziale permane, ove ragioni di urgenza non consentano di attenderne l’esito, il dovere giuridico del giudice di non applicare gli atti legislativi ritenuti non conformi al diritto europeo), la necessità di invocare la Corte di giustizia al fine di pronunciarsi ancora una volta sull’interpretazione dei Trattati e degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, deriva dal manifestarsi di un gravissimo contrasto fra le diverse Autorità chiamate a interpretare e applicare il diritto dell’Unione.

Al di là della chiarezza della soluzione interpretativa condivisa da questo tribunale, il rinvio pregiudiziale appare dunque opportuno in quanto funzionale al fine di assicurare unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia del diritto europeo.

4. Richiesta di applicazione del procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105 oppure d’urgenza ai sensi dell’art. 107 del regolamento di procedura.

La particolare urgenza, attese le ricadute su tutto il sistema della protezione internazionale e del diritto d’asilo e sull’applicazione del recente accordo raggiunto fra Italia e Albania, suggerisce di invocare l’adozione di un procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105 oppure d’urgenza ai sensi dell’art. 107 del regolamento di procedura, posto che la controversia concerne questioni relative ai settori previsti dal titolo V della parte terza del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Al di là delle valutazioni tecnico giuridiche che caratterizzano il giudizio di merito sui quesiti proposti, la valutazione del carattere di urgenza impone un giudizio sugli effetti dell’incertezza interpretativa sulla realtà di fatto, finalizzato a verificare se vi sia il concreto pericolo di danni irreparabili. Nella specie la necessità di accelerare la procedura e l’urgenza conseguono, in modo particolare, dai concreti e gravi rischi cui sono esposti i richiedenti asilo e la stessa

Amministrazione qualora il rinvio seguisse il procedimento ordinario.

Seguendo l’indirizzo interpretativo contrario a quello indicato da questo Collegio, i primi sarebbero esposti al rischio di irreparabile lesione dei propri diritti fondamentali, a partire dal diritto a un ricorso effettivo, di rimanere sul territorio nel corso del giudizio, di essere sentiti dal tribunale e di mantenere un rapporto diretto col proprio difensore. Oltre a ciò, si deve sottolineare come, in disparte dallo specifico oggetto del presente giudizio, i quesiti proposti attengono alla nozione di paese di origine sicuro, la quale si applica in diversi settori del diritto della protezione internazionale sicché nelle more della decisione della Corte di Giustizia i richiedenti asilo, in ragione dell’applicazione delle normative nazionali in materia di trattenimento, sono esposti, a causa della designazione del loro paese come paese di origine sicuro, a rischi concreti e attuali di illegittima lesione della libertà di circolazione e della stessa libertà personale, al loro materiale trasferimento e alla trattazione della loro domanda in un paese estero, in particolare in applicazione del noto protocollo sottoscritto fra l’Italia e l’Albania. Il pericolo di trasferimenti coatti da un paese all’altro, che siano eventualmente valutati ex post in contrasto con il diritto europeo, non può essere prevenuto con il giudizio di convalida.

I rischi di danni irreparabili sussistono peraltro anche per l’Amministrazione, attesa l’eventualità concreta di mettere in moto e/o di procedere, nell’attuale incertezza interpretativa, in scelte di complessa gestione delle domande di asilo, sino all’onerosa implementazione dell’accordo con l’Albania con modalità e presupposti che secondo l’indirizzo ermeneutico dettagliatamente esposto potrebbero risultare incompatibili con il diritto europeo. Atteso l’interesse manifestato sulle modalità di trattazione delle dette domande di asilo, la definizione del giudizio con modalità accelerate o urgenti corrisponde altresi ad un concreto ed attuale interesse degli altri paesi membri dell’Unione. La certezza nella definizione delle regole che governano la nozione di paese di origine sicuro rappresenta difatti nell’attuale quadro normativo un elemento essenziale del sistema, in ragione delle indubbie ricadute sui processi di protezione internazionale, sulle procedure in materia di trattenimento forzato, sulle stesse dinamiche dei rapporti internazionali con i paesi terzi e sulla prosecuzione o definizione di ulteriori accordi bilaterali aventi ad oggetto l’eventuale trasferimento coatto dei richiedenti asilo in paesi terzi.

Ultima, ma non per importanza, ragione di accelerazione e urgenza attiene alla gravità dell’inedito conflitto istituzionale in corso. L’opinione per cui gli atti di designazione sono, quali “atti di alta politica”, sottratti al sindacato giurisdizionale ha condotto ad una gravissima ed inedita crisi istituzionale, di cui ha dato ampiamente conto la stampa europea. L’indirizzo per il quale in forza degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, come chiariti anche nella recente decisione della Corte di Giustizia del 4 ottobre 2024, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro non può avvenire in costanza di fenomeni persecutori e di rischi di danno grave per interi gruppi sociali, ha condotto al sostanziale arresto del protocollo Italia-Albania, suscitando reazioni culminate nel ricorso alla decretazione di urgenza del 23 ottobre 2024.

Pur esulando dalla competenza della Corte la risoluzione di conflitti istituzionali insorti nei paesi aderenti, nella valutazione del carattere d’urgenza della procedura di rinvio pregiudiziale andrebbe considerata, ad avviso del Collegio, la gravità dei danni conseguenti agli specifici dissidi interpretativi del diritto curopeo che sono oggetto del rinvio pregiudiziale.

P.Q.M.

PROPONE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

  1. se per il diritto dell’Unione Europea e in particolare ai sensi degli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE e del suo Allegato I, il parametro sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro debba essere inderogabilmente individuato nella carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi reali di danno grave come definito nell’Allegato 1 della Direttiva 2013/32/UE, in particolare se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione – quali ad esempio le persone Igbtiqat, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc… – escluda detta designazione;
  2. se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea imponga di assumere che, in caso di contrasto fra le disposizioni della Direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e le disposizioni nazionali, sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria.

DISPONE la sospensione del processo nelle more del giudizio sul rinvio pregiudiziale.

MANDA alla Cancelleria per la trasmissione della presente ordinanza alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e per comunicazione alle parti costituite.

Cosi deciso in Bologna nella camera di consiglio del 25 ottobre 2024.

Il Presidente est.
Marco Gattuso

#sapevatelo2024

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